Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31236 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, (ud. 16/10/2018, dep. 04/12/2018), n.31236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 6078 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

L.G., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Vincenzo Sergio Vitale

(C.F.: VTL VCN 64T26 G273R);

– ricorrente –

nei confronti di:

AZIENDA OSPEDALIERA (OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Direttore Generale, legale rappresentante pro tempore rappresentato

e difeso, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale, dall’avvocato Laura Maria Giammarrusto (C.F.: GMM LMR

70R64 F205Y);

– controricorrente – ricorrente in via incidentale –

B.E., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura a margine del controricorso, dall’avvocato Giuseppe Di Masi

(C.F.: DMS GPP 46A23 D122M);

A.G. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso, giusta

procura in calce al controricorso, dall’avvocato Giorgio Spadafora

(C.F.: SPD GRG 38E18 D086V);

R.G.A.N., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e

difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato

Marco Vincenti (C.F.: VNC MRC 60L24 H501W);

– controricorrenti –

nonchè

M.C., (C.F.: non indicato);

INA Assitalia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore (P.I.: (OMISSIS));

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano n.

3801/2013, depositata in data 24 settembre 2013;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

16 ottobre 2018 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto sia del

ricorso principale che del ricorso incidentale;

l’avvocato Roberto Otti, per delega dell’avvocato Marco Vincenti, per

il controricorrente R.;

l’avvocato Maria Aversa, per delega dell’avvocato Giorgio Spadafora,

per il controricorrente A.;

l’avvocato Paolo Pontecorvi, per delega dell’avvocato Giuseppe Di

Masi, per il controricorrente B..

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.G. ha agito in giudizio nei confronti dell’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS), nonchè dei medici A.G., M.C., B.E. e R.G.A.N., per ottenere il risarcimento dei danni riportati in seguito ad un intervento chirurgico effettuato in data (OMISSIS). Il convenuto B. ha chiamato in causa la propria assicuratrice della responsabilità civile INA ASSITALIA S.p.A..

Il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda dell’attore, ha condannato tutti i convenuti, in solido, a pagare in favore di quest’ultimo l’importo di Euro 187.198,00 a titolo di danni non patrimoniali, oltre interessi compensativi dall’evento al saldo, nonchè l’importo di Euro 368.201,50 a titolo di danni patrimoniali, oltre interessi compensativi dall’evento al saldo. Ha altresì accolto la domanda di manleva del B. nei confronti di INA ASSITALIA S.p.A..

La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato ogni domanda proposta nei confronti di M.C., B.E. e R.G.A.N. (dichiarando di conseguenza assorbita la domanda di manleva del B. contro INA ASSITALIA S.p.A.), ha rideterminato nel quantum il risarcimento del danno non patrimoniale dovuto all’attore dall’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) e da A.G. (liquidandolo negli importi da cumulare di Euro 220.000,00, Euro 14.400,00 ed Euro 2.700,00, con interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo), ed ha fissato la decorrenza degli interessi compensativi sull’importo liquidato a titolo di danno patrimoniale dalla data della pubblicazione della sentenza di primo grado al saldo.

Ricorre L.G. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera, che propone a sua volta ricorso incidentale sulla base di cinque motivi.

Resistono inoltre con distinti controricorsi A.G., R.G.A.N. ed B.E..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati M.C. e INA ASSITALIA S.p.A..

La trattazione del ricorso è stata rinviata all’odierna udienza, per la mancata comunicazione del decreto di fissazione dell’udienza del 13 settembre 2017 ad una delle parti.

Hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., l’Azienda Ospedaliera, l’ A., il B. ed il R..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS).

E’ logicamente preliminare l’esame dei motivi del ricorso incidentale proposto dall’Azienda Ospedaliera.

1.1 Con il primo motivo si denunzia “sul danno patrimoniale per spese di assistenza futura liquidato in favore di L.G.: nullità del capo di sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio”.

Secondo l’ente ricorrente, la corte territoriale non avrebbe tenuto conto, per un verso, del fatto che L. convivesse con la sorella e non avesse fornito prova delle spese di assistenza per le necessità quotidiane e, per altro verso, del fatto notorio che simili prestazioni assistenziali a persone non autosufficienti vengono offerte dalle Residenze Assistenziali Sanitarie, molte delle quali gestite da enti convenzionati con il servizio sanitario nazionale, con previsione di rimborso totale o parziale.

Il motivo è inammissibile, in quanto non conforme al modello legale introdotto con la attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (applicabile nella fattispecie, in considerazione della data di pubblicazione della decisione impugnata). La corte di merito ha accertato che, in conseguenza dei postumi dell’intervento male eseguito, per il futuro il L. avrebbe avuto necessità di aiuto “per le attività della vita quotidiana da parte di familiari o di personale di servizio”, che tale aiuto indispensabile e continuo non avrebbe potuto essere fornito senza compenso da parte di un familiare e che, dovendo essere liquidato il danno attraverso il ricorso a presunzioni e al notorio, la somma equitativamente indicata dal Tribunale in Euro 800,00 mensili doveva ritenersi adeguata, non avendo, tra l’altro, l’Azienda Ospedaliera dimostrato l’eventuale quota da porsi in deduzione per essere la stessa a carico del servizio sanitario nazionale, nè indicato gli altri enti a ciò deputati.

Le censure svolte con il motivo di ricorso in esame si risolvono nella sostanziale richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori acquisiti agli atti e tendono a sostenere un accertamento dei fatti diverso da quello a cui è pervenuto il giudice del merito, che ha peraltro considerato tutte le circostanze storiche rilevanti, in proposito, ed ha fornito adeguata motivazione (in quanto non apparente e non insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile in sede di legittimità) delle conclusioni raggiunte.

Una siffatta rivalutazione di fatti, circostanze e prove, già inammissibile nella vigenza del precedente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lo è a più forte ragione alla luce della nuova formulazione della norma, attualmente in vigore.

1.2 Con il secondo motivo si denunzia “sul danno da lucro cessante per incapacità lavorativa specifica: nullità del capo di sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio”.

Con il terzo motivo del ricorso incidentale si denunzia “sul danno da lucro cessante per incapacità lavorativa specifica: in subordine, nullità del capo di sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o comunque falsa applicazione dei principi generali in tema di risarcimento del danno da incapacità lavorativa specifica e da incapacità lavorativa generica”.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale, aventi entrambi ad oggetto il risarcimento del danno da lucro cessante per l’incapacità lavorativa del L., sono connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

L’azienda sostiene che il riconoscimento della perdita della capacità lavorativa specifica presupporrebbe l’effettivo svolgimento da parte del danneggiato di una specifica attività lavorativa al momento della verificazione dell’evento lesivo, mentre nel caso di specie al momento degli interventi chirurgici subìti nel marzo 2000 non risultava che il L. svolgesse alcuna attività lavorativa, essendo questa cessata nell’ottobre 1999.

Orbene, i giudici di merito, sulla base di adeguata motivazione, hanno insindacabilmente accertato, in fatto, il nesso tra le lesioni personali subite dall’attore e la menomazione della sua specifica capacità di lavoro ed hanno affermato la risarcibilità del conseguente danno patrimoniale, determinato dalla ridotta idoneità ad esplicare un’attività lavorativa confacente alle sue attitudini, attività che – trattandosi di un pregiudizio che si proietta nel futuro come lucro cessante – non doveva essere effettivamente esercitata al momento del sinistro.

Hanno quindi ritenuto assolto dal danneggiato l’onere della prova sul punto, avendo questi documentato di aver stipulato un contratto di lavoro da giardiniere nel 1999, risalente a cinque mesi prima degli interventi chirurgici de quibus.

La decisione – contrariamente agli assunti dell’azienda ricorrente – è fondata sulla considerazione di tutti i fatti storici rilevanti, è adeguatamente motivata in fatto e risulta conforme in diritto al consolidato indirizzo di questa Corte, secondo il quale, integrando la menomazione della capacità lavorativa specifica un pregiudizio di carattere patrimoniale, il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica, quantunque di elevata entità, non determina ipso facto la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato nè, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, che presumibilmente avrebbe svolto) e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 20788 del 20/08/2018 (Rv. 650410 – 01; Cass. n. 5786 del 08/03/2017, non massimata; Sez. 3, Sentenza n. 4673 del 10/03/2016, Rv. 639103 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 14517 del 10/07/2015, Rv. 636017 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11361 del 22/05/2014, Rv. 630839 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15238 del 03/07/2014, Rv. 631711 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2644 del 05/02/2013, Rv. 625083 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3290 del 12/02/2013, Rv. 625016 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16541 del 28/09/2012, Rv. 623761 – 01).

1.3 Con il quarto motivo del ricorso incidentale si denunzia “la refusione delle spese di lite di secondo grado in favore del signor L. e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in tema di soccombenza”.

Con il quinto motivo del ricorso incidentale si denunzia “il vizio di omessa pronuncia sulla domanda di restituzione degli importi versati in eccedenza in esecuzione della sentenza di primo grado”.

Secondo l’azienda ricorrente, la corte territoriale non avrebbe effettuato i dovuti conteggi ed avrebbe pertanto ritenuto il L. in posizione creditoria, mentre, a seguito dei pagamenti da essa effettuati dopo la sentenza di primo grado, l’attore era in realtà debitore nei propri confronti di un importo pari a Euro 59.227,38, sulla cui domanda di restituzione sarebbe stata omessa ogni pronuncia.

Gli illustrati motivi possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro reciproca connessione.

Essi sono in parte infondati ed in parte inammissibili.

In primo luogo, nella statuizione impugnata non è ravvisabile alcuna falsa applicazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.: quest’ultima è stata infatti correttamente valutata in base all’esito complessivo della lite (stante l’avvenuta parziale riforma della decisione di primo grado), avendo trovato accoglimento la domanda del L. nei confronti dell’Azienda Ospedaliera ricorrente (senza che sul punto possa assumere alcun rilievo l’importo pagato in esecuzione della sentenza di primo grado).

Per quanto poi attiene alla omessa pronuncia sulla domanda di condanna dell’attore alla restituzione della somma (che si assume) ricevuta in eccedenza rispetto alla definitiva statuizione di merito, la censura è inammissibile per evidente difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6: l’istituto ricorrente non solo imputa al giudice di appello di non aver effettuato conteggi relativi a pagamenti neppure specificamente allegati, ma non richiama neanche il preciso contenuto dell’atto processuale (nella specie, l’atto di citazione in appello, di cui del resto neanche è indicata l’esatta allocazione nel fascicolo processuale) in cui la domanda in questione sarebbe stata avanzata, il che impedisce a questa Corte di esaminare il merito di tale censura.

2. Il ricorso principale di L.G..

2.1 Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia “violazione delle norme in tema di debito di valore e decorrenza degli interessi – insufficiente motivazione sulla natura degli interessi compensativi e sulla determinazione del danno con criteri equitativi – nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il motivo – senz’altro inammissibile nella parte in cui con esso si prospetta vizio di insufficiente motivazione della sentenza impugnata (in quanto nella specie trova applicazione, in ragione della data di pubblicazione della decisione impugnata, la vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che non consente più la deduzione di tale vizio in sede di legittimità) – è fondato, nei limiti di seguito illustrati, in relazione alla deduzione di violazione di legge, con riguardo alla liquidazione degli interessi compensativi sull’importo liquidato a titolo di danno patrimoniale.

La Corte territoriale ha infatti erroneamente ritenuto che le somme liquidate dal tribunale a titolo di danno patrimoniale “con criteri equitativi omnicomprensivi” dovessero essere “accompagnate dagli interessi legali a partire dalla data della prima sentenza sino al saldo, esclusa ogni ulteriore rivalutazione”.

Va premesso che nelle obbligazioni risarcitorie, aventi natura di debito di valore, la somma spettante deve essere annualmente rivalutata dal momento dell’illecito sino al momento della liquidazione giudiziale, salvo che non venga liquidata in moneta attuale; al creditore spetta inoltre il risarcimento del danno derivante dal ritardo nel pagamento della somma predetta, consistente nel mancato godimento delle utilità che da essa avrebbe conseguito, il quale può essere liquidato attraverso la corresponsione degli interessi compensativi ad un saggio equitativamente individuato dal giudice ed eventualmente coincidente con quello legale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480 – 01; successivamente, tra le moltissime conformi, cfr. in particolare: Sez. 3, Sentenza n. 18490 del 25/08/2006, Rv. 593583 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4791 del 01/03/2007, Rv. 596659 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16637 del 19/06/2008, Rv. 603828 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16894 del 20/07/2010, Rv. 614105 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15709 del 18/07/2011, Rv. 619503 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21396 del 10/10/2014, Rv. 632983 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 18243 del 17/09/2015, Rv. 636751 – 01). Dal momento della liquidazione giudiziale (momento in cui, con la pubblicazione della sentenza, l’obbligazione si converte in debito di valuta) non è poi più dovuta la rivalutazione monetaria, ma trova applicazione l’art. 1224 c.c., comma 1, sicchè sulla somma ormai definitivamente liquidata, non più soggetta a rivalutazione, spettano gli interessi moratori (di norma al tasso legale) sino al momento dell’effettivo pagamento.

Il fondamento del diritto alla corresponsione degli interessi compensativi viene cioè individuato non già nell’operatività di una regola di cumulo automatico tra rivalutazione e interessi (analoga a quella che si rinviene, ad es., nei crediti di lavoro: art. 429 c.p.c., u.c.), ma nell’esigenza di risarcire al creditore il danno (c.d. lucro cessante finanziario) che si presume essergli derivato dalla circostanza di non avere potuto disporre tempestivamente della somma medesima e di non averla potuta dunque impiegare in maniera remunerativa.

La liquidazione di questo danno, con riguardo al periodo compreso tra l’evento dannoso e la liquidazione definitiva, deve avvenire mediante la corresponsione degli interessi sull’intero capitale, dovendo gli stessi compensare il mancato godimento delle utilità ricavabili dal tempestivo investimento dell’intera somma dovuta, debitamente e progressivamente rivalutata. Alla luce di queste considerazioni emerge l’omissione in cui è incorsa la corte territoriale, consistita nel non aver riconosciuto, sulla somma complessivamente liquidata al L. a titolo di risarcimento del danno, gli interessi compensativi, così negando al danneggiato il risarcimento del pregiudizio derivatogli dalla ritardata apprensione della suddetta somma.

La sentenza deve quindi essere cassata in accoglimento, per quanto di ragione, del motivo di ricorso in esame.

Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, questa Corte può decidere la causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Per il calcolo degli interessi compensativi sulla somma liquidata a titolo di danno patrimoniale può essere utilizzato un saggio di interessi pari a quello legale, avuto riguardo, oltre che all’entità del credito, alla circostanza che l’attore non ha nè allegato nè provato le modalità di un particolare impiego remunerativo della somma, ove la stessa fosse stata da lui tempestivamente ricevuta.

Vertendosi in materia di obbligazione risarcitoria avente natura di debito di valore, la suddetta somma deve quindi essere espressa nel suo equivalente monetario al momento del fatto (cd. devalutazione) e poi annualmente rivalutata, sempre secondo gli indici ISTAT, dal momento dell’evento dannoso sino alla data di pubblicazione della decisione, per essere maggiorata dell’importo degli interessi compensativi, calcolati al tasso legale, sull’indicato importo, come devalutato e poi annualmente rivalutato.

In conclusione, i convenuti Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS) e A.G., vanno condannati, in solido, a pagare a L.G. gli interessi compensativi al tasso legale sulla somma di Euro 368.201,50 liquidata a titolo di danno patrimoniale (intero capitale), devalutata alla data dell’illecito ((OMISSIS)) e poi annualmente rivalutata, in base agli indici dei prezzi al consumo forniti dall’ISTAT, con riguardo al periodo intercorrente tra la indicata data dell’illecito e quella della prima sentenza (15 giugno 2010), oltre agli interessi nella misura legale sull’intera somma così calcolata, da quest’ultima data sino al soddisfo.

2.2 Con il secondo motivo del ricorso principale si denunzia “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per aver statuito nel dispositivo la decorrenza degli interessi della sentenza anche per la somma liquidata a titolo di danno non patrimoniale”.

Il motivo è infondato.

La corte territoriale, nell’accogliere il motivo di appello formulato dal L. in merito alla liquidazione del danno non patrimoniale, ha rideterminato tale voce di danno utilizzando come parametro di riferimento le Tabelle Milanesi in uso per l’anno 2013, riconoscendogli il complessivo importo di Euro 220.000,00 e precisando espressamente che detto importo era già comprensivo degli interessi legali e della rivalutazione fino alla data della sentenza di appello, fermo restando il riconoscimento degli ulteriori interessi legali dal giorno della pubblicazione della suddetta sentenza fino al saldo.

La decisione risulta dunque pienamente conforme ai principi di diritto sopra richiamati, in materia di liquidazione del danno nelle obbligazioni risarcitorie.

2.3 Con il terzo motivo del ricorso principale si denunzia “nullità della sentenza per omessa indicazione della condanna alle spese di giudizio nella parte dispositiva (art. 360 c.p.c., n. 4)”. Il ricorrente lamenta che, sebbene nella parte motiva della decisione impugnata, la corte di appello abbia posto a carico dell’Azienda Ospedaliera e dell’ A. le spese del giudizio di appello, tuttavia nella parte dispositiva nulla sarebbe stato enunciato al riguardo.

Il motivo resta assorbito, per la necessità di procedere nuovamente alla liquidazione delle spese dell’intero giudizio di merito, in conseguenza della (parziale) cassazione della decisione impugnata.

Le spese in questione vanno poste a carico dell’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS) e di A.G., in solido, che restano soccombenti nei rapporti con l’attore L., e possono essere liquidate in conformità alla determinazione di esse già effettuata dalla corte di merito.

2.4 Con il quarto motivo del ricorso principale si denunzia “nullità della sentenza sotto il profilo della violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente lamenta che siano state poste a suo carico le spese del giudizio di appello, in favore di tutti i medici nei cui confronti era stata esclusa ogni responsabilità, senza considerare la propria impossibilità di valutare quali fossero le corrette ripartizioni di responsabilità tra i sanitari convenuti, impossibilità che concreterebbe le “gravi ed eccezionali ragioni” idonee a consentire la compensazione.

Il motivo è infondato.

La corte di appello ha correttamente applicato il cd. principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. nel porre integralmente a carico del L. le spese del giudizio di appello, nei rapporti con i medici dei quali è stata esclusa ogni responsabilità: con riguardo ai suddetti medici, la domanda del L. risulta infatti, all’esito del giudizio, integralmente rigettata, ed il L. è pertanto integralmente soccombente (egli risulta comunque soccombente anche con riguardo al solo giudizio di secondo grado).

Non è d’altronde censurabile in sede di legittimità l’eventuale mancato esercizio, da parte del giudice del merito, del potere discrezionale di compensazione delle spese per la sussistenza di giusti motivi, di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2.

3. In conclusione, è accolto il ricorso principale limitatamente al primo motivo, nei limiti sopra indicati, e la sentenza impugnata è cassata in relazione; decidendo nel merito, l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS) e A.G. (ferme le altre statuizioni) sono condannati, in solido, a pagare gli interessi compensativi, al tasso legale, dalla data dell’evento sull’importo liquidato a titolo di danno patrimoniale (devalutato alla data del fatto e annualmente rivalutato, fino alla data della sentenza di primo grado, oltre ulteriori interessi al tasso legale sull’intero importo così determinato dalla data della sentenza di primo grado al saldo); è assorbito il terzo motivo del ricorso principale.

Sono rigettati, invece, i restanti motivi del ricorso principale e tutti quelli del ricorso incidentale.

Le spese del giudizio di merito, nei rapporti tra l’attore ed i convenuti soccombenti Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS) e A.G., sono liquidate in conformità alla determinazione di esse già effettuata dalla corte di merito.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in ragione della solo parziale (ma limitata) fondatezza del ricorso principale, nonchè della circostanza che non risulta di fatto impugnata la statuizione di rigetto nel merito delle domande proposte nei confronti dei medici B.E. e R.G.A.N., nonostante le oggettive difficoltà di valutazione dei fatti che hanno dato luogo al giudizio.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione incidentale) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

accoglie il primo motivo del ricorso principale, nei limiti indicati in motivazione, e per l’effetto cassa in relazione la sentenza impugnata; decidendo nel merito, condanna l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS) e A.G., in solido, a pagare a L.G. gli interessi compensativi, al tasso del 2%, dalla data dell’evento ((OMISSIS)), sull’importo liquidato a titolo di danno patrimoniale (importo da devalutare alla data del fatto e da rivalutare annualmente, fino alla data della sentenza di primo grado, oltre ulteriori interessi al tasso legale sull’intero importo così determinato, dalla data della sentenza stessa al saldo), ferma ogni altra statuizione;

– dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso principale e rigetta i restanti motivi del ricorso principale nonchè tutti quelli del ricorso incidentale;

– condanna l’Azienda Ospedaliera (OMISSIS) di (OMISSIS) e A.G., in solido, a pagare in favore di L.G. le spese del doppio grado del giudizio di merito, liquidandole, per il primo grado, in Euro 10.500,00 per competenze ed Euro 400,00 per spese, per il secondo grado in Euro 10.560,00, oltre accessori tributari e previdenziali come per legge;

– dichiara integralmente compensate le spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dell’azienda ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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