Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31192 del 29/12/2017


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 31192 Anno 2017
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

ORDINANZA

C.0 te

sul ricorso iscritto al n. 23980/2011 R.G. proposto da

FALLIMENTO DELLA P. & A. SEAFOOD S.R.L. in liquidazione, in persona del
curatore p.t. Dott. Giuseppe Ripa, rappresentato e difeso dall’Avv. Adriano
de Luna, con domicilio eletto in Roma, via Catanzaro, n. 9, presso lo studio
dell’Avv. Alberto Maria Papadia;
– ricorrente contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t. Francesco Albano, rappresentata e difesa dall’Avv. Alberto Cerioni, con domicilio eletto in Roma, via Severino Boezio, n. 6, presso lo studio dell’Avv. Massimo Luconi;

controricorrente

avverso il decreto della Corte d’appello di Ancona depositato il 22 giugno
2011.

Data pubblicazione: 29/12/2017

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 aprile 2017 dal
Consigliere Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 22 giugno 2011, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato il reclamo proposto dal curatore del fallimento della P. & A. Seafood

Tribunale di Fermo aveva dichiarato inammissibile, in quanto proposta con
rito camerale, l’azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto rimesse
effettuate dalla società fallita sul conto corrente intrattenuto con il Monte
dei Paschi di Siena S.p.a., Filiale di San Benedetto del Tronto.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto che, pur innestandosi
su un procedimento fallimentare apertosi nel periodo compreso tra l’entrata
in vigore del d.lgs. 9 gennaio 2006, n: 5, che aveva introdotto il secondo
comma dell’art. 24 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, estendendo il rito carnerale a tutte le azioni derivanti dal fallimento, e l’entrata in vigore del d.lgs.
12 settembre 2007, n. 169, che aveva abrogato la predetta disposizione, la
domanda fosse assoggettata alla disciplina transitoria dettata dall’art. 22 del
d.lgs. n. 169, che estendeva le disposizioni di tale decreto alle procedure
concorsuali pendenti alla data della sua entrata in vigore. Premesso che l’equivocità del dettato normativo impediva di procedere ad un’interpretazione
letterale, la Corte ha conferito rilievo all’intenzione del legislatore emergente dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 169, osservando che dalla stessa
risulta evidente il disfavore per l’applicabilità del rito camerale a controversie che, pur derivando dal fallimento, riguardano diritti soggettivi e coinvolgono terzi estranei. Ha richiamato pertanto il principio generale tempus regit actum, concludendo per l’applicabilità della disciplina ordinaria del processo di cognizione, e reputando irrilevante la contraria opinione espressa
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170 del 2009, con cui era stata
dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.
24, secondo comma, della legge fall.: ha affermato infatti che l’ampiezza
della valenza semantica delle espressioni utilizzate nella legge delega 14
maggio 2005, n. 80 e la ritenuta idoneità del rito camerale ad assicurare la

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S.r.l. in liquidazione avverso il decreto emesso il 10 aprile 2011, con cui il

tutela dei diritti soggettivi non escludono la possibilità di valorizzare le ragioni che avevano indotto il legislatore a disporre l’abrogazione di tale disposizione, consistenti nell’incompatibilità del predetto rito con la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi. Ha ritenuto inconferente anche l’interpretazione dell’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006 affermatasi in riferimento al procedimento prefallimentare, avuto riguardo alla diversa formulazione lettera-

denza di merito riguardante il rito applicabile alle azioni revocatorie promosse dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 5 ma relative a procedure fallimentari apertesi in epoca anteriore, che sottolinea l’esistenza di fasi incidentali
ed autonome, per le quali l’applicazione del principio tempus regit actum
consente di realizzare l’intento del legislatore di ricondurre tali azioni alla disciplina del giudizio ordinario di cognizione.
2. Avverso la predetta sentenza il curatore ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. La Banca ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3, comma primo, e 22, comma secondo, del d.lgs. n. 169 del 2007, nonché degli artt. 11 e 12 disp. prel. cod.
civ., osservando che, nel conferire rilievo alla Relazione illustrativa del d.lgs.
n. 169 cit., il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’intenzione, chiaramente manifestata dal legislatore in riferimento all’art. 22, di escludere
l’applicabilità delle nuove disposizioni alle controversie che s’innestano su
procedure concorsuali apertesi in data anteriore al 1° gennaio 2008. Premesso che l’espressione «procedura concorsuale», adoperata dall’art. 22
cit., è talmente ampia da includere tutte le azioni che originano dalla procedura, rileva che, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, secondo comma, della legge fall., la Corte costituzionale
ha ricompreso le azioni revocatorie nell’alveo della disciplina del fallimento,
considerandole inscindibili dalla procedura su cui s’innestano; aggiunge che
tale legame, confermato dalla giurisprudenza di legittimità, impone di e-

stendere alle predette azioni la disciplina prevista per la procedura principa-

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le di tale disposizione, richiamando invece l’orientamento della giurispru-

le, rispetto alla quale le stesse assolvono una funzione strumentale. Afferma
l’irrilevanza della distinzione, fondata sull’art. 1, comma sesto, lett. a), n. 1
della legge n. 80 del 2005, tra la disciplina del fallimento e le procedure applicabili alle controversie in materia, invocando il chiaro disposto dell’art.
22, comma secondo, del d.lgs. n. 169 del 2007, che limita l’applicabilità
dell’art. 3, comma primo, ai soli procedimenti prefallimentari pendenti alla

data della sua entrata in vigore ed alle procedure concorsuali apertesi successivamente. Sostiene che con tale disposizione il legislatore ha compiuto
una scelta ben precisa, che ha superato indenne il vaglio di legittimità costituzionale, osservando infine che l’esclusione dell’applicabilità alle azioni revocatorie promosse anteriormente alla sua entrata in vigore risponde non
solo all’esigenza di assicurare una gestione razionale ed uniforme di tutta la
procedura concorsuale, in modo tale da evitare disparità di trattamento tra i
creditori, ma anche alle indicazioni risultanti dalla legge delega, la quale
prescriveva l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in
materia fallimentare.
1.1. Il motivo è infondato.
La questione sollevata dal ricorrente è stata già affrontata da questa
Corte, in riferimento ad un altro giudizio promosso dallo stesso fallimento
ed avente il medesimo oggetto di quello in esame, ed è stata risolta mediante l’enunciazione del principio di diritto, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui l’azione revocatoria fallimentare, proposta con rito camerale dalla curatela di un fallimento pronunciato nella vigenza dell’art. 24, secondo comma, della legge fall. ma in data
successiva all’abrogazione dello stesso per opera dell’art. 3, comma primo,
del d.lgs. n. 169 del 2007, deve considerarsi inammissibile, in applicazione
del principio tempus regit actum, svolgendosi altrimenti il processo secondo
il rito previsto da una norma abrogata ancor prima del suo inizio, e non
rientrando la fattispecie nella disciplina transitoria di cui all’art. 22 del cd.
decreto correttivo, il cui richiamo alle «procedure concorsuali» deve intendersi riferito, in base ad un’interpretazione letterale, alla disciplina propria di
tali procedure, e perciò, sul piano processuale, ai soli procedimenti interni
che tipicamente s’innestano sulle stesse, e non anche alle controversie che,

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pur originando dal fallimento, sono regolate dalla legge speciale solo quanto
all’esclusiva competenza a conoscerle del tribunale che ha emesso la sentenza dichiarativa (cfr. Cass., Sez. I, 24/06/2016, n. 13165).
Nell’enunciare il predetto principio, la sentenza citata ha escluso in particolare la possibilità d’invocare, in contrario, la diversa interpretazione risultante dalla ordinanza della Corte costituzionale n. 170 del 2009, con cui

dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, secondo comma della legge fall., o dalla sentenza del 7/
02/2007, n. 2692, con cui le Sezioni Unite di questa Corte, in sede di regolamento di giurisdizione, si sono limitate ad individuare la legge sostanziale
applicabile all’azione revocatoria promossa da un fallimento dichiarato in
Italia nei confronti di un soggetto straniero. A conferma dell’applicabilità del
rito ordinario, è stata poi richiamata la Relazione illustrativa al decreto correttivo, in cui si afferma che la modifica prevista dall’art. 3, comma primo,
«viene a sopprimere una grave disarmonia, non giustificabile con particolari
esigenze della procedura», in quanto «tali controversie sono cause aventi ad
oggetto diritti soggettivi che, pur derivando dal fallimento, […] si svolgono
al di fuori della procedura concorsuale, nei confronti di terzi estranei al fallimento, che verrebbero privati delle garanzie dei due gradi di cognizione
piena, di cui di regola possono usufruire tutti i soggetti dell’ordinamento», e
si sottolinea che la soppressione «è imposta dal rispetto dei principi di cui
all’art. 3 e 24 Cost.».
In proposito, va altresì richiamata l’ordinanza della Corte costituzionale
n. 19 del 2010, che, nel dichiarare ulteriormente la manifesta infondatezza
della questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, secondo comma,
della legge fall., ha escluso che la norma impugnata fosse stata adottata in
violazione della delega legislativa conferita con l’art. 1, comma sesto, lett.
a), della legge n. 80 del 2005, disattendendo anche le restanti censure sollevate dal giudice remittente, ivi compresa quella secondo cui la scelta del
legislatore delegato sarebbe stata viziata anche per disparità di trattamento
fra situazioni analoghe, determinata dal solo fatto che l’azione fosse connessa ad un fallimento pronunciato prima o dopo il 10 gennaio 2008, ovvero

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(sulla base, peraltro, del richiamo alla legge delega n. 80 del 2005) è stata

che essa fosse stata o meno proposta prima di tale data.
2. Il ricorso va pertanto rigettato.
La novità della questione trattata, risolta dalla giurisprudenza di legittimità soltanto in epoca successiva alla proposizione del ricorso, giustifica peraltro la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali

P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

tra le parti.

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