Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31199 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 28/11/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 28/11/2019), n.31199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5423-2018 proposto da:

M.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1314/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO

MARIA.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Catania ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria proposta dal cittadino straniero di nazionalità del Bangladesh.

Il ricorrente ha dichiarato di essere fuggito per timore di essere accusato di violenza sessuale sulla sua ex fidanzata che si era uccisa dopo che i parenti avevano osteggiato la loro relazione data la disparità economica tra i due oltre che per il timore che il fratello di lei potesse vendicarsi.

Ha inoltre lamentato l’omessa considerazione della permanenza in Libia per tre anni.

La Corte d’appello ha al riguardo rilevato che, anche ove si ritenesse credibile la narrazione del ricorrente, l’indagine officiosa svolta indurrebbe ad escludere la ricorrenza delle condizioni di ogni forma di protezione sussidiaria. La vicenda narrata ha natura privata ed è inconsistente il riferimento all’incendio dei templi buddisti ed indù dato che il ricorrente si professa mussulmano e la ragazza suicida indù. Gli attentati in questione dalle fonti esaminate, sono opera di fanatici mussulmani. Non risulta che sia stata esercitata l’azione penale per la violenza sessuale dato che il ricorrente è uscito dal Bangladesh con un regolare aereo di linea per recarsi in Libia. Deve essere aggiunto che sebbene la legislazione penale del Bangladesh contempli la pena di morte per reati gravi e tra questi quello di violenza sessuale, tuttavia la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la norma che prevede l’obbligatorietà della pena di morte e i più recenti reports non riportano esecuzioni di sentenze capitali per adulterio o stupro. Quanto alle torture ed ai trattamenti disumani, esse riguardano altre tipologie di reati (politici o di matrice religiosa).

Quanto alle condizioni generali del paese, le informazioni più recenti inducono ad escludere una situazione di violenza indiscriminata.

Sulla richiesta di protezione umanitaria, le vicende narrate e la situazione generale del paese ne escludono la ricorrenza, mentre il soggiorno in Libia è irrilevante dal momento che il viaggio è stato intrapreso quando l’emergenza nord africa era cessata e comunque è da escludere che possa essere rimpatriato in Libia.

Viene proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Non ha svolto difese la parte intimata.

Nel primo motivo viene contestato che il ricorrente abbia potuto rappresentare la propria vicenda soltanto davanti alla Commissione territoriale. La censura è inammissibile perchè non rivolta verso una specifica ratio decidendi.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per non avere, la Corte d’Appello di Catania, ritenuto integrate le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante la riconosciuta previsione della pena di morte per il reato di violenza sessuale, limitandosi a sottolinearne la non obbligatorietà. La censura non è ammissibile perchè non colpisce la ratio decidendi concorrente con quella censurata riguardante la mancanza di elementi per ritenere che il reato fosse stato contestato al ricorrente e vi fosse stato l’esercizio dell’azione penale con il conseguente rischio dell’inflizione della pena.

Nel terzo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al mancato riscontro della situazione di vulnerabilità alla luce dell’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa a carico del giudice.

Il motivo è svolto in modo del tutto astratto e generico, con il solo riferimento all’esposizione alla pena di morte come elemento specifico ma già affrontato nell’esame del secondo motivo.

In conclusione il ricorso è inammissibile. In mancanza di difese della parte intimata non vi è statuizione relativa alle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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