Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31176 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 03/12/2018), n.31176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10161-2017 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 109,

presso lo studio legale D’AMICO, rappresentato e difeso dagli

avvocati FRANCESCO VINCENZO PAPADIA, MARIA ANTONIETTA PAPADIA;

– ricorrente –

contro

INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI

SUL LAVORO (OMISSIS), in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo

studio dell’avvocato LUCIANA ROMEO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TERESA OTFOLINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2465/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 20 dicembre 2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11 ottobre 2018 dal Consigliere Relatore Dott.

GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 20 dicembre 2016, la Corte d’Appello di Bari in riforma della decisione del Tribunale di Trani – che aveva accolto la domanda proposta da C.V. nei confronti dell’INAIL riconoscendo al ricorrente il diritto all’indennizzo per il danno biologico derivato da malattia professionale quantificato nella misura del 10% – rigettava la domanda del C.;

che la Corte territoriale – dopo aver riportato integralmente il contenuto della consulenza tecnica nuovamente disposta in appello che aveva escluso la sussistenza del nesso eziologico tra la ipoacusia di tipo sensoriale bilaterale da cui l’assicurato era affetto e l’attività da lui svolta (addetto alla manutenzione dei binari) – aveva affermato di condividerne le conclusioni perchè sorrette da ampia motivazione e fondate su rigorose valutazioni medico-legali;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il C. affidato a due motivi cui resiste con controricorso l’istituto;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. in cui dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.nonchè art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in considerazione dei profili di illogicità e carenza di motivazione, avendo la Corte territoriale sostituito la valutazione dei fatti e delle ragioni di diritto del ricorrente con la pedissequa trascrizione della consulenza tecnica disposta in appello alla quale si era adeguata, obliterando del tutto i contenuti della consulenza espletata in primo grado; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) per avere la Corte di merito, nell’aderire pedissequamente al contenuto dell’elaborato peritale, obliterato gli esiti della prova testimoniale espletata in primo grado da cui era emersa l’esposizione a rumore del C. nel corso dell’attività lavorativa laddove avrebbe dovuto procedere ad una più attenta verifica delle argomentazioni contenute nella consulenza secondo cui l’ipoacusia bilaterale non rientrava pedissequamente tra le malattie tabellate e non vi era prova documentale fonometrica che l’attività svolta dal C. avesse i “connotati quali-quantitativi tecnico temporali o certificati in termini fisico-acustici e fonometriche, per generare una esposizione ad un rischio otopatico da rumore lesivo”, conclusioni queste neppure supportate da nuovi esami diagnostici specialistici e neppure da una nuova visita medica ma fondate solo su un tracciato audiografico del 25 marzo 2001;

che il primo motivo è infondato in quanto la Corte di appello nel condividere le argomentazioni del consulente tecnico d’ufficio in merito alla non riconducibilità della malattia denunciata dal C. all’attività dallo stesso svolta le ha ritenute corrette così fornendo una motivazione sintetica ma adeguata visto che nell’elaborato peritale trascritto nella impugnata sentenza sono precisate in modo chiaro le ragioni oggettive per le quali le conclusioni dell’ausiliare nominato in primo grado non erano state condivise;

che il secondo motivo è infondato nella parte in cui lamenta il malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. questione questa che può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; – abbia invertito gli oneri probatori (Cass. n. 27000 del 27/12/2016; Cass. n. 13960 del 19/06/2014; Cass. n. 26965 del 20/12/2007). Ed infatti nessuna di tali situazioni ricorre nel caso in esame in cui la Corte di appello nel far proprie le argomentazioni del consulente tecnico d’ufficio sulla esposizione del C. a rumore nello svolgimento dell’attività lavorativa le ha ritenute corrette, così dimostrando di aver valutato le risultanze istruttorie come emergenti dalla prova testimoniale assunta e dalla documentazione acquisita agli atti. Invero, nella consulenza sono specificamente indicate le ragioni per le quali l’esposizione a rumore – pure emergente dalla prova testimoniale – non era stata considerata causa della ipoacusia da cui il C. era affetto (non risultando il livello del rumore e la durata dell’esposizione, ma soprattutto perchè l’esame audiometrico agli atti non era “assolutamente compatibile con la patogenesi esclusiva da trauma sonoro (o da rumore)”. Inoltre, come già anticipato nell’esame del primo motivo, il consulente ha precisato le ragioni per le quali aveva dissentito dalle conclusioni della prima consulenza tecnica evidenziando come “… l’esordio, certificato in anamnesi, dell’ipoacusia, negli anni 1996 – 1996, non è compatibile con una sordità da rumore professionale, tenendo conto della costanza lavorativa. Infatti il sig. C. risultava assunto già nel 1969 (27 anni prima)…” e sottolineando che “… i deficit uditivi evolvono subito nei primi 5-10 anni e poi si stabilizzano…” e che non era comprensibile come “…con un ipotetico minore rischio, poichè già mutato nel 1990 (per cambio mansione, passato da operaio di armamento ad operaio agli impianti elettrici, e sempre non in capannoni o ambienti chiusi, bensì all’esterno), solo nel 1996-1997 insorga una ipoacusia peraltro valutata audiometricamente solo all’atto del pensionamento, 2001, e mai prima…”. Infine, il consulente conclude con un rilievo che, da solo, sarebbe stato sufficiente a supportare il rigetto della domanda e cioè che, pur ammettendo la sussistenza del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e la malattia, il danno biologico si sarebbe potuto quantificare in misura pari al 4.75%;

che il motivo, laddove lamenta un omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non presenta i requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n.

8053 del 7 aprile 2014) finendo: a) con il lamentare il vizio di motivazione insufficiente in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); b) con il denunciare l’omesso esame della provata esposizione a rischio e la negligenza del datore di lavoro stante la mancanza di documentazione relativa a valutazioni aziendali del rischio e dei livelli di rumorosità che non poteva pregiudicare il lavoratore laddove, l’esposizione al rischio era stata considerata (come emerge da quanto sopra esposto) mentre la negligenza del datore di lavoro non è un fatto ma un giudizio peraltro neppure decisivo;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (L. di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. 17 ottobre 2014, n. 22035; Cass. 13 maggio 2014, n. 10306 e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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