Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31246 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 04/12/2018), n.31246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 11620 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

F.R., (C.F.: (OMISSIS)), P.S. (C.F.:

(OMISSIS)), F.U.M. (C.F.: (OMISSIS))

F.A. (C.F.: (OMISSIS)) tutti rappresentati e difesi, giusta procura

a margine del ricorso, dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia (C.F.:

TRT NLF 68L28 D390F);

– ricorrenti –

nei confronti di:

MINISTERO DELLA DIFESA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona Ministro pro

tempore rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale

dello Stato (C.F.: 80224030587);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bologna n.

25/2017, pubblicata in data 9 gennaio 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 13

novembre 2018 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.R. e P.S., genitori ed eredi di F.F., hanno agito in giudizio nei confronti del Ministero della Difesa per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal decesso del figlio, avvenuto per una patologia (leucemia) a loro dire contratta in seguito alle vaccinazioni cui era stato sottoposto mentre svolgeva il servizio militare di leva. Nel giudizio sono intervenuti U.M. ed F.A., fratelli di F.F., chiedendo a loro volta il risarcimento del danno patito per la perdita del congiunto.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Bologna.

La Corte di Appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorrono F.R., P.S., U.M. ed F.A., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Difesa.

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione dell’art. 116 c.p.c., travisamento ed omessa pronuncia su parte della domanda, nelle pagine da 3 a 4, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 5, poichè, muovendo la Corte da un presupposto erroneo e cadendo l’errore sulla domanda introduttiva, da considerarsi quale fatto controverso e decisivo per il giudizio, la motivazione della sentenza si palesa come insufficiente e, soprattutto, contraddittoria”.

Con il secondo motivo si denunzia “violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2 e art. 115 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) concernente la ripartizione dell’onere della prova, riportata integralmente nelle pagg. da 3 a 8, difatti la Corte non ha valutato che, pur in assenza di fatti da considerarsi pacifici o notori, mentre i ricorrenti hanno fornito la piena prova del loro diritto, l’intimato Dicastero non ha fatto parimenti, in maniera eguale e contraria; ciò con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo stato omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”.

I due motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono essere quindi esaminati congiuntamente.

Essi sono inammissibili, ancor prima che manifestamente infondati.

La corte di appello, inquadrata la fattispecie nell’ambito della tutela della salute del lavoratore militare, e premesso in fatto che erano state rispettate tutte le norme di legge e regolamentari sulle modalità di somministrazione dei vaccini obbligatori ai militari di leva, ha in primo luogo affermato che non era stata fornita la prova del nesso di causa tra la suddetta somministrazione di vaccini al F. e la contrazione della leucemia da parte sua (anzi, era emersa la prova che “più probabilmente” la malattia era stata contratta in seguito all’assunzione di sostanze cancerogene diverse da quelle contenute nei vaccini praticatigli durante il servizio di leva).

Ha poi aggiunto che non era stata fornita neanche la prova che i sintomi della malattia letale fossero insorti prima del congedo del militare e potesse quindi eventualmente ipotizzarsi una colposa omissione degli opportuni controlli e dei trattamenti medici necessari per la tutela sua salute, anche volti alla immediata diagnosi e cura della suddetta malattia nel corso del periodo del servizio di leva, omissioni in qualche modo influenti sul decorso e sull’esito di essa.

Il ricorso (per quanto è dato comprendere, nel contesto di una esposizione che risulta in verità oggettivamente poco chiara) è sostanzialmente diretto a contestare i suddetti accertamenti di fatto, sebbene gli stessi siano fondati sull’esame di tutte le circostanze rilevanti emerse all’esito dell’istruttoria e siano sostenuti da adeguata motivazione (non apparente nè intrinsecamente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile in sede di legittimità).

I ricorrenti sostengono in effetti che era stata fornita la prova del nesso di causa tra la somministrazione dei vaccini e la contrazione della leucemia da parte del loro congiunto, nonchè quella della colposa omissione dei controlli sulla sua salute e dei trattamenti sanitari opportuni, da parte dell’amministrazione della difesa, prima del congedo, quando egli era ancora in servizio di leva.

Trattandosi, come è evidente, di contestazioni relative ad accertamenti di fatto svolti dai giudici del merito e sostenuti da adeguata motivazione, nonchè di una sostanziale richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, le indicate censure risultano inammissibili nella presente sede di legittimità.

E’ appena il caso di osservare, inoltre, che la questione relativa all’inquadramento giuridico del fondamento della domanda (dal tribunale trattata come richiesta di risarcimento del danno da colpa medica e dalla corte di appello invece correttamente inquadrata come ipotesi di violazione delle norme a tutela della salute dei lavoratori militari), anche a prescindere dalla sua fondatezza, risulta del tutto irrilevante ai fini della decisione (e comunque nel ricorso – che per tale aspetto certamente difetta di specificità – non è chiarito in modo puntuale e ed intelligibile quale sarebbe il rilievo che assumerebbe il predetto inquadramento in relazione all’esito finale della controversia).

L’inammissibilità del ricorso deriva altresì dalla proposizione di censure di insufficienza e contraddittorietà di motivazione, non più ammissibili come motivo di ricorso per cassazione in base alla attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (applicabile nella fattispecie in ragione della data di pubblicazione della decisione impugnata), nonchè dalla proposizione di contestazioni aventi ad oggetto la pretesa violazione delle disposizioni di legge sulla distribuzione degli oneri probatori (art. 2697 c.c.) e sulla valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c.) in modo del tutto generico e comunque non conforme ai canoni a tal fine indicati dalla giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, 640193 – 01 e 640194 01), censure che peraltro finiscono ancora una volta per risolversi in una sostanziale richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove e nella critica ad accertamenti di fatto incensurabilmente svolti dai giudici del merito, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorren-te, liquidandole in complessivi Euro 5.400,00, oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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