Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31189 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. I, 03/12/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 03/12/2018), n.31189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11407/2013 proposto da:

MPS Gestione Crediti Banca S.p.a., non in proprio ma in nome e per

conto della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Boezio n.6, presso lo studio dell’avvocato Luconi Massimo,

che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.r.l.;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 21/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2018 dal cons. TERRUSI FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Mps Gestioni Crediti s.p.a., in nome della Banca Monte dei Paschi di Siena, propose opposizione al passivo del fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, vantando un credito per saldo debitore di conto corrente e per interessi successivi alla chiusura del conto;

tale credito era stato invero escluso dal giudice delegato per difetto di documentazione;

nella contumacia della curatela del fallimento, il tribunale di Napoli ha respinto l’opposizione in quanto le scritture private inerenti al conto, prodotte in quella sede, non potevano dirsi munite di data certa anteriore al fallimento;

MPS Gestione Crediti ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un solo motivo, illustrato da memoria;

la curatela non ha svolto difese neppure in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente, deducendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 2704,2697 e 1219 c.c., nonchè della L. Fall., artt. 45 e 93 e seg., censura la decisione del tribunale nella parte in cui ha ritenuto che la data certa del contratto di conto corrente non potesse esser ricavata dalla lettera raccomandata inviata da essa MPS Gestione Crediti in data 22-1-2010, ricevuta dalla fallita in data 8-2-2010 come da cartolina di avvenuta ricezione, e in particolare dal timbro postale apposto sulla detta cartolina di ricevimento;

la censura non è fondata;

l’insinuazione al passivo di un credito derivante da un contratto di conto corrente bancario, per la validità del quale è prevista la forma scritta ad substantiam, postula l’accertamento dell’anteriorità della data di quest’ultimo, ex art. 2704 c.c., comma 1, rispetto alla sentenza dichiarativa di fallimento, in ragione della terzietà dell’organo gestore della procedura verso i creditori concorsuali e il debitore, e senza che la banca possa avvalersi, a fini probatori del credito invocato, degli estratti del conto stesso (v. con riguardo all’amministrazione straordinaria, ma con principio chiaramente estensibile al fallimento, Cass. n. 17080-16);

il tribunale ha messo in evidenza che le scritture private di accettazione delle condizioni del conto corrente – e dunque il contratto di conto – erano nella specie prive di data certa;

tale fatto – in sè – non è controverso;

la ricorrente censura invece la decisione del tribunale nella parte in cui ha ritenuto di non poter dedurre la certezza della data del documento da altri fatti, e in particolare “dalle lettere depositate”, che il giudice a quo ha ritenuto inidonee perchè, da un lato, provenienti dallo stesso soggetto creditore e perchè, dall’altro, generiche nel contenuto;

ad avviso del tribunale infatti solo una di tali lettere – la seconda (che è quella cui allude la ricorrente) – conteneva “la specifica delle sofferenze”, ma per essa (come per l’altra, pur generica) la data certa non poteva esser dedotta dal timbro postale, poichè questo era risultato apposto soltanto sulla cartolina di ricevimento, vale a dire su un documento non costituente corpo unico con la scrittura privata; nè erano stati acquisiti elementi certi ulteriori di riferibilità dell’uno all’altra;

a siffatta ricostruzione la ricorrente muove due censure: la prima afferisce al profilo della unilaterale provenienza del documento inviato, che non sarebbe ostativa a riconoscere la certezza di data del documento (il contratto di conto) ivi richiamato; la seconda afferisce al profilo della data certa delle cartoline di ricevimento, dal momento che le cartoline sono gli unici documenti che restano nella disponibilità del mittente assieme alle copie del documento spedito per raccomandata, mentre nessun timbro postale viene apposto ordinariamente sul documento in compiego;

in ogni caso la ricorrente soggiunge che la curatela fallimentare non si era neppure costituita in giudizio, e dunque non aveva provato – come sarebbe stato suo onere – che i plichi raccomandati non contenessero alcuna lettera al loro interno, ovvero che contenessero documenti diversi da quello indicato dal mittente;

ora è decisivo considerare, in contrario a quanto sostenuto dalla ricorrente, che questa Corte, con orientamento consolidato, da tempo ripete che, in tema di data desunta da un timbro postale, la certezza della data può essere ritenuta solo nel caso in cui la scrittura formi un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale medesimo, perchè la timbratura eseguita da un pubblico ufficiale equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita (cfr. ex aliis Cass. n. 23281-17, Cass. n. 8438-12);

consegue che, quanto alla data della scrittura privata nei confronti dei terzi, solo se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro la data risultante da quest’ultimo deve ritenersi data certa della scrittura, ai fini della computabilità di fronte ai detti terzi, e solo in questi casi l’onere della prova della certezza della data deve ritenersi assolto, gravando sulla controparte l’onere di provare la redazione del contenuto della scrittura, in tutto o in parte, in un momento diverso dalla data stessa così accertata (Cass. n. 21814-06, Cass. n. 534617);

a tale insegnamento il tribunale si è correttamente attenuto nel caso di specie;

non è pertinente evocare, invece, come la ricorrente ha fatto, la giurisprudenza formatasi sul tema della presunzione di identità del contenuto del plico raccomandato ricevuto dal destinatario;

tale giurisprudenza (per es. Cass. n. 22133-04, Cass. n. 20144-05, Cass. n. 17762-12, richiamata dalla banca assieme a molte altre) – nell’affermare il principio secondo il quale la lettera raccomandata (o il telegramma) costituisce anche in mancanza dell’avviso di ricevimento prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, a cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente – a niente serve quando si discuta della data certa dell’atto ai fini dell’opponibilità a un terzo, quale pacificamente è il curatore del fallimento; il curatore infatti, proprio perchè terzo, non è (e non è stato) il destinatario del documento di cui si discorre; la ricorrente inoltre denunzia che il tribunale, nella contumacia della curatela, abbia rilevato d’ufficio la non sufficienza della prova circa la possibilità di riferire la cartolina di ricevimento (con relativo timbro postale e firma per la ricezione della destinataria (OMISSIS)) alle lettere indicate; la questione non è tradotta in una specifica censura rilevante secondo il paradigma dei vizi denunziabili in cassazione à sensi dell’art. 360 c.p.c.; a ogni modo, ove anche da ciò si prescindesse, la questione sollevata non ha il minimo fondamento, poichè nuovamente confonde la figura del destinatario del documento (la società) col curatore fallimentare, che è terzo, e rispetto al quale gli scritti di provenienza del fallito rilevano solo se muniti – essi stessi – di data certa;

nel caso di specie l’unico documento di data certa era (in base alle incontroverse risultanze di fatto accertate dal giudice del merito) l’avviso di ricevimento della raccomandata, non anche il documento che si dice esser stato con essa trasmesso;

quanto poi all’avvenuto rilievo d’ufficio, vale osservare che la mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda e oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio (risolutivamente, Cass. Sez. U n. 4213-13, cui da ultimo adde Cass. n. 16404-18);

il ricorso è quindi rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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