Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31232 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 29/11/2019), n.31232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21473-2018 proposto da:

S.A., S.D., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ATTO VANNUCCI N. 12, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA

D’ANGELO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E.

GIANTURCO 5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO VILLARI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE SANTONOCITO;

– controricorrente –

contro

S.N.;

– Intimato –

avverso la sentenza n. 823/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 24/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

Che:

con ricorso affidato ad un unico motivo, S.D. e S.A., quali eredi di R.N., hanno impugnato la sentenza della Corte di appello di Messina, in data 24 luglio 2017, che ne dichiarava inammissibile il gravame interposto avverso la decisione di primo grado (in controversia locatizia promossa da S.A.) in quanto fondato unicamente sul motivo di nullità della notificazione dell’atto di riassunzione, in primo grado, a seguito del decesso dell’originaria convenuta R., loro dante causa, senza avanzare alcuna censura di merito;

che resiste con controricorso S.A., mentre non ha svolto attività difensiva l’intimato S.N.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale i ricorrenti hanno depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Considerato che con l’unico motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., per aver la Corte territoriale erroneamente dichiarato inammissibile l’appello nonostante la notificazione dell’atto di riassunzione, a seguito di interruzione del primo giudizio, fosse viziato da nullità radicale, che la stessa Corte avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare;

che il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.;

che, difatti, la Corte di appello ha deciso in conformità al principio per cui, qualora si verifichi, nel processo di primo grado, un evento interruttivo del processo cui faccia seguito un irregolare atto di riassunzione del medesimo, il giudice di appello cui tale irregolarità venga prospettata non può rimettere la causa al primo giudice trattandosi di eventualità non prevista dagli artt. 353 e 354 c.p.c. – bensì deve deciderla nel merito; ne consegue che, ove con l’appello non sia stata avanzata alcuna censura di merito contro la sentenza di primo grado – limitandosi il gravame al solo rilievo dei vizi dell’atto di riassunzione – è corretta la decisione del giudice di secondo grado che dichiara l’inammissibilità dell’impugnazione (Cass., S.U., n. 12644/2008; successivamente, nello stesso senso, Cass. n. 2682/2015, Cass. n. 20799/2018);

che i ricorrenti non contestano affatto la ratio decidendi della sentenza impugnata che evidenzia la totale assenza di censure di merito nell’appello a suo tempo proposto, nè forniscono ragioni valide (neppure con la memoria successivamente depositata, con cui lapidariamente si insiste nel ricorso) per discostarsi dal richiamato orientamento di questa Corte;

che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e i ricorrenti condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, mentre non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa sede;

che l’ammissione dei ricorrenti al patrocinio a spese dello Stato esclude che debba darsi atto della debenza dell’ulteriore importo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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