Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3118 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 07/02/2017, (ud. 13/07/2016, dep.07/02/2017),  n. 3118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23994-2013 proposto da:

S.O. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MENICACCI, che

lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTOCENTER DI R.P., ALLIANZ ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 15106/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 24/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

S.O. convenne dinanzi al Tribunale di Roma la Autocenter e la Ras Assicurazioni, proponendo appello avverso la sentenza con la quale il Giudice di Pace ne aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni a suo dire subiti a seguito di un incidente stradale, ritenendo non provato il nesso di causalità tra il fatto e il danno.

Il giudice adito rigettò l’impugnazione, ritenendo che le risultanze probatorie non consentissero di escludere che almeno una parte dei danni preesistessero all’incidente, e che la prova del nesso causale tra i danni riportati nel preventivo di riparazione dell’autoveicolo e il fatto illecito lamentato sarebbe stata sufficientemente integrata e convincentemente raggiunta attraverso la produzione di una documentazione fotografica e l’articolazione di una prova testimoniale che avesse confermato l’inesistenza dei danni lamentati dall’appellante in epoca antecedente al sinistro.

L’avvenuta riparazione dell’autovettura, e la conseguente impossibilità di procedere ad una liquidazione anche soltanto equitativa dei danni stessi in assenza di una sufficiente e convincente dimostrazione della loro esatta consistenza imponevano, pertanto, il rigetto dell’impugnazione.

Avverso la sentenza del tribunale capitolino il S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di censura.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

Con il primo ed unico motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 115, 116 e 324 c.p.c., artt. 2043 e 1226 c.c.; erroneità ed illegittimità della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo non varca la soglia dell’ammissibilità.

La Corte territoriale, nel pieno rispetto del generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative, quali quelle ancor oggi rappresentate a questa Corte dal ricorrente.

Tutte le ragioni di censura sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello sopra descritto, dacchè esse, nel loro complesso, pur formalmente abbigliate in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto del tutto consolidato quello per cui l’art. 360, n. 5, codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Sotto tale, concorrente aspetto, il ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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