Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31227 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. III, 04/12/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 04/12/2018), n.31227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14278-2016 proposto da:

G.S., G.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

G PALUMBO, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO RONCHIETTO, che li

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.C., in proprio e nella qualità di coerede di P.L.,

elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEL NAZZARENO 8-11, presso

lo studio dell’avvocato MARCO SAVERIO MONTANARI, che lo rappresenta

e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.G., P.P., P.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3479/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/06/2018 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.F. e G.S. citavano in giudizio S.C. e P.L., dinanzi al Tribunale di Roma, per chiedere: a) la declaratoria di inefficacia dell’atto di precetto di Lire 30.691.525, di cui alle sentenze del Tribunale di Roma dell’11/11/1995 e della Corte di Appello di Roma nn. 242/99 e 1129/2001, adducendo, a tal fine, di essere titolari di un credito nei confronti dei convenuti, quale corrispettivo della compravendita immobiliare del 27/06/1984; b) la condanna dei convenuti a corrispondere loro la maggior somma dovuta per il titolo indicato.

Il Tribunale rigettava l’opposizione ritenendo che il credito vantato dagli attori non fosse provato, stante che la ricognizione di debito non era prodotta in originale.

G.F. e G.S. impugnavano la sentenza, reiterando l’eccezione di compensazione. Gli appellati, S.C. e gli eredi di P.L., eccepivano la tardività dell’appello, ritenendo che, avendo gli appellanti eccepito un controcredito eccedente quello oggetto dell’atto di precetto, la opposizione avrebbe dovuto seguire le regole comuni, con conseguente sospensione del termine per l’impugnazione nel periodo feriale.

La corte di appello, con sentenza n. 3479/2015, pubblicata il 5.06.2015, accogliendo l’eccezione degli appellati, dichiarava inammissibile l’appello e condannava gli appellanti al pagamento delle spese di lite.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3479/2015 G.F. e G.S. propongono ricorso in cassazione, fondato su un unico motivo.

Resiste con controricorso S.C., in proprio e nella qualità di coerede di P.L..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., artt. 1241 – 1243 c.c., L. n. 742 del 1969, artt. 1 e 3 e R.D. n. 12 del 1941, art. 92. In particolare i ricorrenti censurano la decisione impugnata per aver reputato tardivo l’appello, errando nell’omettere di considerare che la controversia non era da qualificarsi in termini di opposizione alla esecuzione perchè gli appellanti, odierni ricorrenti, chiedevano che venisse accertato un proprio controcredito superiore a quello precettato.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Giova sottolineare, in primo luogo, che la prospettazione del ricorrente non ha specifica attinenza con il decisum, il quale al fine di sostenere la inammissibilità dell’appello ha fatto leva sulla natura giudiziale, piuttosto che negoziale, del titolo precettato, rilevando che gli appellanti avevano fondato le proprie argomentazioni su opposizioni alle esecuzioni ove il titolo era costituito da atti negoziali.

2.2. Avverso le esecuzioni iniziate con titolo giudiziario, ove il merito è stato già affrontato in sede di cognizione e non è modificabile in sede di esecuzione, possono essere fatti valere esclusivamente motivi relativi alla validità ed all’efficacia del precetto; tant’è che ove l’opposizione venga accolta non si potrebbe avere una sentenza di condanna, ma solo la declaratoria di invalidità o di inefficacia del titolo, e che in sede di opposizione possono farsi valere solo fatti estintivi o impeditivi del diritto azionato sopravvenuti alla formazione del titolo. Le ragioni di tale preclusione sono le seguenti: a) nel caso di titolo definitivo si concreterebbe nel consentire la contestazione del credito consacrato nel titolo in violazione della cosa giudicata, che, una volta verificatasi, esclude che il diritto consacrato dal giudicato possa essere messo in discussione adducendo fatti che avrebbero potuto farsi valere nel giudizio che ha portato alla cosa giudicata; b) nel caso di titolo ancora sub iudice, l’esercizio del diritto di difesa mediante l’eccezione di compensazione, essendo ancora in discussione nel giudizio cognitivo il credito esecutato, deve avvenire in quella sede.

2.3. Ebbene, tale ratio decidendi della sentenza impugnata non è stata neppure lambita dal ricorso che, invece, fa leva sulle eccezioni al divieto di sospensione dei termini feriali, limitandosi ad addurre che il regime di sospensione dei termini processuali è correlato alla natura della controversia e non alle sue vicende (p. 5 del ricorso).

2.4. Ebbene, la sospensione dei termini feriali si applica alle opposizioni a precetto, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 04/01/2017, n. 95) nei seguenti casi: a) quando si discuta soltanto dell’esistenza o meno del diritto del creditore di promuovere l’azione esecutiva al solo fine del riparto delle spese del processo (Cass. 19 marzo 2010, n. 6672); b) quando l’attore opponente chieda la condanna della controparte al pagamento di una somma di danaro (Cass. 13 novembre 2009, n. 24047; Cass. 19 maggio 1989 n. 2400); c) quando il giudice di primo grado dichiari inefficace il precetto, pronunciando sulla domanda esperita in via riconvenzionale dall’opposto, e poi, in grado d’appello, sia impugnata e si discuta soltanto di tale ultima pronuncia (Cass. 13 ottobre 2009, n. 21681); d) quando nel giudizio di opposizione all’esecuzione sia eccepito dal debitore esecutato un controcredito ed esso sia contestato dal creditore procedente, se il valore del controcredito non eccede quello del credito per cui si procede, il cumulo di cause (quella di opposizione e quella di accertamento del controcredito) non resta soggetto alla sospensione dei termini per il periodo feriale, mentre, se il controcredito sia eccedente, opera la sospensione cui è soggetta la causa di opposizione all’esecuzione (Cass. 5 marzo 2009, n. 5396).

2.5. Il ricorrente ritiene, evidentemente, che il caso di specie sia ascrivibile alle ipotesi indicate sotto le lett. c) e d), come risulta, rispettivamente, dalle pp. 5 e 6 del ricorso, ove egli prospetta di aver proposto, in via riconvenzionale, l’accertamento del controcredito eccepito in compensazione, cioè una causa diversa da quella di opposizione all’esecuzione, soggetta ad una disciplina dipendente dal diritto sostanziale di cui si è chiesto l’accertamento (p. 6 del ricorso).

2.6. A tutto concedere – cioè pur ammettendo in astratto che il ricorrente avesse agito in riconvenzionale (il dubbio deriva dal fatto che nel giudizio di opposizione all’esecuzione non opera il principio secondo cui allorquando venga fatto valere in giudizio un credito in compensazione e ne viene contestata l’esistenza si determina automaticamente l’effetto che la postulazione dell’accertamento dello stesso da oggetto di un’eccezione si trasforma in domanda da accertarsi con efficacia di cosa giudicata, siccome emerge dal meccanismo dell’art. 35 c.p.c., vertendosi piuttosto in una ipotesi di domande cumulate, eventualmente legate da vincolo di connessione per l’oggetto od il titolo) il motivo risulta inammissibile – come eccepito da parte resistente nel controricorso – atteso che non è riportata, in violazione del principio di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la domanda riconvenzionale sulla quale il Tribunale si sarebbe pronunciato (nè tutta la motivazione o la parte e/o il dispositivo della sentenza di primo grado su cui si fonda il motivo).

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 7200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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