Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31207 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 28/11/2019), n.31207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20606-2018 proposto da:

B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUCA ZUPPELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Presidente Relatore Dott. DI VIRGILIO

ROSA MARIA.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto depositato l’8/6/2018, il Tribunale di Brescia ha respinto il ricorso di B.P., inteso ad ottenere la protezione internazionale, lo status di rifugiato e, in subordine, la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a), b) e c), rilevando, quanto alla richiesta dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 cit. ex art. 14, lett. a) e b), la non credibilità della narrazione del ricorrente, che aveva riferito di avere lasciato il Paese di origine transitando in Togo, Niger, Burkina Faso e Libia, di avere investito la figlia dell’Imam della moschea di Afia Kuma, di essere stato malmenato dai musulmani che frequentavano detta moschea, che era stato minacciato di morte dal padre della bambina nel caso questa fosse morta, di essere fuggito dall’ospedale dopo avere appreso che la bambina era deceduta, di essere stato aiutato da un conoscente e di essere prima fuggito in Togo e poi in Libia; di temere di rientrare in Ghana perchè è molto pericoloso il gruppo dei musulmani che lo sta cercando.

Quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), il Tribunale ha evidenziato la generale situazione del Ghana e, quanto alla protezione umanitaria, ha rilevato come nessuno specifico elemento fosse stato addotto a sostegno di detta richiesta.

Ricorre con due mezzi il B.; il Ministero si difende con controricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

Il ricorso, del tutto privo della parte espositiva in fatto, si articola in due motivi, le cui rubriche recitano: violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, e del T.U.I., art. 5, comma 6; vizio di motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria.

A dette rubriche, fa seguito un’unica espositiva, nella quale il ricorrente lamenta che la non attendibilità sarebbe stata ritenuta sulla base di mere asserzioni inidonee a dare conto delle ragioni, che non sarebbe stato considerato che l’accesso al sistema giudiziario ghanese è accessibile solo alle persone abbienti; che le apodittiche affermazioni del Tribunale sono prive di riferimenti concreti acquisibili a mezzo dell’esercizio del dovere di cooperazione officiosa.

E’ di chiara evidenza come il ricorso, oltre che alla mancanza della esposizione sommaria dei fatti di causa, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, palesi la mancata articolazione degli specifici motivi, per i quali la parte chiede la cassazione della pronuncia, secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 4.

Quanto alla mancanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), questa Corte ha affermato, nelle pronunce 13312/2018 e 1926/2015, che il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente.

Quanto ai due motivi di ricorso, articolati ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, va rilevato che alla rubrica dei due mezzi, segue un’unica parte espositiva, nella quale il ricorrente fa riferimento al vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, e nel resto contesta la valutazione di inattendibilità ed il mancato rispetto del dovere di cooperazione istruttoria, lasciando inammissibilmente a questa Corte di individuare e relazionare al singolo vizio fatto valere la parte espositiva.

Ed infatti, come affermato nelle pronunce 2790/2018 e 7009/2017, in materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2100,00, oltre le spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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