Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31187 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. I, 03/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 03/12/2018), n.31187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2583/2015 proposto da:

Intesa Sanpaolo S.p.a., per incorporazione del Sanpaolo Imi S.p.a. in

Banca Intesa S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Liberiana n.17,

presso lo studio dell’avvocato Ferraguto Antonio, che la rappresenta

e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Germanico n.172,

presso lo studio dell’avvocato Galleano Sergio, che lo rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1616/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2018 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto che

Codesta Corte di Cassazione voglia accogliere i motivi di ricorso 2)

e 4).

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Catanzaro, sul gravame proposto dal correntista A.L., ha parzialmente riformato la pronuncia di rigetto resa dal Tribunale di Rossano sulle sue domande di dichiarazione dell’invalidità delle pattuizioni afferenti al contratto di conto corrente bancario e di esatta determinazione dei rapporti di dare ed avere tra esso attore e la Banca Intesa SpA (con la quale aveva stipulato il detto contratto), con condanna di quest’ultima alla restituzione di tutte le somme da questa addebitategli e riscosse, nonchè al risarcimento del danno cagionatogli.

1.1. In particolare, con la detta pronuncia, la Corte territoriale ha condannato l’Istituto di credito a pagare al correntista, attore ed appellante, a titolo di saldo, la somma di Euro 435.538,55, per il conto n. (OMISSIS), e quella di Euro 19.741,64, per il conto n. (OMISSIS), oltre agli interessi D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 117, comma 7, lett. a), e alle spese di lite.

1.2. Secondo la Corte, aveva errato il primo giudice a disattendere la domanda per il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore, ritenendo che la mancanza dei contratti e degli estratti conto completi (non depositati dalla Banca nonostante l’ordine di esibizione impartitole) impedisse la ricostruzione dell’andamento dei rapporti.

1.3. Ciò in quanto la Banca non aveva specificamente contestato la deduzione avversaria di aver applicato i cd. interessi “uso piazza” nè aveva ottemperato all’ordine di esibizione dei contratti conclusi con il correntista, sicchè – valutato il suo complessivo comportamento, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. – il giudice aveva concluso che la relativa pattuizione (ove anche fosse stata formata per iscritto) sarebbe stata nulla, quand’anche negoziata prima della entrata in vigore della Legge sulla trasparenza bancaria n. 154 del 1992 (e del successivo TU n. 385 del 1993).

1.4. Allo stesso modo era nulla anche la clausola anatocistica, contenuta nel contratto, con il conseguente necessario nuovo calcolo degli interessi, svolto senza tener conto di alcuna capitalizzazione e dell’addebito (pure operato dalla Banca) delle commissioni di massimo scoperto (CMS).

1.5. Nonostante la non completa produzione della documentazione relativa ai contratti e agli estratti conto, da parte del correntista, che ne era onerato, secondo la Corte era possibile il calcolo dei saldi di conto, assumendo come punto di partenza il primo di quelli già acquisiti.

1.6. Gli interessi applicabili in favore del cliente, senza alcuna capitalizzazione, andavano però distinti in interessi legali, per il periodo del rapporto contrattuale anteriore all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 4 (poi D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117), e interessi calcolati attraverso la misura dei BOT (o titoli similari) al tasso remunerativo calcolato nei 12 mesi precedenti la scadenza, per il periodo successivo.

1.7. Infine, nel ricalcolo operato, non dovevano computarsi le ritenute fiscali, vertendosi in materia di ripetizione dell’indebito (dovendo semmai tassarsi gli introiti del correntista, successivamente).

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Banca Intesa Sanpaolo SpA (già Banca Intesa SpA), con cinque mezzi di doglianza, illustrati anche con memoria.

3. Il correntista A. ha resistito con controricorso e memoria illustrativa.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dr. Alberto Cardino, ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., con le quali ha chiesto l’accoglimento del secondo e quarto motivo di ricorso, respinti i restanti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso (nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in relazione agli interessi attivi) la Banca ricorrente si duole del fatto che, senza che l’attore avesse mai svolto alcuna domanda relativa agli interessi attivi (interessi che pure il CTU aveva calcolato sui saldi risultati a credito del correntista), la Corte d’appello aveva condannato la Banca a pagare tali somme, per un ammontare assai rilevante (pari a Euro 235.976,15).

2.Con il secondo (violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23, comma 1 e art. 26, comma 2, in relazione alle ritenute fiscali dovute alla Banca) il ricorrente istituto di credito lamenta, in subordine (in caso di reiezione del primo motivo), il fatto che la somma non sia stata decurtata della quota di ritenuta fiscale dovuta dalla Banca allo Stato, in qualità di sostituto d’imposta.

2.1. La Corte avrebbe erroneamente escluso la ritenuta fiscale sulla base dell’affermazione che il debito bancario fosse un indebito e non invece, come avrebbe dovuto correttamente considerare, che essa andava operata a titolo di adempimento del rapporto di conto corrente.

3. Con il terzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2967 c.c., in relazione all’onere della prova dei pagamenti impugnati) la ricorrente Banca si duole della violazione del principio dell’onere della prova atteso che, avendo il correntista proposto una domanda di ripetizione dell’indebito, ai sensi dell’art. 2033 c.c., era suo onere, ai sensi dell’art. 2697 c.c., di individuare e fornire la prova dell’esistenza dei pagamenti indebiti oggetto della sua domanda, con la produzione in giudizio degli estratti conto, ordinari e scalari, nella perfetta consecuzione temporale necessaria.

3.1. La Corte, in mancanza di una documentazione completa, avrebbe validato la soluzione offerta dal CTU, il quale aveva ricostruito l’andamento del rapporto sulla base di “scritture contabili di raccordo”, ottenute attraverso una sorta di finzione ma senza che esistesse la prova dei singoli pagamenti (considerato che, agli atti, mancavano numerosi estratti, quali quelli relativi all’intero anno 1983, ai due trimestri degli anni 1999 e 2002 e ad un solo trimestre per gli anni 1982, 1994, 1999 e 2001) e per mezzo di cifre virtuali (pari alla differenza tra l’ultimo saldo dell’estratto periodico posseduto ed il primo successivo disponibile).

4. Con il quarto (violazione e falsa applicazione degli artt. 2033,1224 e 1284 c.c. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 7, lett. a) in relazione agli ulteriori interessi liquidati sulle somme dovute dalla Banca a titolo di ripetizione dell’indebito) la ricorrente Banca si duole della violazione della decorrenza degli interessi liquidati in via accessoria: a) perchè non fatti decorrere dalla data della domanda, ma da quella di chiusura dei conti, senza che tale fosse stata la richiesta del correntista; b) perchè commisurati non già agli interessi legali di cui all’art. 1284 c.c., ma al saggio sostitutivo cd. tasso BOT, di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 7, lett. a) al di fuori dei casi previsti dalla legge, ossia alle ipotesi di cui ai commi 4 e 6 (inosservanza del contenuto minimo contrattuale, per omessa indicazione del tasso di interesse praticato, ovvero per i casi di nullità dovuta al rinvio agli usi o per l’applicazione di interessi più sfavorevoli rispetto a quelli pubblicizzati).

5. Con il quinto (violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 c.p.c. in relazione agli ulteriori interessi liquidati sulle somme dovute dalla Banca a titolo di ripetizione dell’indebito) l’istituto di credito si duole del fatto che, senza che l’attore avesse mai svolto alcuna allegazione e domanda relativa al maggior danno risarcibile, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, la Corte abbia attribuito, d’ufficio, al correntista, gli interessi nel senso di cui al precedente mezzo di ricorso.

6. Il terzo motivo di ricorso, relativo al riparto dell’onere probatorio in relazione alla controversia di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, ha carattere logicamente pregiudiziale e deve essere esaminato, per primo, con riferimento alle due affermazioni critiche che lo compongono: a) quella secondo cui l’onere di fornire l’intera documentazione gravava sul correntista, b) e l’altra, secondo cui il giudice non poteva integrare la prova lacunosa (costituita da una parte soltanto dei prospetti riepilogativi dei movimenti del rapporto) con artifizi logico matematici intesi a ricostruire il dare ed avere reciproco, anche nella parti mancanti di documentazione.

6.1. Esso si rivela altresì infondato, con riferimento ad entrambi i profili richiamati, non tanto e non solo perchè, come afferma il PG, nessun pregiudizio concreto potrebbe riceverne la Banca ricorrente (in questo modo non venendo considerati i versamenti effettuati dal correntista, che non potrebbero nuocergli, ma anzi giovargli), quanto per le ragioni che seguono.

6.2. Con riferimento, al primo aspetto del problema posto, alle controversie tra Banca e correntista, introdotte sul ricorso del secondo allo scopo di contestare il saldo negativo per il cliente e di far rideterminare i movimenti ed il saldo finale del rapporto, alla luce della pretesa invalidità delle clausole contrattuali costituenti il regolamento pattizio e, così, ottenere la condanna della Banca al pagamento delle maggiori spettanze dell’attore, quest’ultimo è gravato del corrispondente onere probatorio, che attiene agli aspetti oggetto della contestazione, così come questa Corte ha già affermato in diverse pronunce.

6.3. Si è infatti stabilito (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24948 del 2017) che il correntista, il quale “agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida “causa debendi”, sicchè il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute.”

6.4. Tuttavia, qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto, il giudice – valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti) – può integrare la prova carente, sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti.

La Corte territoriale – affermando che “la mancata produzione dei contratti e degli estratti conto completi (questi ultimi oggetto di onere probatorio gravante sul correntista, attore in ripetizione dell’indebito) non comporta impossibilità di procedere al ricalcolo dei saldi (…), ma la mera necessità di assumere come punto di partenza il primo degli estratti disponibili” – si è uniformata ai principi sopra enunciati, nel rispetto della regola relativa all’onere della prova. Infatti, avendo il correntista ottemperato parzialmente a detto onere, la Corte medesima, sulla base del proprio prudente apprezzamento, ha fatto ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, compiuta attraverso la ricostruzione dell’andamento del rapporto e condotta attraverso ragionevoli e fondate ipotesi matematiche, in relazione alle quali non possono – in questa sede -darsi diverse valutazioni di merito. Trova applicazione, nel caso di specie, il principio già altre volte enunciato da questa Corte, secondo cui “la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche” (Cass. n. 6155 del 2009; in senso conforme, v. anche Cass. n. 2069 del 2013).

6.5. Il motivo deve essere pertanto respinto.

7. Deve ora passarsi all’esame del primo mezzo di cassazione, con il quale la Banca ricorrente si duole del fatto che, senza che l’attore avesse mai svolto alcuna domanda relativa agli interessi attivi (diversi dagli interessi sul credito finale risultante dal saldo), che pure il CTU aveva calcolato sui saldi risultati a credito del correntista, la Corte d’appello aveva condannato la Banca a pagare tali somme, per un ammontare assai rilevante (Euro 235.976,15).

7.1. Il Motivo è infondato e deve essere respinto poichè è principio di diritto già affermato da questa Corte quello secondo cui gli interessi attivi sono una conseguenza naturale della chiusura del rapporto di conto corrente.

7.2. Ove anche non emergesse dalle domande una voce espressamente indicativa del computo del cd. interessi attivi a vantaggio del correntista (ma in senso negativo conclude il PG, ricavando la richiesta dal ricorso a p. 4), ove maturati, il giudice di merito non erra a computare nel calcolo di chiusura del rapporto anche gli interessi attivi, essendo principio di diritto risalente, mai confutato ed anzi che è pienamente condiviso dal Collegio e deve essere qui riconfermato, quello espresso dalle SU di questa Corte (Sentenza n. 4310 del 1977 e Sez. 3, Sentenza n. 2336 del 1980) secondo cui “In tema di operazioni bancarie in conto corrente, “l’estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura”, che l’art. 1832 c.c., comma 2 prevede al fine del decorso del termine semestrale per far valere errori di scritturazione o di calcolo, ovvero omissioni o duplicazioni, non è soltanto quello che esprime la situazione finale del rapporto, al momento in cui esso ha termine, ma anche quello che rappresenta il risultato di tutte le operazioni verificatesi fino ad una certa data, e la contabilizzazione delle medesime, con la indicazione di un saldo attivo o passivo, comprensivo, di ogni ragione di dare ed avere e, quindi, tale da costituire la prima posta della successiva fase del conto. Al fine indicato, pertanto, deve qualificarsi come di chiusura l’estratto conto che la banca invia periodicamente al cliente, alle scadenze pattuite, a condizione che includa tutte le voci a credito ed a debito ricadenti nell’arco di tempo considerato, ivi compresi i diritti di commissione, le spese per le operazioni effettuate, gli interessi attivi e passivi maturati, le ritenute fiscali.”.

7.3. In sostanza, l’aver il correntista domandato in giudizio il saldo sulla base dell’estratto di chiusura, secondo le regole del dare ed avere, il giudice non poteva escludere, per ciò solo, la richiesta del calcolo anche degli interessi attivi, naturalmente ove spettanti (e siccome nella specie accertati).

8. Il secondo motivo (relativo ai profili fiscali da operare sull’avere del correntista) è invece fondato, in base al medesimo principio di diritto sopra riportato, atteso che l’estratto di chiusura include anche il computo delle ritenute fiscali, invece nel caso in esame erroneamente non applicate.

9. Il quarto e quinto mezzo, tra loro strettamente connessi, involgono tre questioni: a) se gli interessi decorrano dal pagamento o dalla domanda; b) se sia necessaria una specifica domanda; c) quale sia la misura degli stessi.

9.1. Circa la decorrenza e la misura degli interessi, trattandosi di domanda di ripetizione di pagamenti indebiti, ai sensi dell’art. 2033 c.c., occorreva – da parte del giudice di merito – scriminare lo stato soggettivo della banca (se in buona o mala fede) alla luce del principio di diritto (posto da questa Corte: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5330 del 2005) secondo cui “In materia di indebito oggettivo, gli interessi e le somme dovute per maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, decorrono dalla domanda giudiziale, e non già dalla data del pagamento della somma indebita, dovendosi avere riguardo all’elemento psicologico esistente alla data di riscossione della somma, a meno che il creditore non provi la mala fede delraccipiens”, con la precisazione che, anche in questo campo, la buona fede si presume, ed essa può essere esclusa soltanto dalla prova della consapevolezza da parte dell'”accipiens” della insussistenza di un suo diritto a ricevere il pagamento.”.

9.1.1. Sotto tale profilo, il motivo è fondato e merita accoglimento, difettando nella sentenza impugnata ogni valutazione circa il difetto della buona fede da parte della Banca.

9.2. Con riguardo alla necessità della domanda degli interessi sulle somme oggetto di indebito questa Corte ha già risposto affermativamente affermando il principio di diritto secondo cui “Pur avendo, colui che ha eseguito un pagamento non dovuto, diritto, oltre che alla restituzione delle somme pagate anche alla corresponsione degli interessi legali sulle somme stesse, tuttavia, quando l’interessato agisce in giudizio per la restituzione dell’indebito, non si può prescindere da una specifica richiesta degli interessi, non essendovi alcuna ragione che possa giustificare, a questo proposito, una deroga alla regola generale, secondo la quale il giudice non deve pronunciare oltre i limiti della domanda.” (Sez. 2, Sentenza n. 1137 del 1970; Sez. 2, Sentenza n. 5032 del 1983; Sez. 3, Sentenza n. 2814 del 1995; Sez. 3, Sentenza n. 8372 del 1996).

9.2.1. Tale profilo va accolto e la sentenza cassata in parte qua.

9.3. Anche in ordine alla misura degli interessi il ricorso deve essere accolto avendo questa Corte già affermato il principio di diritto secondo quando si realizza compiutamente la figura dell’indebito di cui all’art. 2033 c.c., sulla somma oggetto di ripetizione sono dovuti gli interessi legali ai sensi dell’articolo sopra citato e non gli interessi convenzionali previsti dal contratto di conto corrente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3492 del 1993).

10. In conclusione vanno respinti il terzo ed il primo motivo, ma accolti il secondo, il quarto ed il quinto.

10.1. La sentenza impugnata va cassata in ossequio agli enunciati principi di diritto.

PQM

Accoglie il secondo, quarto e quinto motivo del ricorso, respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di cassazione, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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