Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31218 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 29/11/2019), n.31218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4462-2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNI STAGNARO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1315/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 14/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Savona, Sezione distaccata di Albenga, l’Azienda ospedaliera Santa Corona di Pietra Ligure, la Regione Liguria e il Ministero della salute, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al contagio con il virus HCV, con conseguente epatite cronica, asseritamente contratto a causa di emotrasfusioni con sangue infetto avvenute nel 1978 e nel 1986, a seguito di interventi chirurgici cui era stato sottoposto.

Si costituì in giudizio il Ministero, eccependo l’incompetenza per territorio e la prescrizione del diritto, e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.

Dichiarata l’incompetenza da parte del Tribunale di Savona, la causa fu riassunta davanti al Tribunale di Genova, il quale dichiara inammissibile la domanda di risarcimento danni da responsabilità contrattuale e rigettò in accoglimento dell’eccezione di prescrizione, la domanda da responsabilità extracontrattuale.

2. La sentenza è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 14 dicembre 2016, ha rigettato l’appello ed ha compensato integralmente le ulteriori spese del grado. Ha osservato la Corte di merito, in adesione alla giurisprudenza di legittimità che la responsabilità del Ministero aveva, nella specie, natura extracontrattuale e che la prescrizione era, di conseguenza, quinquennale, decorrente dalla data di presentazione della domanda per la concessione dell’indennizzo di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210. Nel caso in esame, la domanda di concessione dell’indennizzo era stata presentata dal danneggiato in data 29 maggio 2000, mentre la successiva domanda risarcitoria davanti al giudice civile era stata introdotta con atto di citazione notificato il 28 febbraio 2008, sicchè era decorso il periodo di cinque anni idoneo al maturarsi della prescrizione. Nè poteva ritenersi che il provvedimento del 10 maggio 2010, col quale era stata accolta l’istanza di concessione dell’indennizzo suddetto potesse avere una valenza di non contestazione della decorrenza del termine di prescrizione.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Genova ricorre Manrico Stiffi con atto affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della salute.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4), sostenendo che la sentenza sarebbe nulla per difetto di motivazione, non avendo la Corte di merito tenuto conto del D.M. 11 maggio 2010, n. 33076, con cui era stata ritenuta tempestiva la domanda di concessione dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 167 del medesimo codice.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., degli artt. 2935 e 2947 c.c., oltre che nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4).

I tre motivi ruotano tutti, con diversit・di impostazioni giuridiche, intorno alla medesima tesi, e cio・che la domanda per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, presentata in data 29 maggio 2000, era stata proposta nella convinzione che il contagio fosse avvenuto con le trasfusioni del 1986. Essendo insorto un dissidio con il Ministero in relazione al riconoscimento dell’indennizzo, lo Stiffi aveva proposto un separato giudizio, davanti al giudice del lavoro, nel quale si era accertato che il contagio era avvenuto a seguito delle trasfusioni subite nel 1978 e non nel 1986, e che la domanda non poteva essere accolta per mancato esperimento della domanda amministrativa. Successivamente il Ministero aveva riconosciuto, col D.M. 11 maggio 2010, che la domanda amministrativa era tempestiva, perchè lo S. aveva saputo solo grazie alla sentenza del giudice del lavoro che il contagio col virus HCV era avvenuto a seguito delle trasfusioni del 1978. Tale decreto ministeriale avrebbe, secondo il ricorrente, natura di implicita non contestazione della prescrizione; per cui, non essendo decorso il termine di prescrizione per la concessione dell’indennizzo, nemmeno poteva essere decorsa la prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

4. Osserva la Corte che il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente, non sono fondati.

4.1. Ed invero la costante giurisprudenza di questa Corte, correttamente richiamata dalla Corte di merito, ha stabilito che la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi di natura extracontrattuale, nè sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo ・soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o pu・essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche (a tal fine coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4, bensì con la proposizione della relativa domanda amministrativa; così le Sezioni Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 576, nonchè la sentenza 19 dicembre 2013, n. 28464, e l’ordinanza 22 novembre 2017, n. 27757). Ciò significa che, nel momento in cui l’odierno ricorrente presentò la domanda amministrativa per il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 (29 maggio 2000, data sulla quale non c’è alcuna contestazione), egli era evidentemente a conoscenza della dipendenza del contagio col virus HCV dalle trasfusioni da lui subite in precedenza. Non assume alcun rilievo, ai fini della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, la circostanza per cui egli poteva essere convinto che il contagio dipendesse dalle trasfusioni del 1986 e non – com’è stato poi riconosciuto dal Ministero – da quelle del 1978. Ciò che conta è la certezza (in termini giuridici, s’intende) della sua consapevolezza, a quella data, di detta dipendenza, con conseguente exordium praesaiptionis ai sensi della consolidata giurisprudenza di questa Corte. Per cui è corretta la conclusione della Corte d’appello in base alla quale, essendo stato notificato l’atto di citazione introduttivo del presente giudizio in data 28 febbraio 2008 (anche su questa data non vi sono contestazioni), a quel momento il quinquennio della prescrizione era irrimediabilmente decorso.

Nè è in alcun modo sostenibile che il D.M. 11 maggio 2010, col quale il Ministero ritenne che la domanda amministrativa era tempestiva, possa avere, come vorrebbe il ricorrente, natura di implicita non contestazione della prescrizione.

Consegue da tale ricostruzione che non sussistono nè le invocate violazioni di legge nè la presunta nullità per vizio di motivazione di cui al primo motivo.

4.2. In riferimento, poi, al secondo motivo, è evidente che non c’è alcuna violazione del principio di non contestazione invocato dal ricorrente, perchè il fatto che il Ministero non abbia contestato la riconducibilità dell’infezione contratta alle trasfusioni avvenute nel 1978 anzichè a quelle del 1986 non modifica in alcun modo i termini del problema, alla luce delle precedenti osservazioni.

5. Il terzo motivo è invece, inammissibile.

Ed invero la censura, che richiama la giurisprudenza di questa Corte relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c., non considera che tale orientamento non consente comunque di sindacare, ai sensi di tale norma, la valutazione delle prove compiuta in sede di merito; e l’insistenza del ricorrente sul profilo dell’esatta conoscenza del momento al quale risaliva il contagio attiene ad un giudizio che non pu・essere nuovamente compiuto in questa sede.

6. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.800 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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