Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31200 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 28/11/2019), n.31200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5115-2018 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MATTEO GIACOMAZZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2687/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO

MARIA.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE.

La Corte d’Appello di Venezia, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino maliano K.S..

A sostegno della decisione la Corte ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente in quanto intrinsecamente contraddittorio, per aver dichiarato di essere venuto a conoscenza del rischio di essere ucciso per un sacrificio umano quattro mesi dopo aver lasciato il proprio paese. La Corte non ha ritenuto apprezzabile quanto prospettato dall’appellante, che cioè egli fosse incorso in un errore materiale indicando ottobre ma volendo indicare maggio, dal momento che la Commissione aveva rivolto allo stesso una domanda precisa sulla collocazione temporale della conoscenza della persecuzione personale.

La riconducibilità a torture subite veniva dedotta soltanto da cicatrici riscontrate sul corpo del ricorrente in mancanza peraltro di spiegazioni sul come e quando tali torture fossero state inflitte, facendosi nel ricorso anche riferimento a torture subite dopo l’espatrio. Esclusa la sussistenza delle condizioni per il rifugio e la protezione sussidiaria ex art. 15, lett. a) e b), in relazione alla lett. c), la Corte, sulla base delle fonti consultate indica che l’area di provenienza del ricorrente non è caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata.

La protezione umanitaria è risultata priva di alcuna specifica allegazione.

Il ricorso per cassazione è affidato a due motivi. Nel primo viene dedotta la violazione in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11, per non essere stata raffrontata la situazione personale del ricorrente con le oggettive condizioni del paese di provenienza. La censura è inammissibile perchè generica. Nel motivo ci si limita ad illustrare astrattamente alcune criticità del Mali senza tuttavia procedere ad un esame critico della pronuncia impugnata.

Il secondo motivo censura l’erroneo inquadramento della situazione del ricorrente all’interno delle misure tipiche di protezione internazionale. Viene dedotto anche il vizio di motivazione. La censura è inammissibile per le medesime ragioni già esposte in relazione al primo motivo, oltre a richiedere nell’ultima parte un’inammissibile rivalutazione dei fatti e del difetto di credibilità.

Il ricorso è, in conclusione, inammissibile. Non devono essere assunte statuizioni in relazione alle spese processuali in mancanza di difese della parte intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento del contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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