Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31229 del 29/12/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 31229 Anno 2017
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: TRIA LUCIA

Data pubblicazione: 29/12/2017

SENTENZA
sul ricorso 26659-2016 proposto da:

ODDI PAOLA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA PINETA
SACCHETTI 229, presso lo studio dell’avvocato DIEGO GIANNOLA,
che la rappresenta e difende;
– ricorrente contro

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LEONARDO GREPPI 77, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO
RUGGERO BIANCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO
REFERZA;
PIERLUIGI ERNESTINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO
PALMIERO, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO SCARANO;
– controricorrenti nonchè contro
DI MARZIO ROSSELLA, FRANCIOTTI LUIGI, VERI’ FABRIZIO, DI
GIUSEPPE ROSARIA, DI CINO ESTER;

intimati

avverso la sentenza n. 1473/2016 del CONSIGLIO DI STATO,
depositata il 13/04/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/12/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.
RICCARDO FUZIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi gli avvocati Paola Oddi per delega dell’avvocato Diego Giannola e
Ruggero Bianchi per delega dell’avvocato Pietro Referza.

ESPOSIZIONE DEL FATTO
1. Con sentenza n. 212 del 2015, il Tribunale Amministrativo
Regionale per l’Abruzzo – L’Aquila respingeva, in parte, i motivi

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AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. 4, in persona del legale

aggiunti e dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo e i restanti
motivi aggiunti proposti dall’avv. Paola Oddi contro la sua esclusione
– dopo il superamento della prova scritta seguito dall’esclusione da
quella orale (per mancato raggiungimento di un punteggio sufficiente
alla prova teorico-pratica) – dal concorso bandito dalla AUSL n. 4 di

tempo indeterminato da assegnare all’Unità Operativa (UO) “Gestione
del personale – Area gestione giuridica del personale, politiche del
personale e delle relazioni sindacali”, disposta con delibera della
Azienda n. 871 del 23 luglio 2014, con la quale la AUSL – melius re
perpensa ed a scioglimento di una riserva già a suo tempo
formalizzata nella delibera n. 1257 del 2013 – rilevava che i profili
professionali messi a concorso non avevano la necessaria
corrispondenza con l’attività di avvocato, svolta dalla ricorrente con la
qualifica di “funzionario esperto avvocato”, essendo dal bando
richiesta la diversa qualifica di “specialista amministrativo”.
Il TAR adito considerava, in particolare, assorbente la mancanza,
da parte della ricorrente, del requisito di partecipazione previsto dal
bando rappresentato dalla «anzianità di servizio effettivo di almeno
cinque anni corrispondente alla medesima professionalità prestato in
enti del Servizio Sanitario Nazionale nella posizione funzionale di
settimo livello, ottavo ed ottavo bis, ovvero qualifiche funzionali di
settimo, ottavo e nono livello di altre pubbliche amministrazioni».
2. Avverso la decisione del TAR proponeva appello l’avv. Oddi,
contestando la correttezza della statuizione reiettiva dei motivi
aggiunti, riproponendo tutte le censure, assorbite dalla sentenza
gravata, indirizzate con il ricorso originario contro l’esclusione dalla
prova orale e concludendo per la riforma della sentenza appellata e
per il conseguente accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti
proposti in primo grado.

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Teramo per la copertura di un posto di dirigente amministrativo a

Resistevano nel giudizio soltanto l’AUSL e la dr.ssa Ernestina
Pierluigi, che contestavano la fondatezza dell’appello, chiedendone la
reiezione, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
3. Con sentenza 13 aprile 2016, n. 1473 la terza Sezione del
Consiglio di Stato ha respinto l’appello e, per l’effetto, ha confermato

improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Per giungere alla suddetta conclusione il Consiglio di Stato ha
precisato che:
a) diversamente da quanto sostenuto dalla Oddi, il profilo di
«esperto avvocato», in ragione dell’esercizio delle funzioni proprie
dell’avvocato regionale come descritte dall’art. 1, comma 4, della LR
Abruzzo 14 febbraio 2000, n. 9, non implica, di per sé, lo svolgimento
di funzioni che possano essere classificate come funzioni
amministrative di particolare complessità o che, comunque, possano
essere equiparate a queste ultime, ai fini che qui interessano;
b) in assenza di una specifica disposizione normativa nel senso
auspicato dall’interessata, il requisito di professionalità richiesto dal
bando in oggetto, avrebbe potuto essere integrato soltanto
dall’avvenuta assegnazione della ricorrente a una direzione o a un
servizio amministrativo, consentita – in casi eccezionali – ai funzionari
«esperti avvocati» dall’art. 1, comma 4-bis, LR cit.;
c) nella specie, però, non risulta che tale assegnazione sia stata
disposta, come rilevato dal Giudice di primo grado;
d) deve essere respinto anche il secondo motivo di appello con il
quale è stata contestata la sentenza del TAR nel punto relativo
all’affermazione della difformità del profilo posseduto dalla ricorrente
rispetto alla professionalità afferente alla posizione dirigenziale
oggetto del concorso in argomento;
e)

infatti, l’univoca formulazione testuale del bando – che

esclude l’applicabiltà del principio del favor partecipationis, il quale

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la sentenza impugnata, anche in ordine alla declaratoria della

postula il carattere ambiguo ed incerto della disciplina speciale della
procedura concorsuale . (si veda, tra le tante, Cons. St., sez. IV, 14
marzo 2016, n. 1015) – impone di interpretare (e di applicare) il
requisito di partecipazione in senso conforme al suo chiaro significato
letterale e, quindi, di circoscriverne la titolarità alle sole qualifiche

inquadrati nelle posizioni indicate, i quali per un quinquennio, abbiano
esercitato le funzioni di “amministrazione attiva” ad esse
corrispondenti;
f) in altri termini, per la partecipazione al concorso si richiedeva
un’esperienza specifica afferente alle posizioni ivi richiamate, ma,
soprattutto, attinente all’espletamento, per almeno cinque anni, dei
compiti amministrativi e gestionali compresi nel mansionario delle
pertinenti qualifiche funzionali, alle quali non poteva essere assimilato
il funzionario esperto avvocato, non assegnato ad una direzione o ad
un servizio amministrativo (come la ricorrente);
g) con il terzo motivo viene contestato il capo della sentenza
impugnata di condanna alla rifusione delle spese processuali in favore
dei controinteressati, ma esso è conforme alla regola generale della
soccombenza che va sempre osservata.
4. Avverso tale sentenza del Consiglio di Stato l’avv. Paola Oddi
propone ricorso, illustrato da memoria, per due motivi, nei quali
denuncia la violazione dell’art. 362, primo comma, cod. proc. civ. e
dell’art. 111, primo e ottavo comma, Cost., sotto diversi profili.
5. L’AUSL n. 4 di Teramo resiste con controricorso, anch’esso
illustrato da memoria.
Tutte le altre parti non svolgono attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE
I – Sintesi delle censure

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amministrative ivi espressamente previste, cioè ai funzionari,

1. Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali si denuncia la
violazione dell’art. 362, primo comma, cod. proc. civ. e dell’art. 111,
primo e ottavo comma, Cost. per i seguenti profili:
1.1. inosservanza dei limiti esterni della giurisdizione speciale
nonché abnormità della decisione (primo motivo), sostenendosi che il

testuale del bando imporrebbe di circoscrivere la configurazione del
requisito di partecipazione in oggetto ai titolari delle sole qualifiche
amministrative ivi espressamente previste e, quindi, ai funzionari,
inquadrati in quelle posizioni, che, per un quinquennio, hanno
esercitato le funzioni di “amministrazione attiva” ad esse
corrispondenti – avrebbe “creato” una norma che non solo non trova
riscontro nel bando del concorso in oggetto e neppure nella
legislazione ma si pone anche in contrasto con il principio del buon
andamento della PA, di cui all’art. 97 Cost.
Infatti, sia nel bando sia, in particolare, nell’art. 26 del d.lgs. n.
165 del 2001 non è contenuto alcun riferimento alla funzioni di
“amministrazione attiva”, mentre si menziona il requisito della
“medesima professionalità”, che ha un significato diverso ed una più
ampia portata, corrispondenti alla ratio legis consistente nell’intento
di valorizzare le effettive e sostanziali capacità professionali dei
candidati. Ciò si evince dall’art. 35, comma 3, lettera b), del d.lgs. n.
165 del 2001 che include tra i principi cui si devono conformare le
procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni l’adozione
di meccanismi oggettivi e trasparenti, “idonei a verificare il possesso
dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla
posizione da ricoprire”, escludendo irragionevoli formalismi (vedi, in
tal senso: Corte cost., sentenza n. 194 del 2002);
1.2. denegata giustizia conseguente al rifiuto implicito di
giurisdizione da parte del Giudice speciale, stravolgimento di norme di
rito, manifesta abnormità, violazione del principio del giusto processo

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Consiglio di Stato – laddove ha affermato che l’univoca formulazione

(secondo motivo), configurandosi come error in iudicando la
statuizione secondo cui in assenza di una specifica disposizione
normativa nel senso auspicato dall’interessata, l’attività dei funzionari
«esperti avvocati» non può essere considerata “espletamento di
funzioni amministrative” ed aggiungendosi che costituirebbero

all’art. 26 del d.lgs. n. 165 del 2001 sia il mancato esame della
censura relativa alla ragionevolezza ed alla congruità, nel merito,
della professionalità amministrativa del funzionario avvocato ai fini
che qui interessano, essendo la relativa attività prevalente – e non
soltanto sporadica, come affermato dal Giudice di primo grado quella di tipo giuridico-amministrativa, mentre l’attività propriamente
forense è esercitata solo in casi eccezionali, visto che di norma il
patrocinio della Regione Abruzzo è per legge affidato all’Avvocatura
distrettuale dello Stato. Si sostiene, infine, che le suindicate omissioni
– che renderebbero solo apparente la motivazione della sentenza del
Consiglio di Stato de qua, visto che in essa non sono state trattate le
suddette questioni ritualmente proposte nell’atto di appello della Oddi

avrebbero comportato uno stravolgimento del principio tantum

devolutum quantum appellatum con l’effetto di negare i diritti
fondamentali garantiti dagli artt. 2, 3 e 51 Cost. e di violare i principi
di buon andamento della PA (art. 97 Cost.), di ragionevolezza e
proporzionalità riconosciuti dal diritto comunitario, con l’ulteriore
anomalia della “condanna punitiva” alla rifusione delle spese
processuali in un importo molto elevato.
II – Esame delle censure
2. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
3. Quel che è decisivo stabilire è se viene in questione il modo in
cui il potere giurisdizionale è stato esercitato dal giudice
amministrativo – attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione oppure il fatto stesso che, nella fattispecie esaminata, un tale potere,

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“denegata giustizia” sia l’omessa individuazione della ratio sottesa

con la particolare estensione che lo caratterizza, a detto giudice non
spettava ovvero, pur spettandogli, se ne è rifiutato l’esercizio ovvero
il relativo esercizio ha comportato uno stravolgimento delle norme di
rito, dando luogo ad una decisione manifestamente abnorme, lesiva
dei diritti fondamentali della ricorrente di cui agli artt. 2, 3 e 51 Cost.,

andamento della PA (art. 97 Cost.) e del principio di ragionevolezza.
4. In linea generale, deve essere ricordato che le Sezioni Unite
hanno più volte affermato – e va qui ribadito – che le decisioni dei
Giudici speciali possono essere impugnate a norma dell’art. 362,
primo comma, cod. proc. civ.: 1) per motivi inerenti alla esistenza
stessa della giurisdizione qualora tale giurisdizione venga esercitata
nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa
(oppure, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia
non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione
giurisdizionale); 2) per superamento, in concreto, da parte del giudice
speciale dei limiti esterni della propria giurisdizione, ipotesi che si
verifica se viene emessa una pronuncia giurisdizionale da un organo
di una giurisdizione speciale su materie attribuite alla giurisdizione
ordinaria o ad altra e diversa giurisdizione speciale (oppure dal
medesimo organo sia negata la sussistenza della propria giurisdizione
sull’erroneo presupposto che essa appartenga ad altri), ovvero
quando, per materie attribuite alla propria giurisdizione, l’organo della
giurisdizione speciale compia un sindacato di merito pur essendo la
propria cognizione rigorosamente limitata alla indagine di legittimità
degli atti amministrativi (Cass. SU 29 marzo 2017, n. 8117).
5. In questa cornice è stato ulteriormente precisato che:
a) il ricorso col quale venga denunciato un rifiuto di giurisdizione
da parte del giudice amministrativo rientra fra i motivi attinenti alla
giurisdizione, ai sensi dell’art. 362 cod. proc. civ., soltanto se il
diniego di tutela sia stato determinato dall’affermata estraneità alle

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oltre che dei principi del giusto processo, dei principi di buon

attribuzioni giurisdizionali dello stesso giudice della domanda di cui si
tratta e non quando il suddetto rifiuto di tutela risulta essere il frutto
della interpretazione di norme invocate a sostegno della pretesa
azionata (vedi, per tutte: Cass. SU 8 febbraio 2013, n. 3037 e Cass.
SU 9 settembre 2013, n. 20590);
è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con

riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di
radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un
evidente diniego di giustizia e non già nel caso di mero dissenso del
ricorrente nell’interpretazione della legge (vedi: Cass. SU 4 luglio
2016, n. 13575; Cass. SU 12 dicembre 2013, n. 27847; Cass. SU 30
ottobre 2013, n. 24468; Cass. SU 14 settembre 2012, n. 15428);
c) infatti, eventuali errori in judicando o in procedendo commessi
dal giudice amministrativo nell’esercizio della sua giurisdizione non
comportano, di per sé, la violazione delle regole di riparto della
giurisdizione (vedi, di recente Cass. SU 6 giugno 2017, n. 13977);
d) in particolare, il ricorso avverso la sentenza del Consiglio di
Stato, con il quale si deduce l’omessa pronuncia su una domanda,
può integrare motivo inerente alla giurisdizione, denunciabile ai sensi
dell’art. 362 cod. proc. civ., solo se l’omissione è giustificata dalla
ritenuta estraneità della domanda alle attribuzioni giurisdizionali del
giudice amministrativo, non quando si prospetti come errore in
judicando o in procedendo (Cass. SU 17 novembre 2016, n. 23395;
Cass. 26 gennaio 2009, n. 1853);
e) nelle materie devolute alla propria giurisdizione, il giudice
amministrativo assicura anche la tutela dei diritti fondamentali, non
essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi
esclusivamente al giudice ordinario la tutela di tali diritti (vedi, per
tutte: Corte costituzionale, sentenza n. 140 del 2007; Cass. SU 28
dicembre 2007, n. 27187; Cass. SU 29 aprile 2009, n. 9956; Cass.
SU 24 ottobre 2014, n. 22612 e Cass. SU 3 giugno 2015, n. 11376),

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b)

sicché anche in riferimento a tali diritti l’eventuale rifiuto di tutela del
giudice amministrativo che risulti essere il frutto della interpretazione
di norme invocate a sostegno della pretesa azionata non determina
una violazione dei limiti esterni della giurisdizione ad esso riservata.
6. Dai suddetti principi si desume che, nella specie, il Consiglio di

duplice profilo del radicale stravolgimento delle norme di rito e del
diniego di giustizia, in quanto ha considerato legittimo il
provvedimento di esclusione della ricorrente dal concorso in base
all’interpretazione del bando di concorso stesso, precisando che il
bando, come è noto è la lex specialis della procedura concorsuale e
che in equivocamente, nella specie, esso richiedeva il requisito – non
posseduto dall’avv. Oddi – di cinque anni di servizio effettivo
corrispondente alla medesima professionalità prestato in enti del
Servizio sanitario nazionale nella posizione funzionale di settimo e
ottavo livello, ovvero in qualifiche funzionali di settimo, ottavo e nono
livello di altre pubbliche amministrazioni, peraltro con una
disposizione conforme all’art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001
e all’art. 70 del d.P.R. n. 483 del 1997.
Tale interpretazione è stata fatta dal Consiglio di Stato alla luce
della corrispondente normativa legislativa regionale, sottolineandosi
che tale normativa – nel configurare all’art. comma 4-bis, LR n. 9 del
2000, come eccezionale l’assegnazione dei funzionari «esperti
avvocati» presso le direzioni regionali, dove espletano anche «le
funzioni amministrative di particolare complessità di competenza delle
direzioni e dei servizi … a cui sono assegnati» – conferma
implicitamente, ma chiaramente, che, in difetto di tale assegnazione,
l’attività legale svolta dagli avvocati regionali non può, di per sé,
essere qualificata come comprensiva dello svolgimento di funzioni
amministrative di particolare complessità e, in particolare, tale da

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Stato non è incorso in eccesso di potere giurisdizionale, sotto il

integrare la professionalità richiesta per la partecipazione al concorso
in oggetto.
7. Ne deriva che, in tal modo, il Consiglio di Stato ha svolto
un’attività ermeneutica che rientra a pieno titolo nell’orbita dei limiti
interni della giurisdizione amministrativa – che nelle materie devolute

– e non è certamente consentito invocare, in questa sede, sotto le
spoglie del denunciato diniego di giustizia ovvero dello stravolgimento
delle norme di rito – per ipotizzate omissioni di pronuncia non
giustificate dalla ritenuta estraneità della domanda alle attribuzioni
giurisdizionali del giudice amministrativo, ma inqammissibilmente
prospettate come errores in judicando – una diversa interpretazione
del tessuto normativo applicabile, così impingendo nel merito della
decisione.
III – Conclusioni
8. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese
del presente giudizio – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.
Nulla va disposto per le spese in favore delle parti rimaste
intimate.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, dichiara il ricorso inammissibile e
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi ed euro
5000,00 (cinquemila/00) per compensi professionali, oltre spese
forfetarie nella misura del 15% ed accessori come per legge. Nulla
spese in favore delle parti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si dà

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a tale giurisdizione comprende anche la tutela dei diritti fondamentali

atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2017.
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