Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31213 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 28/11/2019), n.31213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

SILV.IM. s.a.s. di SILV. s.r.l. e c., in persona dell’accomandatario

l.r.p.t. e amministratore della socia accomandataria Silv. S.r.l.,

rappr. e dif. dall’avv. Natale Callipari, elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Francesco Musolino in Roma, via Veneto n. 108, come

da procura allegata all’atto;

– ricorrente –

Contro

EQUITALIA Servizi di Riscossione s.p.a., in persona del l.r.p.t.,

rappr. e dif. dall’avv. Giorgio Fassino ed elett. dom. presso lo

studio dell’avv. Stefano Caponetti, in Roma, via Sardegna n. 29,

come da delega in calce all’atto

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Trento 29.3.2017, n. 2579/2017,

in R.G. n. 128/2017;

vista la memoria del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 5 novembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. SILV.IM. s.a.s. di SILV. s.r.l. e c. impugna il decreto Trib. Trento 29.3.20172, n. 2579/2017, in R.G. n. 128/2017, con cui è stata rigettata l’opposizione allo stato passivo proposta ai sensi della L. Fall., artt. 98 e 99, dalla ricorrente avverso lo stato passivo del fallimento S.F. s.r.l.;

2. la ricorrente aveva impugnato l’ammissione allo stato passivo quanto ai crediti tributari ivi iscritti sulla base degli estratti di ruolo, come recati in giudizio da Equitalia; il tribunale ha ritenuto che il credito può essere ammesso al passivo fallimentare anche se il ricorrente abbia allegato l’estratto di ruolo in uno con la domanda e così ponendo il curatore nella condizione di potenziale contestazione, in difetto di tale iniziativa potendo già il citato estratto far conseguire alla domanda l’ammissione definitiva e senza riserva;

3. il tribunale ha evidenziato, altresì, l’irrilevanza della disciplina della cd. rottamazione delle cartelle di cui al D.L. n. 193 del 2016, rientrando la possibilità di avvalersene in una prerogativa rimessa solo agli organi concorsuali, secondo una determinazione che, ove non condivisa, avrebbe preteso il diverso sindacato L. fall., ex art. 36 estraneo al presente giudizio;

4. con il ricorso si deduce, in due motivi, la violazione di legge del combinato disposto della L. Fall., artt. 52, 93, 95-96, 98-101, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, per aver il tribunale ritenuto ammissibili allo stato passivo fallimentare crediti tributari portati da un atto amministrativo, l’estratto di ruolo, che è un documento formato dal concessionario della riscossione e non contiene nessuna pretesa impositiva; parimenti, la decisione è errata ove non ha sindacato la diversa debenza tributaria che la procedura avrebbe potuto registrare se solo avesse aderito ai vantaggi della rottamazione delle cartelle di cui al D.L. n. 193 del 2016; in via subordinata, la ricorrente solleva eccezione di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, ove è inteso quale norma che consente la predetta insinuazione solo con il ruolo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. osserva preliminarmente il Collegio, anche a fronte dell’eccezione illustrata in memoria, che “l’estinzione “ope legis” delle società del gruppo Equitalia ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 1, conv. in L. 225 del 2016, non determina l’interruzione del processo, trattandosi di una forma di successione nel diritto controverso, nè la necessità di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione: ne deriva che il nuovo ente, ove si limiti a subentrare negli effetti del rapporto processuale pendente al momento della sua istituzione, senza formale costituzione in giudizio, può validamente avvalersi dell’attività difensiva espletata dall’avvocato del libero foro già designato da Equitalia secondo la disciplina previgente” (Cass. 28741/2018,10547/2019);

2. il primo motivo è inammissibile; il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, comma 2, prevede che se il debitore è dichiarato fallito “il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell’Agenzia delle entrate l’ammissione al passivo della procedura” ed il successivo art. 88, comma 1, aggiunge che “se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è ammesso al passivo con riserva, anche nel caso in cui la domanda di ammissione sia presentata in via tardiva a norma del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101” (Cass.5244/2017);

3. “come già ripetutamente affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 5063/2008, Cass. ord. nn. 12019/2011, 3876/2015, 4631/2015) i crediti iscritti a ruolo ed azionati da società concessionarie per la riscossione seguono, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore l’iter procedurale prescritto per gli altri crediti concorsuali dalla L. Fall., artt. 92 e ss., legittimandosi la domanda di ammissione al passivo, se del caso con riserva (ove vi siano contestazioni), sulla base del solo ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale al curatore (..) l’organo del fallimento è pienamente edotto della pretesa erariale con la comunicazione del ruolo contenuta nella domanda di ammissione e che, ai sensi del D.Lgs. n. 465 del 1992, art. 19, ha da quel momento la possibilità di opporsi a detta pretesa impugnando il ruolo dinanzi alle competenti Commissioni Tributarie, senza alcuna necessità che gli venga preventivamente intimato il pagamento” (Cass. ord. 655/2016); infatti, “è ben vero che questa Corte ha affermato, non di recente, che ai fini dell’ammissione dei crediti tributari al passivo del fallimento del contribuente è necessaria la previa notifica del ruolo al curatore, onde consentire a quest’ultimo di ricorrere avverso il ruolo stesso in vista della conseguente ammissione del tributo con la “riserva” prevista dal D.P.R. cit., art. 45. (Cass. 6032/1998). Quel precedente, tuttavia, era riferito al testo del D.P.R. anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che ha riscritto gli artt. 87 e 88, citt.” (Cass. 6126/2014);

4. con il termine “ruolo” ed “estratto di ruolo” si indicano due documenti tra loro differenti da un punto di vista sostanziale: infatti, “il “ruolo”, come noto ha una sua precisa definizione legislativa, posto che per il vigente testo del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 10, lett. b), esso è “l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario” e che, per il medesimo D.P.R., art. 11, “nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi”. A norma del successivo art. 12 l’ufficio competente “forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi l’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce”; nel ruolo “devono essere comunque indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all’iscrizione”; “il ruolo è sottoscritto, anche mediante firma elettronica, dal titolare dell’ufficio o da suo delegato” e “con la sottoscrizione il ruolo diviene esecutivo”, cioè costituisce titolo esecutivo. Dai riprodotti dati normativi discende che il “ruolo” è un atto amministrativo impositivo (fiscale, contributivo o di riscossione di altre entrate allorchè sia previsto come strumento di riscossione coattiva delle stesse) proprio ed esclusivo dell’ufficio competente” (cioè dell’ente creditore impositore), quindi “atto” che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, deve ritenersi tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale. (..) Il “documento” denominato “estratto di ruolo”, tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia, non è invece specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente. Esso – che viene formato (quindi consegnato) soltanto su richiesta del debitore – (v. Consiglio di Stato, IV, n. 4209 del 2014) semplicemente un “elaborato informatico formato dall’esattore… sostanzialmente contenente gli… elementi della cartella…”, quindi anche gli “elementi” del ruolo afferente quella cartella (il C.d.S., peraltro, ha affermato l’inidoneità del suo rilascio ad ottemperare all’obbligo di ostensione all’interessato che ne abbia fatto legittima e motivata richiesta, della copia degli originali della cartella, della sua notificazione e degli atti prodromici. Da quanto sopra esposto emerge con sufficiente chiarezza la differenza sostanziale tra “ruolo” ed “estratto di ruolo” (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il “ruolo” (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un “provvedimento” proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); l'”estratto di ruolo”, invece, è (e resta sempre) solo un “documento” (un “elaborato informatico… contenente gli… elementi della cartella”, quindi unicamente gli “elementi” di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (nè, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta” (Cass. s.u. 19704/2015);

5. nonostante la differenza sostanziale che caratterizza il “ruolo” e “l’estratto di ruolo”, comunque “l’estratto di ruolo è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale” (Cass. 11794/2016);

6. la L. Fall., art. 93, richiede ai fini dell’ammissione al passivo l’allegazione al ricorso dei documenti dimostrativi del diritto del creditore e, a tali fini, non solo il ruolo ma anche l’estratto di ruolo è idoneo a dimostrare l’esistenza del diritto di credito (Cass. 5244/2017), nè, esigendo la notifica della cartella di pagamento, si può imporre all’agente della riscossione un onere maggiore, equivalente ad esigere inammissibilmente un titolo esecutivo in allegazione al proprio credito: infatti questa Corte ha ritenuto che “per l’ammissione al passivo fallimentare dei crediti insinuati dai concessionari della riscossione dei tributi è sufficiente, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, comma 2, n. 46, la produzione del solo estratto di ruolo, senza che occorra, in difetto di espressa previsione normativa, anche la previa notifica della cartella esattoriale” (Cass. 12117/2016, 655/2016); l’indirizzo può dirsi consolidato (Cass. 16112/2019, 2732/2019, 23576/2017), avendo questa Corte da ultimo precisato che “in ragione del processo di informatizzazione dell’amministrazione finanziaria che, comportando la smaterializzazione del ruolo, rende indisponibile un documento cartaceo, imponendone la sostituzione con una stampa dei dati riguardanti la partita da riscuotere… stante il disposto del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23 (modificato dal D.Lgs. n. 235 del 2010, art. 16, comma 1), gli estratti del ruolo, consistenti in copie operate su supporto analogico di un documento informatico, formate nell’osservanza delle regole tecniche che presiedono alla trasmissione dei dati dall’ente creditore al concessionario, hanno piena efficacia probatoria ove il curatore non contesti la loro conformità all’originale”, circostanza che non risulta nè provata nè allegata;

7. il secondo motivo è inammissibile, avendo con esso il ricorrente invocato il sindacato su una omessa condotta adesiva, da parte del curatore fallimentare, al meccanismo di rottamazione delle cartelle di cui al D.L. n. 193 del 2016, senza peraltro censurare in modo specifico la decisione del tribunale che ha opposto a tale censura una puntuale ratio decidendi di inammissibilità, attenendo quella facoltà ad una prerogativa rimessa alla discrezionalità, prudenza e convenienza dell’organo concsorsuale; la conseguente eventuale reclamabilità, correttamente riferita dai giudici trentini al ben differente controllo di legalità degli atti del curatore L. Fall. ex art. 36, senza incidenza diretta sull’accertamento del passivo, appare nel motivo del tutto elusa, posto che sono riprodotte considerazioni, oltre tutto, ammissive dell’indispensabilità di un atto autonomo del curatore, cioè di una sua iniziativa, per poter invocare una riduzione del passivo; la genericità della contestazione, semmai, conferma l’impossibilità di ipotizzare una ricostruzione virtuale del passivo quale ridotto a seguito di una scelta mancata del curatore;

8. la invocata eccezione d’incostituzionalità appare infine infondata: essa viene manifestata, e per la prima volta nel processo, in modo del tutto generico, in un confuso affastellamento di parametri costituzionali che, invero, sottendono una mera considerazione di svantaggio per la parte nel trattamento concorsuale di un altrui credito; nè il regime probatorio che è alla base dell’orientamento qui applicato e contestato introduce alcun privilegio ingiustificato sotto il profilo processuale, derivando esso – come esplicitato in premessa – dalla consolidata ricostruzione della natura dell’atto formato dal concessionario e, nello specifico, costituendo l’ammissione anche il risultato di un contraddittorio che ha permesso, in primo luogo al curatore, di coltivare, come non avvenuto, un diverso contenzioso in sede tributaria;

9. il ricorso è, pertanto, inammissibile. Si dà atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis. Le spese, a loro volta, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 12.100,00, ivi compresi Euro 100,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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