Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31234 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 29/11/2019), n.31234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21265/2017 R.G. proposto da:

Nuova Banca delle Marche S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv.

Massimo Belelli, con domicilio eletto in Roma, via Benaco, n. 5,

presso lo studio dell’Avv. Maria Chiara Morabito;

– ricorrente –

contro

S.F., Sp.Em., Banca Popolare di Ancona S.p.A.,

Nuova Banca popolare dell’Etruria e del Lazio soc. coop. a r.l.,

Banca dell’Adriatico S.p.A., Italia Invest S.r.l., Tecnomec S.r.l.,

Goldenstar Marketing & Trading S.r.l.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, n. 186/2017,

depositata il 6 febbraio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Ancona, nel confermare la sentenza di primo grado che aveva accolto l’azione revocatoria ordinaria esercitata da vari istituti di credito contro S.F. ed Sp.Em., ha rigettato l’appello incidentale proposto da Nuova Banca delle Marche S.p.A. in relazione alla domanda di condanna dei convenuti (appellanti principali) al pagamento della somma di Euro 487.402,01 oltre interessi, rigettata dal tribunale perchè tardivamente proposta solo all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Ha infatti rilevato, conformemente alla valutazione del primo giudice, che nella comparsa della banca, di intervento e costituzione in primo grado, non era “spiegata alcuna richiesta di condanna al fine di ottenere il pagamento della somma di cui si discute”.

2. Avverso tale decisione Nuova Banca delle Marche S.p.A. propone

ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Gli intimati non svolgono difese nella presente sede.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

All’esito dell’adunanza camerale del 28/2/2019, in vista della quale parte ricorrente depositava memoria, con ordinanza interlocutoria n. 7900 del 20/3/2019, questa Corte ha disposto l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudizio di secondo grado e, con esso, anche di quello del giudizio di primo grado.

Acquisiti gli atti, il relatore designato ha redatto nuova proposta, anch’essa notificata all’avvocato della parte ricorrente unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

– “violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. con riferimento alla mancata considerazione della esistenza in atti della domanda di accertamento e condanna, contenuta nell’atto di citazione notificato in data 30/6/2005 ed introduttivo del giudizio n. 5184/05 poi riunito a quello n. 5330/04”;

– “omessa pronuncia su domanda giudiziale ritualmente formulata”;

– “inesistenza e/o insanabile incoerenza e contraddittorietà della motivazione”.

Rileva che il riferimento, nella sentenza impugnata, al solo atto di intervento e non anche all’atto di citazione introduttivo del giudizio n. 5184/05, riunito a quello distinto al n. 5330/2004, dimostra la mancata lettura del primo che, se invece esaminato, avrebbe consentito alla Corte d’appello di avvedersi che esso conteneva specifica domanda di accertamento e condanna, puntualmente richiamata in sede di precisazione delle conclusioni.

Lamenta al contempo la totale mancanza di motivazione sul punto, nel confronto tra premesse e conclusioni, la manifesta ed irriducibile contraddittorietà tra le parti della sentenza stessa.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di trattazione tra le parti.

Secondo la ricorrente costituisce fatto storico ignorato l’esistenza in atti di due fascicoli di parte: uno, secondario, relativo all’intervento spiegato da essa Banca nel giudizio introdotto da altro creditore per la revocatoria di atti pregiudizievoli; l’altro, il principale, relativo all’autonomo giudizio, regolarmente introdotto con atto di citazione notificato il 30/6/2005, contenente nelle conclusioni, oltre alla domanda di revocatoria ex art. 2901 c.c., anche quella di accertamento e condanna dei convenuti al pagamento del sopra detto importo. Soggiunge che in detto fascicolo era anche contenuta ampia documentazione probatoria sull’esistenza del credito, del resto non contestato dai debitori nel corso del giudizio.

3. E’ fondato il primo motivo, con il quale evidentemente si lamenta error in procedendo per omessa pronuncia, restando ininfluente l’erroneo riferimento in rubrica alla previsione di cui al n. 3, anzichè all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931).

L’esame degli atti acquisiti, cui questa Corte ha diretto accesso trattandosi di questione di natura processuale, consente di rilevare con certezza:

a) l’instaurazione, davanti al giudice di primo grado, di un secondo giudizio (n. 5184/05 R.G.), promosso dalla odierna ricorrente, nel cui atto introduttivo era formulata, oltre alla domanda di declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. spiegata in via principale, anche la domanda di condanna dei convenuti (appellanti principali), in solido, al pagamento della somma di Euro 487.402,01 oltre interessi dal 9/3/2005;

b) la riunione di tale giudizio a quello anteriormente promosso (n. 5330/04 R.G.), disposta con ordinanza resa a verbale dell’udienza del 26/4/2006, nel quale pure espressamente si dà atto che “il presente verbale a tutti gli effetti da questo momento continua per entrambi i procedimenti riuniti e che in ordine al procedimento n. 5184/05 sono presenti i difensori dei soggetti ad esso interessati”;

c) l’espressa affermazione, nella parte motiva della sentenza di primo grado, che “i predetti S.F. e Sp.Em. sono… debitori in via solidale della Banca della ulteriore somma di Euro 487.402,01 in virtù di scoperto di c/c n. (OMISSIS) oltre interessi e di venticinque ri.ba. insolute oltre interessi”, non seguita tuttavia da alcuna statuizione, nè di accertamento nè di condanna, nella parte dispositiva;

d) la rituale proposizione di appello incidentale sul punto, con il quale, rappresentato debitamente tutto quanto sopra esposto (v. pagg. 3-4 della comparsa di costituzione in appello della banca, contenente appello incidentale), si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto di “non poter accogliere la domanda della Banca delle Marche di condanna dei convenuti S. e Sp. al pagamento della somma di Euro 487.402,01 oltre interessi, in quanto “introdotta tardivamente solo in udienza di precisazione delle conclusioni””, rilevandosi essere tale affermazione “certamente frutto di una svista in quanto, ad una semplice lettura dell’atto introduttivo, apparirà chiaro che la domanda de qua è stata ritualmente formulata e solo riprodotta in sede di conclusioni finali” (pag. 8 della predetta comparsa).

Ciò vale a dare evidenza dell’error in procedendo in cui è incorso il giudice d’appello nel ritenere la domanda tardivamente formulata, facendo propria la valutazione già in tal senso espressa dal primo giudice.

L’errore, in cui sono incorsi, allo stesso modo, sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado, consiste evidentemente nel non aver considerato l’atto introduttivo del giudizio riunito (e probabilmente l’esistenza stessa di quest’ultimo).

Può bensì rilevarsi, quanto all’errore commesso dal giudice d’appello, che ad esso ha verosimilmente contribuito anche la mancata espressa indicazione, da parte dell’appellante, dell’atto processuale in cui detta domanda era stata ritualmente proposta (non l’atto di intervento nel processo anteriormente proposto, bensì quello introduttivo del giudizio a quello riunito, benchè, per vero, dell’esistenza di questo rappresentasse significativo indice il fatto che nell’appello incidentale si parlasse di “atto introduttivo” e non di “comparsa di intervento”, come del resto riferisce anche la sentenza d’appello, a pag. 8, terz’ultimo rigo).

Tale mancata precisazione tuttavia, oltre a non andare incontro di per sè ad alcuna sanzione processuale (non essendo prevista per l’appello norma analoga a quella di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6), non impediva al giudice d’appello di avvedersi, attraverso la compulsazione degli atti di causa ad esso rimessi, nell’esercizio dei propri poteri/doveri decisori, della esistenza della domanda, sicchè l’averla considerata come non proposta concreta il dedotto vizio di omessa pronuncia.

Varrà sul punto infine precisare che la “svista” in cui si risolve il predetto error in procedendo non può nemmeno considerarsi errore revocatorio (art. 395 c.p.c., n. 4), ma è suscettibile di essere dedotto quale motivo di ricorso per cassazione, dal momento che essa è frutto non già dell’attribuzione ad un determinato atto di un contenuto diverso da quello che esso ha palesemente e oggettivamente, bensì dell’omessa lettura di un atto processuale, sostanzialmente del tutto obliterato.

4. In accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento della domanda erroneamente ritenuta tardiva dai giudice di merito.

Della sua fondatezza nel merito, invero, si dà esplicitamente e univocamente atto nella sentenza di primo grado. Si evidenzia infatti nella sentenza del tribunale che “l’esistenza di una ragione o aspettativa di credito dall’attore è certa, in quanto la Banca ha… documentato la sussistenza di una ulteriore ragione di credito nei confronti dei predetti di Euro 487.402,01 per scoperto di c/c e ri.ba. insolute”.

Nè sul punto risultano opposte contestazioni di sorta da parte dei convenuti/appellanti, e ciò nemmeno con riferimento al tasso ed alle modalità di calcolo degli interessi, come specificamente indicati in domanda.

Gli intimati S.F. ed Sp.Em. vanno quindi condannati in solido al pagamento, in favore della ricorrente, dell’importo sopra detto, oltre interessi come in domanda.

Ne discende, per il principio della soccombenza, la condanna degli stessi alla rifusione, in favore della stessa banca, delle spese del giudizio d’appello e di quelle del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, ferme le altre statuizioni, condanna S.F. ed Sp.Em., in solido, al pagamento, in favore della ricorrente, dell’importo di Euro 487.402,01, oltre interessi dal 9/3/2005 al saldo al tasso dell’il% da conteggiarsi su Euro 393.534,20.

Condanna i predetti intimati, in solido, alla rifusione in favore della ricorrente:

a) delle spese del giudizio d’appello, liquidate in Euro 11.500 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e oltre accessori di legge;

b) delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 29 novembre 2019

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