Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31225 del 29/12/2017


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Civile Sent. Sez. U Num. 31225 Anno 2017
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: FALASCHI MILENA

Data pubblicazione: 29/12/2017

SENTENZA
sul ricorso 27585-2015 proposto da:
ASD TORSAPIENZA S.R.L., anche quale capogruppo dell’A.T.I. con
ASD Roma Soccer, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARO 35, presso lo studio
dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –

L.t>
(

contro
ROMA CAPITALE, in persona del Commissario Straordinario pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEMPIO DEL GIOVE
21, presso gli uffici dell’Avvocatura Comunale, rappresentata e difesa
dall’avvocato ANGELA RAIMONDO;

nonchè contro
IV MUNICIPIO ROMA (EX V MUNICIPIO), A.S.D. ROMA SOCCER;

intimati

avverso la sentenza n. 4116/2015 del CONSIGLIO DI STATO,
depositata il 04/09/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/06/2017 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.
FRANCESCO MAURO IACOVIELLO, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;
uditi gli avvocati Claudio Mazzoni e Angela Raimondo.

RITENUTO IN FATTO
La ASD Torsapienza s.r.l. proponeva ricorso dinanzi al T.a.r. Lazio
avverso la determinazione dirigenziale n. CE/932/2013 con la quale
veniva ingiunto alla ricorrente la demolizione dell’opera abusiva
costituita da n. 6 containers in profilato lamellare con pannelli
modulari utilizzati ad uso spogliatoio a servizio dell’impianto sportivo
in assenza del prescritto titolo abilitativo, assumendo di avere
ottenuto in concessione dal Comune di Roma (ora Roma Capitale)
l’impianto sportivo di proprietà del medesimo ente e che era
destituita di fondamento l’ingiunzione, in quanto frutto di erronea

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– controricorrente –

interpretazione degli atti e della complessa vicenda ad essi correlata,
per cui ne chiedeva l’annullamento.
Pronunciandosi nell’instaurato contraddittorio con il Comune di Roma,
l’adito T.a.r., rimasta intimata la ASD Roma Soccer, affidataria
unitamente alla ricorrente del centro sportivo de quo, con sentenza n.

risultava dimostrato l’utilizzo non a scopo cantieristico ma come
spogliatoi delle opere in contestazione, essendo nel tempo venuto
meno il requisito della temporaneità della utilizzazione.
Appellava la sentenza la ASD Torsapienza s.r.I., il Consiglio di Stato,
nella resistenza del Comune, non costituita la ASD Roma Soccer, con
sentenza n. 4116 del 2015 respingeva l’appello, confermando per
l’effetto la sentenza appellata, e premessa la non applicabilità nella
specie della sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 2015,
riteneva acquisita in atti la prova di elementi di giudizio (quali
l’autorizzazione in deroga rilasciata 1’11.07.2012 e la richiesta della
ricorrente di utilizzo dei conteiners a funzione di spogliatoi sportivi)
da cui emergeva in modo inequivoco l’effettivo utilizzo dei n. 6
containers quali spogliatoi al servizio degli atleti, uso caratterizzato
dalla non temporaneità, per cui si trattava di opere rientranti
nell’ambito applicativo dell’art. 3, comma 1, lettera e) D.P.R. n. 380
del 2001, assoggettate all’obbligo di permesso di costruire.
Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la ASD Torsapienza
con un unico motivo, cui ha replicato con controricorso il Roma
CapitaleComune, rimasta intimata la ASD Roma Soccer.

CONSIDERATO IN DIRITTO
A suffragio della proposta impugnazione la società ricorrente deduce
con un unico motivo la violazione degli artt. 111, comma 8, Cost. e
362 c.p.c., lamentando il travalicamento dei limiti esterni della
giurisdizione del giudice amministrativo.

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2697 del 10 marzo 2014, respingeva il ricorso affermando che

Secondo la ASD Torsapienza il Consiglio di Stato, nel confermare la
pronuncia di primo grado, non si sarebbe limitata a sindacare e
valutare la legittimità dell’atto amministrativo impugnato, ma
avrebbe sconfinato nel sindacato di merito avendo compiuto
affermazioni nel merito che oltre ad essere errate, sarebbero

depongono in termini del tutto contrari a quelli posti dal giudice a
fondamento della decisione. In particolare viene censurata la
decisione quanto all’affermazione della sussistenza degli elementi di
giudizio circa l’effettivo utilizzo dei containers quali spogliatoi a
servizio degli atleti. Prosegue la ricorrente che la eccessiva durata
della procedura per il ripristino funzionale del centro sportivo era
dovuta agli ingiustificati ritardi da parte dell’ente pubblico dei lavori e
della pratica di finanziamento. Insiste nella precarietà delle opere che
saranno asportate alla fine dei lavori.
Nel merito, inoltre, assume la violazione ed errata applicazione della
legge regionale del Lazio n. 15 del 2008, artt. 14, 17 e 21 per essere
stati gli otto containers realizzati senza alcun tipo di variazione
essenziale
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi non consentiti
dall’art. 362 c.p.c..
Va premesso, in generale, che i motivi inerenti alla giurisdizione – in
relazione ai quali soltanto è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost.,
comma 8, e dell’art. 362 c.p.c., comma 1, il sindacato della Corte di
Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato vanno identificati o
nell’ipotesi in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato (in
positivo o in negativo) l’ambito della giurisdizione in generale (come
quando abbia esercitato la giurisdizione nella sfera riservata al
legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure, al contrario,
quando abbia negato la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la
domanda non potesse formare oggetto in modo assoluto della

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contrarie alle risultanze di fatto acquisite nel procedimento penale che

funzione giurisdizionale), o nell’ipotesi in cui abbia violato i cosiddetti
limiti esterni della propria giurisdizione (ipotesi, questa, che ricorre
quando il Consiglio di Stato abbia giudicato su materia attribuita alla
giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure abbia
negato la propria giurisdizione nell’erroneo convincimento che essa

attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo sindacato
della legittimità degli atti amministrativi, abbia compiuto un sindacato
di merito), con la conseguenza che è inammissibile il ricorso per
cassazione con il quale si denunci un cattivo esercizio da parte del
Consiglio di Stato della propria giurisdizione, vizio che, attenendo
all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge
al giudice amministrativo, non può essere dedotto dinanzi alle Sezioni
Unite della Suprema Corte (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 8882 del
2005). Inoltre, è appena il caso di ribadire che, per costante
giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte, anche a seguito
dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione
dell’art. 111 Cost., il sindacato delle sezioni unite della Corte di
cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato
all’accertamento dell’eventuale eccesso dai limiti esterni della propria
giurisdizione da parte dello stesso Consiglio, cioè all’esistenza di vizi
che riguardano i caratteri essenziali di tale funzione giurisdizionale e
non il modo del suo esercizio, restando, perciò, escluso ogni
sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli
errores in iudicando o in procedendo (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n.
3688 del 2009 e le sentenze nn. 12539 e 16165 del 2011, 12607 e
15428 del 2012).
Ciò premesso, come ricordato in narrativa, l’oggetto del giudizio
introdotto innanzi al TAR del Lazio e poi al Consiglio di Stato concerne
l’impugnativa della determinazione dirigenziale che ha ordinato la
rimozione di pretesi abusi edilizi.

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appartenesse ad altro giudice, ovvero ancora quando, in materia

La ricorrente sostiene, in particolare, che il giudice amministrativo
avrebbe sconfinato nel sindacato di merito per avere compiuto
affermazioni contrarie alle risultanze di fatto acquisite nel
procedimento penale quanto all’effettivo utilizzo dei containers quali
spogliatoi degli atleti, trattandosi comunque di opere precarie, delle

permanenza era dovuta agli ingiustificati ritardi dell’ente pubblico
nella realizzazione delle opere, oltre ad essere conformi alla legge
regionale del Lazio n. 15 del 2008.
Nella sentenza impugnata è, poi, precisato che al momento del
passaggio in decisione del ricorso, la Corte Costituzionale, con
sentenza n. 189 del 2015, aveva dichiarato la parziale illegittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 2, lett. b) del D.P.R. n. 380 del
2001, che però non aveva alcuna incidenza nella specie riguardando
la pronuncia di incostituzionalità una parte della disposizione che non
rilevava ai fini della decisione.
Questo essendo il contesto processuale nel quale è proposto il
regolamento di giurisdizione, va innanzitutto rilevato che la ricorrente
non pone una questione di giurisdizione, essendo decisivo il rilievo
che – anche ad ammettere l’incidenza nella specie della sentenza di
incostituzionalità, per violazione dell’art. 117, commi terzo e quarto,
Cost., dell’ art. 41, comma 4, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 che,
novellando l’art. 3, comma 1, lett. e.5) del T. U. in materia edilizia
(d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) (laddove include, tra gli interventi di
nuova costruzione per i quali è richiesto il permesso di costruire, i
«manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi
genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze
meramente temporanee», «ancorché siano installati, con temporaneo
ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in

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quali era stato assentito l’utilizzo temporaneo nel 2003, la cui

conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il
soggiorno dei turisti») – il nostro sistema di sindacato “incidentale” di
costituzionalità attribuisce a qualsiasi “autorità giurisdizionale”
investita della relativa eccezione il potere di respingere la sollevata
eccezione “per manifesta irrilevanza o infondatezza” (stessa L. n. 87

conseguenza che il concreto esercizio di tale potere non può, per
definizione, integrare un vizio di eccesso di potere giurisdizionale
sindacabile da questa Corte ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, e
dell’art. 362 c.p.c., comma 1 (in termini, Cass. Sez. Un. n. 24468 del
2014).
Quanto alla questione di merito riprodotta nella censura, ribadito
quanto già affermato da questa Corte (Cass. Sez. Un. 9 novembre
2011 n. 23302), in presenza di una scelta del legislatore di prevedere
la demolizione delle opere accertate come abusive, il sindacato di
legittimità del giudice amministrativo nello scrutinare un uso dei beni
difforme rispetto a quello per cui erano stati autorizzati per un tempo
limitato (containers destinati a spogliatoio degli atleti anzichè per gli
addetti al cantiere e come tali caratterizzati da temporaneità) deve
prendere atto della chiara scelta di rimettere alle autorità
amministrative locali l’accertamento circa la natura delle opere
medesime.
Nella specie il sindacato del giudice amministrativo sulla motivazione
concernente l’ordine di demolizione si è mantenuto sul piano della
verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di
fatto esposti dal Comune come ragioni della necessità di
provvedimento autorizzativo.
Il Consiglio di Stato quindi – esercitando i poteri giurisdizionali di
verifica del rispetto, in particolare, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3,
comma 1, lett. e), che prevede quale siano gli “interventi di nuova
costruzione”, ossia di trasformazione edilizia e urbanistica del

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del 1953, art. 24, comma 1) integra un error in procedendo, con la

territorio che, non rientranti nelle categorie definite alle lettere
precedenti, sono comunque da considerarsi tali e che, secondo
motivata valutazione dell’autorità amministrativa, sono soggetti ad
autorizzazione – è rimasto nei confini propri della giurisdizione del
giudice amministrativo. D’altra parte ai fini dell’applicazione di tale

società in sede penale, non costituendo giudicato rispetto alla
valutazione amministrativa dell’atto, come chiarito dal Consiglio di
Stato (e non contestato dalla ricorrente in questa sede), avendo
peraltro il giudice penale disposto l’archiviazione del procedimento sul
precipuo assunto che le opere in questione erano di ‘modesta entità’.
In conclusione va ribadito quanto già affermato da questa Corte (di
recente, Cass. Sez. Un. 5 dicembre 2016 n. 24740) secondo cui, con
riguardo all’interpretazione da parte del Consiglio di Stato di norme di
legge non è configurabile un eccesso di potere giurisdizionale, sotto il
profilo dello sconfinamento nella sfera della potestà amministrativa
del comune, né altra questione di giurisdizione denunciabile con
ricorso alle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione, tenuto conto che
l’atto di normazione e gli eventuali errori nell’interpretare le sue
disposizioni non investono la sussistenza ed i limiti esterni del potere
giurisdizionale di detto giudice amministrativo, ma la legittimità
dell’esercizio del potere medesimo nel caso concreto.
Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.
Alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione
nella misura liquidata in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013
ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17,
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di

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disposizione non è rilevante l’accertamento delle responsabilità della

cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che
liquida in complessivi C 5.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre ad
accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito
della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite del
20 giugno 2017.

P.Q.M.

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