Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31245 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, (ud. 13/11/2018, dep. 04/12/2018), n.31245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 9627 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

REGIONE EMILIA ROMAGNA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Presidente

della Giunta Regionale, legale rappresentante pro tempore

rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dagli

avvocati Domenico Fazio (C.F.: FZA DNC 44E28 G453E) e Antonella

Micele (C.F.: MCL NNL 70B56 A9443);

– ricorrente –

nei confronti di:

G.A., (C.F.: (OMISSIS));

G.S., (C.F. dichiarato: (OMISSIS));

G.P. (C.F. dichiarato: (OMISSIS));

G.L. (C.F.: (OMISSIS));

tutti rappresentati e difesi, giusta procura allegata al

controricorso, dagli avvocati Giulio Cesare Bonazzi (C.F.: BNZ GCS

44C12 D0373) e Stefano Di Meo (C.F.: DMI SFN 49M29 H501F);

– controricorrenti –

nonchè

GI.Al., (C.F.: (OMISSIS));

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bologna n.

707/2014, pubblicata in data 7 marzo 2014;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 13

novembre 2018 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.M. ha agito in giudizio nei confronti dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia, dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia e della Regione Emilia Romagna per ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito alla contrazione del virus HCV, a suo dire causata da trasfusioni di sangue infetto praticatele presso l'(OMISSIS).

Il Tribunale di Reggio Emilia ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia e dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Emilia; ha invece accolto la domanda nei confronti della Regione Emilia Romagna, condannandola a pagare in favore degli eredi della T. (intervenuti volontariamente nel processo dopo il decesso della loro dante causa) l’importo di Euro 76.485,00 a titolo risarcitorio, oltre spese ed accessori.

La Corte di Appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre la Regione Emilia Romagna, sulla base di sette motivi. Resistono con controricorso gli eredi di T.M., A., S., P. e G.L.; non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro erede intimato Gi.Al..

Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

La Regione ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Con il secondo motivo si denunzia “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge (art. 1218 c.c. ed art. 2697 c.c.)”. Con il terzo motivo si denunzia “violazione e/o falsa applicazione di norma di legge (art. 2727 c.c. ed art. 2729 c.c., art. 116 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quarto motivo si denunzia “violazione e/o falsa applicazione di norme di legge (art. 1223 c.c. ed art. 2697 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quinto motivo si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Con il sesto motivo si denunzia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Con il settimo motivo si denunzia “violazione e/o falsa applicazione di norma di legge (art. 2697 c.c. ed art. 24 Cost.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

I motivi del ricorso sono tutti tra loro logicamente connessi e possono pertanto essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati.

La decisione impugnata, come denunciato dalla ricorrente, non è conforme, in diritto, ai principi in tema di accertamento e prova della condotta colposa e del nesso causale nelle obbligazioni risarcitorie (e, in particolare, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica), principi ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte e che possono essere sintetizzati come segue:

“sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sè, anche la sussistenza del secondo, e viceversa;

l’art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento;

nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, la causa del danno; se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata” (in tal senso, di recente, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 26824 del 14/11/2017; Sez. 3, Sentenza n. 26825 del 14/11/2017, non massimate; Sez. 3, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018, Rv. 647948 – 01).

Nella specie, il consulente tecnico di ufficio aveva accertato: a) “che le procedure volte ad accertare lo stato di infezione da epatite C dei donatori messe in atto presso il Centro Trasfusionale dell'(OMISSIS) rispondevano alle conoscenze scientifiche del momento”; b) che la T. era (più) probabilmente (che non) già affetta da epatite C prima della trasfusione (ciò potendosi desumere dall’alto livello delle transaminasi rilevato poco prima della trasfusione stessa, che faceva presumere la preesistenza di una epatite, ma soprattutto dalla brevissima distanza di tempo tra la trasfusione e la prima rilevazione della positività agli anticorpi HCV, sulla base di un test di screening di seconda generazione, il quale fa emergere la positività agli anticorpi, a seguito della cd. sieroconversione, solo in un lasso di tempo tra le 11 e le 20 settimane dopo il contagio), espressamente affermando che: “ciò porterebbe a ritenere che l’ipotesi più probabile (se non si vuole utilizzare il termine “certa”) è che la sieropositività da HCV fosse preesistente alle trasfusioni e alla agoaspirazione, magari legata alla stessa fonte che ha prodotto l’epatite B (che con l’epatite C condivide vie e mezzi di contagio)”.

Il consulente aveva cioè accertato che era più “probabile che non” (addirittura con un livello prossimo alla certezza) l’insussistenza del nesso di causa tra trasfusioni e contagio.

Sia il tribunale che la corte di appello hanno negato il carattere decisivo delle esposte risultanze, in relazione all’accertamento della (in)sussistenza del nesso di causa tra le trasfusioni praticate alla T. ed il suo contagio da virus HCV, ed hanno ritenuto pertanto essere rimasta incertezza su tale nesso di causa; sono così pervenuti all’accoglimento della domanda di parte attrice, sulla base dell’erroneo presupposto di diritto che la prova dell’insussistenza del nesso di causa dovesse essere fornita alla struttura sanitaria.

In base ai principi di diritto sopra richiamati, invece, la conclusione avrebbe dovuto essere quella opposta. Poichè il nesso di causa tra la condotta dei medici della struttura sanitaria convenuta e l’evento dannoso deve essere provato dalla parte attrice danneggiata, anche ad ammettere – come ritenuto dai giudici di merito (nonostante le chiare affermazioni del consulente tecnico di ufficio in proposito) – che fosse da ritenersi comunque incerta la sua sussistenza, tale incertezza avrebbe dovuto risolversi in danno della stessa parte attrice e la domanda avrebbe dovuto essere rigettata.

Le considerazioni che precedono risultano assorbenti ai fini della cassazione della decisione impugnata.

Non è quindi necessario prendere in esame le censure del ricorso relative alla questione dell’inadempimento, nè è necessario effettuare nuovi accertamenti di fatto ai fini della decisione della controversia.

La stessa corte di appello ha ritenuto, all’esito dell’istruttoria (e nonostante le espresse conclusioni del consulente tecnico di ufficio sull’insussistenza del nesso di causa tra le trasfusioni ed il contagio), che in ordine alla sussistenza di quest’ultimo fosse residuata incertezza.

Tale situazione di incertezza è sufficiente per rigettare la domanda senza alcuna ulteriore indagine di fatto, applicando correttamente i principi di diritto esposti in premessa alla situazione di fatto accertata in sede di merito.

2. Il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è cassata e, decidendo nel merito, la domanda è rigettata.

Le spese dell’intero giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della concreta situazione di fatto che ha dato luogo alla controversia e del recente consolidarsi degli esposti indirizzi di questa Corte in ordine ai principi di diritto applicabili nella fattispecie.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda;

– compensa le spese dell’intero giudizio.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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