Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31204 del 29/12/2017


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 31204 Anno 2017
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: NAZZICONE LOREDANA
Data pubblicazione: 29/12/2017

SENTENZA

sul ricorso 23716/2014 proposto da:
Loiacono

Vito,

Loiacono

Monica,

Pieroni

Enia,

domiciliati in Roma, Via XX Settembre n. 3,
dell’avvocato

elettivamente

presso lo studio

Sassani Bruno, che li rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

ricorrenti –

e sul ricorso di:

Silvera Leone Alessandro, elettivamente domiciliato in Roma, Via XX
Settembre n. 3,

presso lo studio dell’avvocato

Rappazzo Antonio,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Roseo Laura
Lilia,

Terenghi

Marco

Alfonso,

giusta

procura

a

margine

del

controricorso e ricorso incidentale;
ricorrente successivo –

contro

Allianz S.p.a., già Riunione Adriatica di Sicurta’, in persona dei legali
rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via
Panama n. 88,

presso lo studio dell’avvocato

che la rappresenta e difende

Spadafora Giorgio,

unitamente all’avvocato

Spadafora

Antonio, giusta procura in calce al controricorso;

controricorrente –

contro
Scagni Edoardo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Lazio n.
20/c,

presso lo studio dell’avvocato Coggiatti Claudio,

che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Del Pogg io Antonio
Maria, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
controricorrente e ricorrente incidentale contro
Ciardiello Adolfo, Scuticchio Giovanni, elettivamente domiciliati in
Roma, Via Lazio n. 20/c,

presso lo studio dell’avvocato

Coggiatti

Claudio, che li rappresenta e difende, giusta procure in calce al
controricorso e ricorso incidentale adesivo e ricorso incidentale;

controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

2

Niro

Alfredo,

elettivamente

Rodriguez Pereira n. 41,

domiciliato

in

Roma,

Via

presso lo studio dell’avvocato

Marco, rappresentato e difeso dall’avvocato

Romeo
Gabriele

Giorgetti Raffaello,

giusta procura in calce al ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro
Longo

Lucio

Filippo,

elettivamente

domiciliato

in

Roma,

Viale

America n. 93, presso lo studio dell’avvocato Cecilia Sergio, che lo
rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio

dott.

Farinaro Paolo di Roma – Rep. 257769 del 14/9/17;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

Delta – Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni – S.p.a. in
Liquidazione coatta amministrativa, in persona del Commissario
Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale
delle Milizie n. 9,

presso lo studio dell’avvocato

D’Acunti Stefano,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’Acunti Carlo
Mario, giusta procura a margine dei n.6 controricorsi e ricorsi
incidentali condizionati;
controricorrente e ricorrente incidentale contro

Longo

Lucio

Filippo,

elettivamente

domiciliato

in

Roma,

Viale

America n. 93, presso lo studio dell’avvocato Cecilia Sergio, che lo
rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio

dott.

Farinaro Paolo di Roma – Rep . 257769 del 14/9/17;
controricorrente al ricorso incidentale 3

contro
Ciardiello Adolfo, Scuticchio Giovanni, elettivamente domiciliati in
Roma, Via Lazio n. 20/c,

presso lo studio dell’avvocato

Coggiatti

Claudio, che li rappresenta e difende, giusta procure in calce al
controricorso e ricorso incidentale;

controricorrenti al ricorso incidentale –

contro
Scagni Edoardo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Lazio n.
20/c, presso lo studio dell’avvocato Coggiatti Claudio, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato Del Poggio Antonio
Maria, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
controricorrente al ricorso incidentale –

nonché contro
Aurora S.p.a., Axa Assicurazioni S.p.a ., BPB Assicurazioni S.p.a.,
Calcagni Ivo, Cape’ Luigi, Compagnia Assicuratrice Unipol S.p.a .,
Cucchiani Giovanni, Dassogno Alberto, Fondiaria Sai S.p.a., Italiana
Assicurazioni S.p.a., Micheli Carlo, Milano Assicurazioni S.p.a., Reale
Mutua Assicurazioni S.p.a., Sgarlata Marcello, Sodini Alberto;
– intimati avverso la sentenza n. 763/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 05/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/09/2017 dal cons. NAZZICONE LOREDANA;
4

udito

il

P.M.,

in

persona

del

Sostituto

Procuratore

Generale

DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale
e rigetto degli incidentali;
uditi, per i ricorrenti Lo i a cono + altri: l’Avvocato Domenico Spagnuolo, con
delega; per il controricorrente e ricorrente incidentale Longa: l’Avvocato
Sergio Cecilia; per la controricorrente Allianz S.p.a.: l’Avvocato Antonio
Manganiello, con delega; per la controricorrente e ricorrente incidentale
Delta:

l’Avvocato Stefano D’Acunti;

per i controricorrenti e ricorrenti

incidentali Scuticchio + l e Scagni: l’Avvocato Claudio Coggiatti; per il
controricorrente e ricorrente incidentale Niro Alfredo: l’avvocato Alfredo
Niro, con delega; che hanno chiesto tutti l’accoglimento delle proprie
conclusioni cosi come dedotte nei rispettivi scritti.

FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma con sentenza del 5 febbra io 2014 ha
confermato la decisione del Tribunale della stessa città del 16 settembre
2004, la quale aveva condannato gli ex amministratori e sindaci della Delta
Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p .a. in liquidazione coatta
amministrativa al risarcimento del danno per ma/a gestio ed omesso
controllo sui fatti dei delegati, nelle diverse misure liquidate in rapporto alle
rispettive responsabilità.
Circa il termine di prescrizione dell’azione, la corte territoriale ha
premesso che esso decorre, per l’azione prevista dall’art. 2394 cod. civ.,
dalla insufficienza patrimoniale oggettivamente conoscibile dai creditori,
che tale situazione non coincide con la perdita integrale del capitale sociale
né con l’insolvenza e che è onere dei convenuti provarne l’esistenza e la
conoscibilità

in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento o di

liquidazione coatta amministrativa.
Ha ritenuto, nella specie, che la prescrizione ex art. 2394 cod. civ.
correttamente si è fatta decorrere dal giudice di primo grado dal dato
oggettivo costituito dal decreto ministeriale del 27 marzo 1993, con il quale
il Ministero dell’industria aveva revocato le autorizzazioni all ‘esercizio delle
attività di assicurazione e disposto la liquidazione coatta amministrativa

5

della

società,

non

essendo

stata

invece

raggiunta

la

prova

della

manifestazione dell’insufficienza patrimoniale in un momento anteriore. In
particolare, ha affermato che la prescrizione non potesse farsi decorrere
dal deposito, in data 28 luglio 1992, del bilancio di esercizio chiuso al 31
dicembre 1991, recante la perdita quasi integrale del capitale sociale,
perché l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti
vantati – intesa come eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio
netto, ossia come insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti della società
oggettivamente conoscibile dai creditori – non coincide con la perdita del
capitale, la quale non implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo
del patrimonio sociale, ma consiste in un definitivo squilibrio patrimoniale,
che è onere dei convenuti provare. Ha concluso, al riguardo, che l’azione,
promossa dalla procedura con atto di citazione notificato fra la fine di
gennaio e l’inizio di febbraio 1998, è tempestiva .
Quindi, dopo avere elencato i fatti di ma/a gestio accertati in capo agli
amministratori operativi e gli episodi di inadempimento ai loro doveri, ha
affermato che essi sono stati resi possibili dalla mancanza di un sistema
adeguato di controlli interni, non risultando mai mossi rilievi da parte dei
consiglieri di amministrazione e dei sindaci al riguardo, nonostante le
informazioni

rese

al

consiglio

fossero

state

sempre

generiche

ed

incomplete, mentre neppure fu mai sollecitata l’attenzione dell’assemblea
dei soci o del pubblico ministero; ed ha ritenuto non integrata la prova di
condotte ostative poste in essere dagli amministratori operativi, tale da
rendere inesigibile un più efficace controllo dei deleganti e dei sindaci o la
loro attivazione volta ad evitare gli eventi dannosi.
Avverso questa sentenza propongono ricorso gli ex sindaci Vito e
Monica Loiacono ed Enia Pieroni, affidato a cinque motivi.
Propongono controricorso con ricorso incidentale gli ex amministratori
Longa (adesivo ai primi due motivi dei ricorrenti ed autonomo per otto
motivi), Scagni ( 4 complessi motivi), Niro (tre motivi), Si l vera (3 motivi),
gli ex sindaci Ciardiello e Scuticchio (quattro motivi).

6

/

l

Resiste con distinti controricorsi la Delta Compagnia di Assicurazioni e
Riassicurazioni s.p.a. in !.c.a ., che propone anche ricorso incidentale
condizionato per un motivo.
Al ricorso incidentale di Delta s.p.a.

resistono Longa, Ciardiello,

Scuticchio e Scagni.
Resiste, altresì, con controricorso Allianz s.p.a., rilevando come il capo
di sentenza di primo grado relativo al rigetto della domanda di garanzia,
proposta

dal

sindaco

Alberto

Dassogno

contro

la

controricorrente

medesima, sia passato in giudicato e chiedendo quindi il rigetto del ricorso
principale.
I ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali Longa, Scagni, Ciardiello,
Scuticchio, Delta s.p.a. in !.c.a. ed Allianz s.p.a. hanno depositato le
memorie di cui all’art. 378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I ricorsi.
1.1. – I ricorrenti principali articolano avverso la sentenza impugnata
motivi che possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2394, comma 2, 2935 e
2949 cod. civ., perché la corte territoriale ha calcolato la prescrizione sulla
base della prima norma indicata, mentre il dies a quo del termine
quinquennale decorreva, per i sindaci, non dal giorno dell’insufficienza
patrimoniale,

prevista

per

la

sola

azione

dei

creditori

contro

gli

amministratori, ma dal giorno di commissione del fatto integrante la
responsabilità dei sindaci o in cui il danno cagionato dalla loro condotta si
sia manifestato all’esterno: dunque, nella specie, sin dall’ultimo trimestre
del 1992, quando furono emesse le polizze Rilldale e versate somme alla
Immobiliare

Spalato

s.r.l.,

con

conseguente

prescrizione

dell’azione

risarcitoria, intrapresa dalla procedura il 31 gennaio 1998; né ai sindaci si
applica la sospensione ex art. 2941, comma l, n. 7, cod. civ.;
2) falsa applicazione dell’art. 2394, comma 2, e violazione dell’art.
2935 cod. civ., perché, ove sia applicabile il dies a quo ai sensi della prima
norma, il termine quinquennale di prescrizione deve farsi decorrere dal

7

giorno

del

deposito

dall’approvazione

o

del
dal

bilancio
deposito

di
del

esercizio
bilancio

1991

(o,

al

modificato,

più,

avvenuti

rispettivamente il 30 giugno ed il 28 luglio 1992), il quale evidenziava una
perdita idonea a palesare l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare
i creditori, mentre la corte del merito ha affermato che «tale perdita non

implica la consequenziale perdita di ogni valore attivo del patrimonio
sociale», non essendo invece richiesto che sussista la perdita di ogni valore
attivo. Inoltre, incongruo è il riferimento alla data del 2 aprile 1993, di
pubblicazione in Gazzetta ufficiale del d. m. 27 marzo 1993 di revoca delle
autorizzazioni all’esercizio dell’attività assicurativa, con sottoposizione a
liquidazione

coatta

amministrativa

della

società:

dovendo,

individuarsi detto termine, alternativamente, nel giorno l

0

semmai,
settembre

1992, data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale del d.m. 28 agosto 1992,
n. 390, volto alla cancellazione della società dall’elenco delle compagnie
abilitate alla prestazione di garanzie in favore dello Stato e degli enti
pubblici,

oppure

nella

data

dell’ll

novembre

1992,

quando

I’Isvap

comunicò al Ministero dell’industria di avere deliberato la revoca delle
residue autorizzazioni;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2407, comma 2, e 2697
cod. civ., avendo ritenuto i sindaci responsabili per omesso controllo con
riguardo a due fatti di ma/a gestio – il rilascio di polizze alla Del Favero
s.p.a. a garanzia delle obbligazioni assunte dalla Rilldale Ltd. Ireland e
dalla Rilldale Ltd. U.K., e la perdita del prezzo residuo dovuto dalla Stema
s.r.l. resasi cessionaria della Immobiliare Spalato s.r.l. – nonostante la
mancata prova del nesso causale tra condotte omissive e danno, avendo la
corte territoriale affermato che i sindaci non avrebbero allegato e provato
di avere esattamente adempiuto all’incarico, così gravandoli di un onere
non spettante loro, ed indebitamente assimilandone la responsabilità a
quella degli amministratori

privi di deleghe, soprattutto laddove ha

reputato irrilevante che la gestione e le singole operazioni fossero state
occultate ai sindaci

stessi;

i quali,

invece, fecero del loro

meglio,

impegnandosi a comprendere lo stato della società immediatamente dopo
8

l’assunzione

nell’incarico,

riunendosi

con

tempestività

e

chiedendo

ragguagli agli amministratori; mentre il non avere informato l’assemblea o
denunziato le irregolarità al pubblico ministero non avrebbe evitato la
produzione del danno, essendo ormai stata posta in essere la condotta
illecita gestoria;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 cod. civ., quanto al
~

sindaco Monica Loiacono, la quale non era in carica al momento della

~

realizzazione di nessuna delle due operazioni menzionate, avendo ricoperto

·~

l’incarico dal l 0 ottobre 1992 al marzo 1993;

u::

~

()

~

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e nullità della

;::j

o
o

sentenza, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, dato che

o

la corte del merito, mentre ha confermato la condanna per la ricorrente
Monica Loiacono, ha ritenuto non responsabile il sindaco Davide Liberati, in

~

·~

carica dal 30 giugno 1992 al 30 settembre 1992, in quanto l’operazione

~
o
()

“Rilldale” fu di poco anteriore o successiva all’assunzione della carica del
medesimo,

che

non

avrebbe

potuto

percepirne

l’esistenza,

con

ragionamento allora estensibile anche alla Loiacono, entrata nella societ à

~

oo

dopo la predetta operazione.
1.2. – Il ricorso incidentale dell’ex amministratore Longo – oltre ad

·~

N

~

aderire ai primi due motivi del ricorso principale – propone i seguenti

r./)
r./)

motivi autonomi:

~

u

1) violazione dell’art. 132, comma 2, n. 3, cod. proc. civ., con nullità
della sentenza, oltre ad omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360,

·~

“”t

comma l, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., per avere la corte del merito riportato
le

conclusioni

dal

medesimo

esposte

in

modo

incompleto,

menzionare l’eccezione di prescrizione, e, sebbene abbia in motivazione
ricordato l’esistenza di detta eccezione anche da parte del Longo1l’avesse’
~ (p.

34), non ha poi esaminato l’argomento (ed il relativo

documento) secondo cui il dies a quo del termine prescrizionale va
individuato nel d.m. 28 agosto 1992, n. 390, pubblicato nella Gazzetta
ufficiale del l 0 settembre 1992, n. 206, di revoca delle autorizzazioni allo

9

~

senza

fJ/)

o

u

svolgimento

dell’attività

assicurativa

in

favore

delle

pubbliche

amministrazioni;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2393, 2394, 2697, 2949

cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., oltre ad omesso esame di fatto
decisivo, per aver ancorato la decorrenza della prescrizione all’emissione
del decreto di messa in l.c.a. del 27 marzo 1993, affermando che non vi è
prova

della

patrimoniale,

manifestazione
sebbene il

in

epoca

ricorrente

sia

anteriore
stato

della

insufficienza

amministratore dal

22

novembre 1990 al 13 gennaio 1993: lad dove essa era percepibile sin dal
momento della approvazione del bilancio di esercizio 1991, o dall’ispezione
presso la società deii’Isvap svoltasi tra il 25 febbraio e il 18 maggio 1992, o
dalla comunicazione Isvap alla società del 30 luglio 1992 sulla difficoltà ad
effettuare i normali pagamenti, o dal

d.m. 28 agosto 1992, n. 390, di

cancellazione dall’elenco delle compagnie abilitate alle garanzie pubbliche
per insufficienza del patrimonio netto disponibile, o dall’invio della relazione
Isvap alla commissione consultiva per le assicurazioni il 6 novembre 1992,
o dall’atto di precetto alla società notificato il 15 dicembre 1992 dal
Consorzio provinciale per il risanamento idraulico del Magentino, o dal l

o

dicembre 1992, quando è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il d.m. n.
19442, con il quale si vietava alla società di compiere atti di disposizione e
si ordinava alla stessa di vincolare le attività finanziarie a garanzia degli
assicurati e terzi, ed al conservatore di Milano di iscrivere ipoteca sugli
immobili sociali;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2393, 2394, 2697 cod .

civ., 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma l, nn. 3 e 5
cod. proc. civ., in quanto la corte non ha considerato il principio ad
impossibilia nemo tenetur, quale limite al proprio obbligo di vigilanza,

posto che gli amministratori delegati avevano impedito il controllo ai
deleganti, e non ha accertato la colpa ed il nesso causale con la condotta di
questi ultimi, omettendo di graduare le responsabilità sulla base delle
diverse funzioni ricoperte, ma affermando la solidarietà nell’illecito: mentre
il Longo era mero componente del consiglio d’amministrazione della

IO

~\

società, ma non di altre società del gruppo, avendo avuto quindi modesta
percezione della consistenza economica e finanziaria del medesimo;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2394, 2697 cod.
civ.,

oltre ad

omesso esame di fatto decisivo,

per averlo ritenuto

responsabile con riguardo alla cd. operazione Immobiliare Banchi Vecchi
s.r.l., consistita nell’acquisto della partecipazione sociale totalitaria della
predetta società, mentre, da un lato, il prezzo pagato era del tutto
congruo, e, dall’altro lato, egli comunque aveva assunto la carica il 22
novembre 1990, quando ormai l’operazione era stata avviata sin dal luglio
precedente, e solo il 16 settembre 2001 ne era stato informato il consiglio
d’amministrazione;

5) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2394, 2697 cod.
111 Cost. per contrasto irriducibile in motivazione tra affermazioni

civ.,

inconciliabili ex art. 360, comma l, n. 4, cod. proc. civ., oltre ad omesso
esame di fatto decisivo, avendo il tribunale commesso un errore di calcolo

(il credito non recuperato della società verso la Immobiliare Spalato s.r.l.
era pari non a L. 1.706.000.000, ma a L. 1.234.000.000, derivante da
versamento del 5 luglio 1990, perché vi erano stati versamenti di ulteriori
L. 472.000.000 soltanto negli ultimi due mesi del 1992: laddove egli era
stato nominato solo il

22 novembre

1990 e non erano comunque

conoscibili i successivi versamenti) non esaminato dalla corte d’appello, e
che invece sarebbe servito a collocare temporalmente i fatti e la causalità
degli eventi; inoltre, sino a quando la Immobiliare Spalato s.r.l. è rimasta
controllata di Delta, nessun danno sussisteva per quest’ultima; l’avere, poi,
mandato esente da responsabilità il presidente della società Di Donna
palesa una disparità di trattamento;

6) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2394, 2697 cod.
civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, con riguardo alla vicenda
delle polizze cauzionali stipulate con il cd . Gruppo Zanini a garanzia delle
obbligazioni della la CE.AL.CA. Sud s.p.a., rivelatasi inadempiente, che non

è stata bene valutata dalla corte d’appello, la quale non ha tenuto conto
che

i

singoli

amministratori

non

esaminano
Il

le

migliaia

di

polizze

annualmente emesse dalla società, onde non potevano sapere che, come
afferma la sentenza del tribunale, nessuna attività di accertamento era
stata compiuta prima della stipulazione dei contratti, che mancava la
previa deliberazione almeno del comitato fidi, né che l’operazione fu
compiuta, come afferma ancora il tribunale, in violazione del divieto di
nuove operazioni di cui all’art. 2449 cod. civ .: essendo la competenza
dell’amministratore delegato o del detto comitato, dunque, il singolo
consigliere, nel silenzio di tali organi, non poteva che ritenerne regolare
l’operato, e la corte territoriale non ha spiegato come il Longa avrebbe
potuto essere al corrente dei fatti e cosa avrebbe potuto fare per evitare il
danno;
7) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2394, 2697 cod.

civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, con riguardo alla vicenda
delle

polizze

Rilldate

Ltd.

Ireland

e

Rilldate

Ltd.

U.K.,

decise

dall’amministratore delegato o dal comitato fidi, e sulle quali il controllo era
affidato al collegio sindacale, onde, non avendo nessuno di costoro
informato il consiglio di amministrazione, esse non erano conoscibili da
parte del singolo consigliere, mentre la corte territoriale non ha tenuto
conto dei documenti portati dal Longa per smentire l’affermazione del
tribunale circa la trascrizione di tali polizze sui registri societari, e per
dimostrare che esse non risultavano nemmeno dal registro dei corrispettivi,
non avendo l’altro contraente pagato alcunché;
8) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2394, 2697 cod.

civ., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, e dell’art. 111 Cast. per
contrasto irriducibile in motivazione tra affermazioni inconciliabili ex art.
360, comma l, n. 4, cod. proc. civ., con riguardo alla vicenda della
vorticosa successione, fra il 4 e il 18 giugno 1992, dei contratti di locazione
dell’appartamento di Via del Biscione in Roma, della quale nulla il Longa
poteva sapere, non avendo l’ amministratore delegato informato il consiglio
di

amministrazione,

dovendo

egli

controllare

quotidianamente

i

documenti e i registri societari, ed essendo stato appunto Ivo Calcagni
condannato per bancarotta fraudolenta dal Tribunale di Roma perché

12

«teneva le scritture obbligatorie in guisa da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari»; inoltre, il
presidente Di Donna ed i sindaci, in quanto in carica dal 30 giugno 1992 al
29 marzo 1993, sono stati ritenuti esenti da responsabilità, ma non il
Longa, pur dimessosi sin dal 13 gennaio 1993; infine, la corte del merito
non ha motivato circa l’errore di calcolo della somma pagata da Delta
s.p.a., della quale peraltro non vi è prova.
1.3. – Il ricorrente incidentale Scagni, ex amministratore, propone
seguenti complessi motivi di ricorso:

1} violazione e falsa applicazione degli artt. 2394, 2697, 2935, 2949
cod. civ. e 206 legge fall., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, con
riguardo alla prescrizione dell’azione di responsabilità esperita, avendo
assunto come dies a qua il decreto ministeriale del 27 marzo 1993 e
confutato la decorrenza del termine dal

bilancio dell’esercizio 1991,

depositato nel registro delle imprese il 28 luglio 1992, che già palesava la
perdita tale da azzerare il capitale sociale, rilevabile dai creditori, soggetti
professionalmente

altamente

qualificati,

senza

considerare

gli

altri

momenti, ovvero: il d.m. 28 agosto 1992, n. 390, con il quale la società
era stata cancellata dall’elenco delle compagnie abilitate alle garanzie
pubbliche per insufficienza del patrimonio netto disponibile; il decreto l

o

dicembre 1992, n. 19442, con il quale fu vietato alla società di compiere
atti di disposizione, ordinandole di vincolare le attività finanziarie a
garanzia degli assicurati e terzi , ed al conservatore di Milano di iscrivere
ipoteca sugli immobili della società; le procedure esecutive dell’ultimo
semestre 1992, quali l’atto di precetto della Parmaform s.r.l. e l’atto di
pignoramento notificato il 15 dicembre 1992 dal Consorzio provinciale per il
risanamento idraulico del Magentino;

2) violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 118 att.
cod. proc. civ., perché la sentenza d ‘appello contiene una motivazione
meramente apparente, limitandosi alla acritica approvazione della sentenza
di primo grado, quanto al cd. affare So.Tra.Li.Me. s.r.l. (Società Transit
Lines di Messina);
13

3) con riguardo alla vicenda dell’emissione delle polizze Rilldate, il

complesso motivo denunzia: a) violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4,
cod. pro c. civ. e 118 att. cod. pro c. civ., perché la corte territoriale non ha
indicato nessun elemento a sostegno della propria decisione, richiamando
per relationem la sentenza impugnata con motivazione solo apparente; b)

violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2393, 2394, 2697 cod. civ.,
115 e 116 cod. proc. civ., in quanto la corte non ha tenuto conto delle
censure avanzate alla decisione del tribunale, che aveva individuato la
carenza del sistema di controllo interno ed il compimento dell’operazione
quando la società era in istato di scioglimento, sollevando l’attrice
dall’onere di allegare e provare le condotte dovute ed il nesso causale, ed
invece onerando della prova i convenuti; c) violazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. per omessa pronuncia, dato che la corte d’appello non ha
considerato l’infondatezza dell’istanza di ammissione al passivo avanzata
dalla creditrice Del Favero s.p.a., palesemente infondata, come rilevato
nell’appello incidentale di Scagni; d) violazione e falsa applicazione dell’art.
1227, comma l, cod. civ., in quanto il commissario liquidatore aveva
concorso a causare il danno derivato dalla pretesa ora menzionata,
ammettendola al passivo; e) omesso esame di fatto decisivo, allorché la
corte del merito non ha rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dal
primo giudice, le polizze Rilldate non erano annotate nei registri interni
della società, mentre ha errato nel ravvisare nella inadeguatezza del
sistema dei controlli interni sulla gestione, e nell’emissione delle polizze da
parte di organi a ciò non autorizzati, la causa del danno derivatone;

4) con riguardo alla vicenda dell’acquisto della quota di partecipazione
al capitale sociale della Immobiliare Banchi Vecchi s.r.l., il complesso
motivo denunzia: a) violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc.
civ. e 118 att. cod. proc. civ., perché egli aveva precisato che l’acquisto era
stato compiuto a prezzo congruo, mentre la corte territoriale non ha
indicato nessun elemento a sostegno della propria decisione, richiamando
per relationem la sentenza impugnata con motivazione solo apparente; b)

violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2697 cod. civ., in
14

quanto la corte non ha tenuto conto delle censure avanzate alla decisione
del tribunale circa l’inesistenza del danno, dato che si è ragionato sul
valore

del

patrimonio

netto,

partecipazione sociale, ed

che

non

inoltre non vi

valuta

adeguatamente

la

è danno certo sol perché

risulterebbe pagato un prezzo superiore solo del 19% rispetto a quello
calcolato secondo uno qualsiasi dei molti metodi di stima esistenti,
sembrando la corte del merito altresì invertire l’onere della prova;
5) con riguardo alla vicenda della vendita della quota nella Immobiliare
Spalato s.r.l., il complesso motivo denunzia: a) violazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. per omessa pronuncia, dato che la corte d ‘appello non ha
considerato la censura proposta con l’atto di appello, secondo cui il
risarcimento liquidato di L. 2.075.230.944 è superiore al richiesto di L.
2.031.367.130, non rilevando che l’importo maggiore domandato fosse di
L. 3. 952.770.130 e che la corte territoriale abbia risposto ad analogo
rilievo formulato dai sindaci Ciardiello e Scuticchio; b) violazione e falsa
applicazione degli artt. 1218, 1223, 2697 cod. civ., in quanto non è vero
che la vicenda si è conclusa in perdita per il trasferimento all’estero della
debitrice, dato che la proceduta ha ottenuto l’ammissione al passivo della
Immobiliare Spalato s.r.l. dell’intera somma di L. 2.031.367 .130, senza
offrire elementi sul riparto, con rischio di duplicazione di importi; c)
violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 118 att. cod.
proc. civ., perché la corte territoriale non ha indicato nessun elemento a
sostegno della propria decisione, richiamando per relationem la sentenza
impugnata con motivazione solo apparente;
6) con riguardo alla vicenda della locazione dell’appartamento in Roma,
Via del Biscione, il complesso motivo denunzia: a) violazione degli artt.
132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ., perché la
corte territoriale non ha indicato nessun elemento a sostegno della propria
decisione,

richiamando

per

relationem

la

sentenza

impugnata

con

motivazione solo apparente; b) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per
omessa pronuncia, dato che la corte d’appello non ha esaminato la
questione della verifica dei pagamenti effettivamente effettuati e sostenuti
15

da Delta s.p.a.; c) violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223,
2697 cod. civ., in quanto la corte non fornisce prova dell’esistenza del
danno ed inverte l’onere probatorio ponendolo a carico del ricorrente; d)
omesso esame di fatto decisivo, allorché la corte del merito ha condiviso in
modo acritico la decisione del primo giudice, mentre il ricorrente aveva
provato in via documentale che la società non aveva subito un danno.
1.4. – Il ricorrente incidentale ed ex amministratore Niro espone in
ricorso i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2393, 2394, 2935, 2697,
2949 cod. civ ., 115 e 116 cod. proc. civ., oltre ad omesso esame di fatto
decisivo, perché il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione è
stato fatto decorrere dai giudici del merito dal provvedimento del Ministero
dell’industria del 27 marzo 1993, con il quale sono state revocate alla
società

le

autorizzazioni

all’esercizio

dell’attività

di

assicurazione

e

riassicurazione, mentre l’insufficienza patrimoniale si è palesata sin dal
bilancio dell’esercizio 1991; inoltre, vi è contraddizione tra l’affermazione
del giudice di primo grado – su cui la corte d’appello non è intervenuta,
così rendendola immodificabile – circa il compimento di nuove operazioni
sul presupposto delle perdite in

bilancio ex art. 2448, comma l, n. 4, e

2449, comma l, vecchio testo, cod. civ., e la citata erronea decorrenza;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2392, comma l e 2, cod.
civ., perché le polizze erano state emesse in seguito alla condotta
truffaldina di Ivo Calcagni e di Roberto Casertano, come acclarato anche in
sede penale, onde essa costituì l’impedimento idoneo a rendere impossibile
al ricorrente il regolare controllo sulla gestione, presupponendo la norma
invocata una «conoscenza di atti pregiudizievoli», e non essendo infatti egli
stato imputato per concorso nel reato;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392, 2448 e 2449,
comma l, cod. civ., con riguardo alla vicenda delle clausole fideiussorie
stipulate con CE.AL.CA. Sud s.p.a. e Zanini s.p.a., per le quali parimenti il
dominus assoluto della società, Ivo Calcagni, aveva operato, all’insaputa
del consiglio di amministrazione, che non era stato informato; inoltre, le
16

polizze furono stipulate il 16 giugno 1992 ed il ricorrente il 28 giugno
successivo si era dimesso, senza avere avuto notizia di esse o di altri fatti
pregiudizievoli, a norma dell’art. 2392 cod. civ., né potendo quindi vigilare
sul generale andamento della gestione, obbligo di natura sintetica e
collegiale ed ottemperabile a posteriori solo in sede di approvazione del
bilancio d’esercizio da parte degli amministratori senza deleghe.
1.5. – Il ricorrente incidentale ed ex amministratore Silvera propone in
ricorso i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2393, 2394, 2935, 2697,
2949 cod. civ., perché egli fu consigliere di amministrazione dal giugno
1988 al 22 novembre 1990, onde l’azione ex art. 2393 cod. civ. era
prescritta, ai sensi del comma 4, mentre il dies a qua del termine
quinquennale di prescrizione ex art. 2394 cod. civ. decorre non dal
provvedimento

del

Ministero

dell’industria

del

27

marzo

1993,

ma

dall’emersione effettiva dei segnali di dissesto, quindi almeno nel corso del
1992, in seguito all’approvazione del bilancio di esercizio del 1991 che
esponeva una perdita superiore al capitale sociale;
2) violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 345 cod. proc. civ.,
ed omesso esame di fatto decisivo, avendo la corte del merito dichiarato
inammissibile l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Silvera,
qualificandola come eccezione di merito da proporre tempestivamente,
laddove egli, tuttavia, già in sede di comparsa di risposta e poi di
precisazione delle conclusioni in Tribunale aveva chiarito di essere estraneo
ai fatti: ciò in quanto la sua carica era puramente formale e lo schema
complessivo delle operazioni poste in essere dal cd. gruppo Calcagni non
poteva

essere

percepito

dagli

altri

membri

del

consiglio

di

amministrazione; lo aveva chiarito anche la sentenza della Cassazione
penale n. 132 del 2013, rilevando il ruolo predominante di Ivo Calcagni,
all’epoca dei fatti presidente del c.d.a. di Delta e Alifin Italiana s.p.a.,
nonché soggetto di riferimento di tutte le società;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2392, commi l e 2, cod. civ.,
in quanto, quale membro del consiglio, egli non aveva potuto controllare
17

l’altrui gestione in ragione del comportamento ostativo posto in essere dal
cd. gruppo Calcagni, mentre la responsabilità solidale in un organo
collegiale sussiste solo se il singolo sia venuto a conoscenza effettiva di atti
illegittimi, e viene meno se la condotta di uno dei responsabili solidali sia
criminale; egli aveva nutrito piena fiducia negli altri soggetti, né esistevano
sintomi o campanelli d’allarme al riguardo, anche attesa la certificazione
dei bilanci da parte della KPMG e l’esistenza di utili (ad esempio, L. 86
milioni nel bilancio 1998).
1.6. – I ricorrenti incidentali ed ex sindaci Ciardiello e Scuticchio, oltre
ad aderire ai primi tre motivi dei ricorrenti principali, propongono avverso
la sentenza impugnata i seguenti motivi di ricorso incidentale autonomo:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 cod. civ.,
oltre ad omesso esame di fatto decisivo, e dell’art. 111 Cast. con nullità
della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili,
avendo

il tribunale

commesso

un

errore di calcolo

(il credito non

recuperato della società verso la Immobiliare Spalato s.r.l. era pari non a

L. 1.706.000.000, ma a L. 1.234.000.000, derivante da versamento del 5
luglio 1990, perché vi erano stati versamenti di ulteriori L. 472.000.000
solo negli ultimi due mesi del 1992) non esaminato dalla corte d’appello;
inoltre, i sindaci in questione non erano ancora in carica al 5 luglio 1990 e
si erano dimessi il 27 giugno 1992 (onde non erano conoscibili i detti
versamenti); in sostanza, la corte del merito ha reso i sindaci responsabili
in via oggettiva, non esigendo dall’attrice l’allegazione delle condotte
omesse e del nesso causale;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 cod. civ.,
oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per averli ritenuti responsabili con
riguardo all’acquisto della partecipazione della Immobiliare Banchi Vecchi
s.r.l., che il Tribunale di Roma ha ritenuto conosciuto dai ricorrenti il 16
settembre

1991,

imputando

loro

di

essersi

limitati

ad

invitare

gli

amministratori a richiedere la somma in restituzione, senza, tuttavia,
indicare quale condotta doverosa essi avrebbero dovuto porre in essere né
riscontrare il nesso causale, equiparandone la posizione a quella degli
18

amministratori

esecutivi;

mentre

la

corretta

valutazione

della

partecipazione sociale secondo il più convincente metodo misto U.e.c.
(Unione europea degli esperti contabili economici finanziari), in luogo di
quello patrimoniale, avrebbe condotto alla più congrua indicazione del
valore

di

L.

2.250.000.000,

assai

prossimo

al

prezzo

pagato

di

L.2.280.000.000 ed entro il margine tollerabile di scostamento;
3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 cod. civ., con

riguardo alla vicenda delle polizze Rilldate Ltd. Ireland e Rilldate Ltd. U.K.,
stipulate il 12 giugno 1992, quando i due ricorrenti si dimisero dalla carica
il 27-30 giugno 1992: ma essi non avrebbero potuto esaminare i libri
sociali, attesa la documentata impossibilità al riguardo, come evidenziato
nell’atto di appello, atteso che la sentenza del Tribunale penale di Roma n.
26012/08 aveva imputato ad Ivo Calcagni di avere tenuto «/e scritture
contabili obbligatorie in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari»;
4) violazione e falsa applicazione degli artt. 2407 e 2697 cod. civ.,

oltre ad omesso esame di fatto decisivo, con riguardo alla vicenda della
locazione dell’appartamento di Via del Biscione 95 in Roma, avendo il
tribunale reputato i due ricorrenti responsabili perché l’operazione era
conoscibile sulla base dei documenti e dei registri sociali: l ad dove, invece, i
documenti n. 51 e 52 depositati dall’attrice non erano idonei a tal fine,
trattandosi di fatture emesse da Immobiliare Banchi Vecchi s.p.a. a carico
di Delta s.p.a. e dell’importo non di L. 720.000.000, ma di L. 450.000.000;
l’a.d. non aveva informato il consiglio di amministrazione; l’operazione non
risultava dalla contabilità sociale disponibile; i sindaci si sono dimessi pochi
giorni dopo l’operazione posta in essere entro il 18 giugno 1992, ossia il 27
giugno 1992; e la corte territoriale non ha preteso dall’attrice l’allegazione
delle condotte tenute, di quelle doverose omesse e del nesso causale.
l. 7. – Infine, nel proprio ricorso incidentale condizionato, la Delta

Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a. in liquidazione coatta
amministrativa ha formulato un unico motivo, con il quale censura la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, comma 4, 2945 cod. civ. e
19

j/ \

~\

112 cod.

proc.

civ.,

in quanto,

ove

la

decorrenza

del termine di

prescrizione dovesse essere posta nel 1992 in uno degli eventi dedotti dalle
controparti, essa sarebbe stata interrotta non dalla notificazione dell’atto di
citazione quale primo atto, ma sin dalla costituzione in mora e richiesta di
risarcimento danni, che in data 11 luglio 1997 il commissario liquidatore
inviò

a

ciascuno

dei

componenti

dei

cessati

organi,

elencando

e

contestando loro le irregolarità che avevano caratterizzato la gestione
sociale nel periodo della carica

di ciascuno. Dunque,

il primo atto

interruttivo, dedotto già nei gradi di merito, non fu l’atto di citazione
notificato il 31 gennaio 1998, come affermato erroneamente dal giudice di
appello.

2. – Ricorso incidentale Si/vera.
Come eccepito dalla Delta s.p.a. in controricorso, il ricorso del Silvera,
notificato il 29 marzo 2015 a fronte della notifica del ricorso principale del
9 ottobre 2014, è inammissibile, restando peraltro il medesimo abilitato
alla discussione orale ex art. 370 cod. proc. civ.
Invero, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una
stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della
prima

impugnazione, tutte le altre debbano essere proposte in via

incidentale nello stesso processo e,

perciò, nel caso di ricorso per

cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima
modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al
primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché
proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è
condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti)
risultante dal combinato disposto degli art. 370 e 371 cod. proc. civ.,
indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione
in

astratto

operativi;

tale

principio

non

trova

deroghe

riguardo

all’impugnazione di tipo adesivo, né nell’ipotesi in cui si intenda proporre
impugnazione contro una parte non impugnata o avverso capi della
sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione (fra le

20

tante, Cass. 20 marzo 2015, n. 5695; 16 luglio 2014, n. 16221; 13
dicembre 2011, n. 26723).
Ne

consegue

l’inammissibilità

anche

dell’istanza

di

differimento

dell’udienza dal medesimo proposta.

3. – Motivi concernenti la prescrizione delle azioni proposte dalla
procedura (motivi primo e secondo Loicacono-Pieroni; motivo secondo
Longo; motivo primo Scagni, Niro; cui aderiscono i ricorrenti incidentali
Longo, Ciardiello, Scuticchio ).
3.1. – L’art. 146 legge fall., nel suo testo originario applicabile nella
specie, cui peraltro la riforma non ha apportato significative modificazioni,
prevede che, nell’ipotesi di fallimento di una società di capitali, le azioni di
responsabilità esperibili nei confronti degli amministratori ex art. 2393 e
2394 cod. civ. siano esercitate dal curatore.
La procedura, pertanto, può fruire dei presupposti e degli scopi di
entrambe, al fine di acquisire all’attivo fallimentare tutto quanto sottratto,
quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale.
Come ricordato di recente dalle Sezioni unite di questa Corte, il
curatore

fallimentare,

quando

agisce

postulando

indistintamente

la

responsabilità degli amministratori, fa valere sia l’azione che spetterebbe
alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le
azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali “azioni
di massa” in ragione dell’art. 146 legge fai l.: «l’azione di responsabilità

sociale ex art. 2393 cod. civ., ha natura contrattuale e presuppone un
danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli
amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto
costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394
cod.

civ.,

ha

natura

extracontrattuale

e

presuppone

l’insufficienza

patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del
patrimonio sociale» (Cass ., sez. un., 23 gennaio 2017, n. 1641).
Tale principio, espresso con riguardo alle azioni previste dall’art. 146
legge fall. (sia nel testo anteriore, sia in quello sostituito dal d.lgs. 9
gennaio 2006, n. 5),

si attaglia anche alle azioni di responsabilità contro
21

gli amministratori e i componenti degli organi di controllo dell’impresa in
liquidazione, a norma degli artt. 2393 e 2394 cod. civ., che, secondo il
disposto

dell’art.

206

legge

fall.,

sono

esercitate

dal

commissario

liquidatore, previa autorizzazione dell’autorità che vigila sulla liquidazione.
Giova ancora precisare che, come per le fattispecie degli artt. 2393 e
2407 cod. civ., laddove la responsabilità si pone verso la società, rileva
l’inadempimento degli amministratori e dei sindaci ai doveri della carica,
così, parimenti, nelle azioni proposte ai sensi degli artt. 2394 e 2407 cod.
civ. a tutela dei creditori, pure in sede concorsuale, l’inadempimento di
quei doveri costituisce elemento della fattispecie,

sebbene con

essi

concorra poi l’ulteriore requisito della insufficienza patrimoniale, cagionata
dall’inosservanza degli obblighi relativi al patrimonio sociale o dall’omessa
vigilanza sull’altrui operato: a tutela dei creditori si lamenta, infatti, un
danno diretto, per responsabilità e non per debito, causato dalla condotta
dell’amministratore che ha vulnerato il patrimonio della società sino a
renderlo non capiente per soddisfarli, cui abbia concorso la condotta
imputabile ai sindaci.
Ed invero, occorre considerare che l’inadempimento ai doveri della
carica gestoria e sindacale è il presupposto anche dell’azione intrapresa dai
creditori: i quali, se possono agire a condizione che il patrimonio sociale sia
insufficiente a soddisfarli,

ciò possono fare solo se,

nel contempo,

quell’insufficienza sia appunto conseguenza delle condotte degli organi
sociali in violazione ai doveri della carica. A conferma di ciò, basti
considerare che neppure verso i creditori si pone una responsabilità
oggettiva, onde occorre pur sempre una condotta almeno negligente
dell’amministratore o del sindaco, accanto alla insufficienza patrimoniale.
Pertanto, ogni violazione che integra la responsabilità verso la società

è idonea, quando cagiona o concorre a cagionare una diminuzione del
patrimonio rendendolo insufficiente, a fondare anche la responsabilità ex
art. 2394 cod. civ.
3.2. – La sentenza impugnata ha ritenuto che l’azione di cui all’art.
2394 cod. civ. non sia prescritta, perché l’insufficienza patrimoniale si

22

manifestò in un momento non anteriore a cinque anni dall’esercizio
dell’azione, identificato in quello del 27 marzo 1993, quando la società fu
posta in liquidazione coatta amministrativa, e su tale presupposto ha
motivato il rigetto delle eccezioni di prescrizione.
Dunque, come risulta dal testo della decisione impugnata e come
palesano gli stessi argomenti esposti nei ricorsi, l’azione di cui si tratta è
quella attribuita dalla legge ai creditori sociali, prevista dall’art. 2394 cod.
civ. ed esercitata dalla procedura.
Orbene, secondo l’art. 2394, comma 2, cod. civ., l’azione può essere
proposta

«quando

il

patrimonio

sociale

risulta

insufficiente

al

soddisfacimento dei loro crediti».
La nozione si ricollega alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art.
2740 cod. civ., costituita dal patrimonio della società:

l’insufficienza

patrimoniale rappresenta un mero fatto contabile.
Essa si verifica quando il patrimonio della società presenti una

«eccedenza delle passività sulle attività, ovverosia [in] una situazione in
cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, è insufficiente al loro
soddisfacimento» (per tutte, Cass. 22 aprile 2009, n. 9619; 28 maggio
1998, n. 5287).
Atteso il generale disposto dell’art. 2935 cod. civ., costituisce parimenti
principio consolidato che la prescrizione dell ‘azione ex art. 2394 cod. civ.,
pur quando esercitata dalla procedura, decorre dal momento in cui l’attivo
si sia palesato in modo oggettivamente percepibile da parte dei creditori
come inidoneo a soddisfarli.
Non si tratta di aprire la strada ad un soggettivismo psicologico, ma
della valutazione astratta di conoscibilità: non già mero fatto soggettivo di
conoscenza del danno da parte del titolare dell’azione, bensì rilievo del
dato oggettivo della sua conoscibilità da parte dei terzi creditori, posti così
nella condizione di poter esercitare il proprio diritto.

È anche costantemente affermato che tale momento coincide, in via di
presunzione semplice fondata sull’id quod plerumque accidit, con la
dichiarazione di fallimento (o della messa in liquidazione), mediante lo

23

spossessamento del debitore e la presa in consegna delle attività da parte
dell’organo della procedura; e che tale presunzione non esclude come, in
concreto, il deficit si sia manifestato in un momento anteriore, gravando il
relativo onere probatorio su chi allega la circostanza e fonda su di essa un
più favorevole inizio del decorso della prescrizione (cfr. Cass. 4 dicembre
2015, n. 24715; 18 giugno 2014, n. 13907; 12 giugno 2014, n. 13378; 21
giugno 2012, n. 10378; 22 aprile 2009, n. 9619; 8 aprile 2009, n. 8516;
5 luglio 2002, n. 9815).
Al riguardo, deve ora essere ben chiarito che, come nella società in
bonis capitale e patrimonio sono nozioni diverse, così nelle situazioni di

difficoltà aziendale esse non possono essere confuse, insufficienza del
capitale o del patrimonio sociale restando concetti fra loro distinti.
Circa l’idoneità del bilancio di esercizio a palesare detta situazione, la
Corte ha già affermato i seguenti principi:
a) il bilancio di esercizio, che segnali una situazione patrimoniale in

negativo, può nel singolo caso costituire il modo con cui lo stato di
incapienza diventi manifesto «quando non vi siano poste suscettibili di
sottovalutazione» (Cass. 5 luglio 2002, n. 9815); così pure altra decisione,

in una vicenda in cui la corte territoriale, con giudizio di

fatto, aveva

accertato nel bilancio una notevole eccedenza delle passività sulle attività
patrimoniali, desumendo l’insufficienza patrimoniale dal fatto che la società
aveva subìto perdite pari al doppio del capitale sociale (Cass. 25 luglio
2008, n. 20476);
b) non necessariamente l’insufficienza patrimoniale deve risultare solo

dal bilancio approvato dall’assemblea dei soci (Cass. 22 ottobre 2004, n.
20637);
c) l’occultamento della perdita in bilancio rende tale documento, pur

pubblicato mediante deposito nel registro delle imprese, inidoneo a
palesare ai terzi l’incapienza patrimoniale, in quanto allora non dichiarata e
non oggettivamente percepibile (Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715);

d) l’insufficienza non coincide affatto con una situazione di

perdita

integrale del capitale sociale, la quale non implica necessariamente uno
24

/l

stato

d’insufficienza

patrimoniale,

ben

potendo

lasciar sussistere

un

pareggio tra attivo e passivo, onde tutti i creditori potrebbero soddisfarsi
grazie al patrimonio della società, pur quando il capitale sia azzerato (Cass .
22 aprile 2009, n. 9619); in particolare, la «perdita integrale del capitale
sociale non implica la perdita di ogni valore attivo del patrimonio sociale,
dal momento che la cifra del capitale esprime solo il valore delle attività

~

assoggettate ad un vincolo di indisponibilità a tutela dei creditori sociali e

~

non si estende quindi necessariamente a tutti i valori attivi ricompresi nel

·~

patrimonio della società» (Cass. 28 maggio 1998, n. 5287).

u::

~

()

~

Sotto quest’ultimo profilo, deve essere ribadito ora che neppure
l’analisi

di

bilancio

necessariamente

conduce

alla

;::j

o
o

conoscibilità

o

dell’insufficienza patrimoniale da parte dei creditori: per la stessa disciplina
di redazione del documento contabile, i valori espressi nelle voci di bilancio

~

·~

ben possono, ed in taluni casi debbono, non coincidere con quelli di

~
o
()

mercato, essendo a volte superiori (es. rimanenze) o consistentemente
inferiori a quelli (es. beni immobili, all’epoca dei fatti), ai sensi dell’art.
2426 cod. civ.

Quanto ai crediti, come questa Corte ha già avuto

~

occasione di rilevare, l’art. 2426, n . 8, cod . civ. poneva il criterio legale del
«valore

presumibile

influenzata

dalla

di

loro

realizzazione»,
esigibilità

ii

con

concreta,

che

valutazione
non

altamente

sempre

1.)

~

u

fornire reale contezza dell’insufficienza patrimoniale, neppure quando esso

·~

“”t

presenti una perdita.

~

Infine, non v’è dubbio che la verifica della ricorrenza di elementi

patrimonio

dai

sociale,

sia

creditori,

dai

questione

di

quali

risulti

fatto

o

l’insufficienza del

tipicamente

N

r./)
r./)

In definitiva, la pur scrupolosa lettura di un bilancio societario può non

conoscibili

·~

~

emerge

fedelmente dal bilancio (Cass. 18 marzo 2015, n. 5450).

oggettivi,

oo

u

rimessa

all’accertamento del giudice del merito (fra le altre, Cass. 5 aprile 2013, n.
8426) .
3.3. – Alla luce di tali principi occorre esaminare le censure proposte
negli indicati motivi.

25

-LI

Come sopra ricordato, la sentenza impugnata ha ancorato il dies a quo
della prescrizione alla data di emissione del decreto ministeriale di revoca
dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa (27 marzo 1993),
disattendendo le tesi volte a collocare detto termine al momento del
deposito del bilancio di esercizio 1991 o ad altri eventi, anteriori alla
predetta data.
Dopo avere premesso che il termine di prescrizione ex art. 2394 cod.
civ. decorre dall’insufficienza patrimoniale oggettivamente percepibile dai
creditori, che la perdita integrale del capitale sociale in sé non la prova e
che spetta ai danneggianti dimostrare che detta situazione si sia verificata
e fosse conoscibile in un momento anteriore – e, dunque, sulla base dei
corretti ricordati principi – la corte d’appello, confermando sul punto gli
accertamenti del tribunale, ha ritenuto in particolare che il deposito del
bilancio d’esercizio 1991, avvenuto il 28 luglio 1992, non provava ancora il
manifestarsi della situazione di insufficienza patrimoniale della società. Il
bilancio in questione, secondo l’accertamento fattuale compiuto dalla
menzionata decisione, presentava infatti una perdita «quasi integrale» del
capitale sociale, ma non quella «di ogni valore attivo del patrimonio
sociale».
Inoltre, nel concludere che non è stata dimostrata la conoscibilità
dell’insufficienza patrimoniale né al momento del deposito del bilancio il 28
luglio 1992, né in altra «epoca antecedente a tale momento» del 27 marzo
1993, la sentenza ha in tal modo complessivamente motivato il proprio
apprezzamento delle circostanze di fatto circa la mancata dimostrazione
dell’assunto, pervenendo a ritenere indimostrata l’esistenza e l’oggettiva
conoscibilità anteriore di una situazione di effettiva perdita della garanzia
patrimoniale generica per i creditori.
La corte del merito ha tratto il proprio convincimento da

un’unitaria

valutazione di tutte le circostanze acquisite, in via documentale, agli atti
del giudizio, la quale non richiede la discussione di ogni singolo elemento o
la confutazione di tutte le contrarie argomentazioni difensive (e multis,

26

Cass. 18 marzo 2015, n. 5423; 10 dicembre 2014, n. 25977; 4 marzo
2011 n. 5229).
Se,

dunque,

da

un

lato,

la corte

territoriale

ha

fatto

corretta

applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte,
secondo cui la

prescrizione decorre

dal

momento in cui l’insufficienza

patrimoniale si è oggettivamente manifestata come rilevante per l’azione
esperibile dai creditori, dall’altro lato essa ha esercitato il suo potere
discrezionale di accertamento dei fatti, insindacabile in questa sede,
laddove ha reputato non raggiunta la prova gravante sugli amministratori e
sindaci di allegare e dimostrare un momento anteriore di decorrenza della
prescrizione.
Non giova, dunque, insistere, da parte degli odierni ricorrenti, sul dato
secondo cui la perdita era tale da azzerare il capitale sociale, né sulla tesi
(cfr. primo motivo del ricorrente incidentale Niro) secondo cui la sentenza
di primo grado aveva accertato perdite rilevanti ex art. 2448, comma l, n.
4, cod. civ. nel bilancio predetto, accertamento che sarebbe, nell’assunto,
passato in giudicato: invero, mentre non sussiste giudicato al riguardo
(trattandosi di un presupposto del complesso motivo di appello), ciò
correttamente non è stato considerato dalla corte ancora prova della
manifestazione dell’insufficienza patrimoniale in discorso.
Non senza considerare che, precisa la corte territoriale (p. 39), il
tribunale

aveva

sottolineato costituire

ulteriore atto

di ma/a

gestio

l’occultamento, in occasione della redazione ed approvazione del bilancio
1991, delle passività che comportavano la perdita del capitale sociale:
essendo stato necessario l’espletamento in primo grado di una consulenza
tecnica d’ufficio appunto per evidenziare la maggiore perdita.
Per il resto i ricorrenti, pur lamentando la violazione di

norme

di

diritto o l’omesso esame di fatti decisivi della controversia, mirano
inammissibilmente
interpretazione

a

delle

contrapporre

a

tali

valutazioni

la

propria

medesime circostanze, al fine di pervenire ad un

diverso apprezzamento rispetto a quello già svolto nella competente sede.

27

3.4. – Infondata è, infine, la pretesa, esposta nel primo motivo del
ricorso principale, secondo cui il dies a quo del termine di prescrizione non
decorrerebbe,

per

sindaci,

dalla

conoscibilità

della

insufficienza

patrimoniale della società, ma semmai dal giorno di commissione del fatto
integrante la loro responsabilità o da quello del danno: gli esposti principi
circa il combinato disposto degli art. 2394 e 2935 cod. civ. valgono anche
per responsabilità solidale dei sindaci ex art. 2407 cod. civ.
Parimenti, l’azione intrapresa dalla procedura contro

componenti

dell’organo di controllo soggiace anch’essa al termine di prescrizione
decorrente dalla insufficienza patrimoniale predetta, secondo il presupposto
previsto dall’art. 2394, comma 2, cod. civ. (per tutte, Cass. 28 maggio
1998, n. 5287): la regola deriva dall’esplicito disposto dell’ultimo comma
dell’art. 2407 cod . civ., che, sin dal testo anteriore alla riforma del 2003,
prescrive l’applicazione ai sindaci dell’art. 2394 cod. civ., nei limiti di una per la questione all’esame ravvisabile – compatibilità.
Occorre, altresì, rilevare che la stessa formulazione del motivo appare
perplessa, chiedendo esso di considerare la prescrizione decorrente ora dal
giorno di commissione del fatto integrante la responsabilità del sindaco,
ora da quello (non necessariamente col primo coincidente) in cui il danno
cagionato dalla condotta dei sindaci si sia manifestato all’esterno.
Né ha pregio la doglianza, esposta nel medesimo motivo, secondo cui
la

corte

del

merito

avrebbe

indebitamente

fatto

riferimento

alla

prescrizione in discorso, pur avendo, nell’assunto dei ricorrenti, accertato le
condotte inadempienti dei sindaci, invece presupposto costitutivo della sola
azione di responsabilità nei confronti della società: ciò, sulla base del
principio già sopra esposto.
Incongruo, infine, è il richiamo all’inapplicabilità ai sindaci della
sospensione ex art. 2941, comma l, n. 7, cod. civ., non avendo la
sentenza impugnata applicato la norma.

4. – Motivi concernenti la responsabilità degli amministratori non
esecutivi (motivi dal terzo all’ottavo Longo; motivi dal terzo al quinto

Scagni; motivi secondo e terzo Niro).

28

~l

4.1.

Nelle società

di capitali,

l’obbligo di controllo accomuna

amministratori non esecutivi e indipendenti, sindaci, revisori, comitato per
il controllo interno, organismo di vigilanza di cui al d.lgs. 231 del 2001,
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari nelle
società quotate di cui all’art. 154-bis d.lgs. n. 58 del 1998.
Esiste, dunque, quel che è stato chiamato un «sistema di controllo
policentrico»;

il fine è quello di ottenere, grazie all’eterogeneità dei

controlli, una garanzia rafforzata dell’osservanza delle regole di corretta
amministrazione;

e

lo

scopo

ultimo

potrebbe

ritenersi

quello

della

diffusione di una cultura della legalità imprenditoriale.
Ciò tanto più quando l’impresa rivesta peculiare interesse per il
mercato,

attesa

la

delicatezza

degli

interessi

implicati

nell’attività

costituente l’oggetto sociale (come in quelle bancarie ed assicurative);
inoltre, la conformazione della struttura societaria induce a particolarmente
intensi doveri di controllo, proprio allorché la stessa faccia parte di un cd.
gruppo o si tratti di società a ristretta base familiare che detenga la
maggioranza

del

capitale,

soggetta

ad

influenze

esterne

anche

pregiudizievoli.
In tutti i casi, la responsabilità emissiva del soggetto è sempre per
fatto proprio colpevole: espunta anche dal diritto civile la responsabilità
oggettiva, per fatto altrui o da mera “posizione”, dovendosi sempre
riscontrare la condotta almeno colposa e il nesso causale col danno,
essendo responsabilità per fatto e colpa propri.
4.2. – Pur in presenza di deleghe gestorie residua una serie di poteri e
doveri in capo al consiglio di amministrazione, che dall’esistenza di deleghe
non viene affatto spogliato dalle sue funzioni.
Esso – come espressamente chiarito dalla riforma del diritto societario,
ma ampiamente riconosciuto in precedenza dalla prassi medesima – può
impartire direttive vincolanti ai delegati ed ha il potere di avocazione, in
quanto si è ritenuto che la delega non abbia effetti traslativi (Cass. 4 marzo
2005, n. 4787), potendo giungere alla revoca della decisione assunta dal
comitato

esecutivo

o

dall’amministratore

delegato;

soprattutto,

sul

29

;! \

i

_/; \
l

consiglio grava

l’obbligo di vigilanza

sull’att ività degli amministratori

delegati o del comitato esecutivo, spettando ai consiglieri non esecutivi i
compiti di supervisione e di ponderazione (si è altresì osservato che
sussistono già compiti organizzativi, volti a predisporre o sollecitare
un’organizzazione idonea a garantire gli interessi che il consiglio ha
l’obbligo di tutelare: cfr. Cass. pen. 8 novembre 2007, n. 8260, Pirro).
Si noti che il controllo degli altri consiglieri sul fatto dei delegati è
anche di merito, non potendo essere confuso coi limiti del controllo
giudiziale.
4.3. – La responsabilità dell’amministratore non esecutivo era regolata
dall’art. 2392, comma 2, cod. civ., nel testo del codice civile del 1942
applicabile

ratione

temporis,

come

omessa

vigilanza

«sul

generale

andamento della gestione», ponendo a carico degli amministratori un
ampio dovere (formula com’è noto eliminata dalla riforma mediante il
riferimento al nuovo art. 2381 cod. civ.).
Dovere che,

come

in

più

occasioni

ha

precisato questa

Corte,

permaneva anche in caso di attribuzione di funzioni al comitato esecutivo
o a singoli amministratori delegati, salvo un impediente <

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