Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31173 del 29/12/2017


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Civile Ord. Sez. L Num. 31173 Anno 2017
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: CINQUE GUGLIELMO

ORDINANZA
sul ricorso 18936-2012 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIALE MAZZINI 134 presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la
rappresenta e difende, giusta delega ‘n atti;
– ricorrentecontro
2017
2806

BUONOPANE ANTONELLA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA CAVOUR 221, presso lo studio dell’avvocato
FABIO FABBRINI, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato AGNESE GUALTIERI, giusta
delega in atti;

Data pubblicazione: 29/12/2017

- controricorrente

avverso la sentenza n. 5374/2010 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/07/2011 R.G.N.

3298/06;

RG. 18936/2012

RILEVATO

che, con sentenza n. 5374/2010, la Corte di Appello di Napoli -per
quello che interessa in questa sede- ha confermato la pronuncia del
16.2.2006 emessa dal Tribunale di Ariano Irpino con la quale era stata
dichiarata la nullità della clausola del termine apposta al contratto,
intercorso tra Poste Italiane spa e Antonella Buonopane, dall’8.10.2002
al 31.12.2002, per “sostenere il livello di servizio di recapito durante la

completamento, di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11
dicembre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile, 30 luglio e 18
settembre 2002, che prevedono al riguardo, il riposizionamento su
tutto il territorio degli organici della società”, nonché la prosecuzione
giuridica del rapporto ed il diritto al risarcimento del danno pari alle
retribuzioni maturate e spettanti dalla messa in mora del 13.9.2004,
oltre accessori;

che avverso tale decisione Poste Italiane spa ha proposto ricorso per
cassazione affidato a cinque motivi;

che la Buonopane ha resistito con controricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura: 1) l’erronea motivazione in ordine agli
artt. 1372, 1° comma cc, 1175 cc, 1375 cc, 2697 cc, 1427 cc, 1431 cc,
100 cpc (art. 360 n. 3 cpc) per avere erroneamente ritenuto la Corte
distrettuale che non si fosse verificata la risoluzione del rapporto per
mutuo consenso; 2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 commi
1 e 2 D.Igs n. 368/2001, art. 4 comma 2 D.Igs n. 368/2001, art. 12
preleggi, artt. 1362 e ss cc e art. 1325 e ss cc (art. 360 n. 3 cpc) per
avere la Corte territoriale ritenuto illegittima la plurima indicazione di
ragioni di giustificazione poste a fondamento dell’assunzione e per
avere erroneamente omesso di considerare il contenuto degli accordi
collettivi menzionati nel contratto individuale idoneo a riscontrare che
gli elementi di specificazione -richiesti dal D.Igs n. 368/2001- erano
perfettamente sussistenti; 3) la violazione e falsa applicazione, in

I

fase di realizzazione dei processi di mobilità, tuttora in fase di

relazione all’art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 4 comma 2 D.Igs n. 368/2001,
2697 cc, 115 cpc, 116 cpc, 244 cpc, 253 cpc, 421 comma 2 cpc
assumendosi che la Corte territoriale avrebbe erroneamente invertito
l’onere della prova non tenendo conto del mutato quadro normativo di
riferimento alla luce del quale il datore di lavoro sarebbe ormai
esonerato da ogni onere probatorio circa le ragioni che avevano indotto
le parti alla stipula di un contratto a termine, essendo ciò limitato
esclusivamente alle esigenze legittimanti la eventuale proroga dello

a fondamento del contratto a termine de quo era dimostrata attraverso
il richiamo per ‘relationem al contenuto degli Accordi aziendali indicati
nella clausola appositiva del termine e la Corte territoriale,
quand’anche avesse dovuto ritenersi gravata essa società del relativo
onere probatorio, erroneamente non aveva ritenuto meritevole di
accoglimento la richiesta di prova orale formulata dalla società
medesima omettendo di fare ricorso ai poteri officiosi in materia di
ammissione della prova; 4) l’omessa e insufficiente motivazione in
ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento
alla ritenuta erronea mancanza di prova delle esigenze poste a
fondamento della specifica assunzione e in relazione al mancato
esercizio dei poteri di ufficio; 5) la violazione e falsa applicazione della
sopravvenuta disciplina in tema di risarcimento introdotta dall’art. 32
della legge n. 183/2010;

che il primo motivo non è fondato: invero, quanto alla questione della
eccezione di risoluzione per mutuo consenso, l’indirizzo consolidato di
questa Sezione (cfr. tra le altre Cass. n. 5887/2011; Cass. n.
23057/2010) è nel senso di ritenere che la mera inerzia del lavoratore
dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far
considerare sussistente una risoluzione per mutuo consenso in quanto,
affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia
accertata -sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto
dalle parti e di eventuali circostanze significative- una chiara e certa
comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad
ogni rapporto lavorativo, sicché la valutazione del significato e della

stesso; e, comunque, la sussistenza delle esigenze organizzative poste

portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se
non sussistono vizi logici o errori di diritto: ipotesi queste non
ravvisabili nel caso in esame; inoltre, è stato affermato che non
costituisce elemento idoneo ad integrare la fattispecie di tacita
risoluzione consensuale il fatto che il lavoratore abbia, nelle more,
percepito il TFR, ovvero cercato o reperito altra occupazione (Cass. n.
22489/2016; Cass. n. 21310/2014; n. 6900/2016);

sottolineato da questa Corte (cfr. tra le altre Cass. 14.3.2016; Cass.
16.7.2010 n. 16702), dagli accordi indicati nel contratto si desume
l’attivazione, nel periodo dagli stessi considerato e nell’ambito del
processo di ristrutturazione in atto, di processi di mobilità all’interno
dell’azienda al fine di riequilibrare la distribuzione su tutto il territorio
nazionale, ma la persistenza, all’epoca dell’assunzione della
Buonopane, della fase attuativa della procedura di mobilità di cui agli
accordi suindicati non è sufficiente ad integrare le ragioni giustificatrici
dell’apposizione del termine ai sensi del D.Igs n. 368/2001 e cioè ad
individuare, in seno al contratto, le esigenze produttive che,
oggettivamente, avevano reso necessaria l’assunzione del lavoratore
nell’ambito della struttura di destinazione, con specifico riferimento alle
mansioni affidate: la Corte di appello di Napoli ha puntualmente fatto
applicazione di tali principi ritenendo appunto indispensabile che le
ragioni dell’apposizione del termine fossero rapportate alla concreta
situazione riferibile al singolo lavoratore e che l’onere della prova
incombeva sul datore di lavoro (Cass. 10.2.2010 n. 2279; Cass.
11.12.2012 n. 22716);

che non coglie nel segno neanche la doglianza sulla sussistenza di
plurime causali perché la Corte distrettuale non ha accolto la domanda
per la inidoneità della compresenza, in seno al contratto, di più ragioni,
fra esse non incompatibili a costituire elemento di sufficiente
specificazione delle esigenze sottese al contratto, bensì, come detto,
per la diversa ratio decidendi costituita dalla mancanza di prova in
concreto delle specifiche esigenze relative all’ufficio di destinazione,
alle mansioni e alla qualifica del lavoratore;

3

che il secondo motivo è parimente infondato perché, come più volte

che il terzo e quarto motivo (da trattarsi congiuntamente per la loro
connessione) non possono essere accolti perché, stabilito che l’onere
della prova è a carico del datore di lavoro, è jus receptum che il difetto
di motivazione su un’istanza di ammissione di mezzo istruttorio o sulla
valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali
denunciabile in sede di legittimità -peraltro nel rispetto del principio di
specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito da Cass.
Sez. Un. 3.11.2011 n. 22726- deve riguardare specifiche circostanze

erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di
legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare
e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. 30.7.2010 n. 17915; Cass.
18.10.2011 n. 21486); nella specie il capitolo di prova (n. 11) non è
stato ammesso stante la sua genericità, sicché la contestazione finisce
per risolversi nella inammissibile prospettazione di un preteso migliore
e più appagante coordinamento dei dati acquisiti;
che quanto, infine, alla censura relativa alla mancata attivazione dei
poteri di ufficio in materia di prova da parte dei giudici, si rileva che la
società non specifica se in proposito abbia tempestivamente invocato
tale esercizio, con la necessaria indicazione dell’oggetto possibile degli
stessi (Cass. 23.10.2014 n. 22534; Cass. 12.3.2009 n. 6023): ciò
anche in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso
(Cass. ord. 20.4.2016 n. 10376); inoltre, deve richiamarsi
l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato esercizio dei
poteri istruttori del giudice, anche in difetto di espressa motivazione
sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in
un vizio di illogicità della sentenza: vizio non ravvisabile nel caso de
quo;
che è, invece, fondato il quinto motivo, limitatamente alla richiesta di
applicazione dello jus superveniens atteso che, come da ultimo chiarito
da Cass. Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691, la censura ex art. 360 n. 3
cpc può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la
pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive, e quindi
applicabili al rapporto dedotto, in considerazione che non si richiede
necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità

4

oggetto della prova e del contenuto del documento trascurato od

non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata
all’ordinamento giuridico e che sul capo della sentenza, con il quale
erano state regolate le conseguenze economiche, non si era formato
alcun giudicato;

che, sempre come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass.
Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691), ove sia stato proposto appello,
sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità
del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile il

legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in
base al combinato disposto degli artt. 329 comma 2 e 336 comma 1
cpc, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione
impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa
dipendente;

che, inoltre, con la stessa pronuncia è stato chiarito il concetto di
“pendenza” ritenendo “pendenti” anche i giudizi in cui sia stato
proposto, come sopra detto, appello contro la parte principale della
decisione di primo grado dalla quale dipende, in quanto legata da un
nesso di causalità imprescindibile, la parte relativa al risarcimento del
danno. Del resto, già con la pronuncia di questa Corte (cfr. Cass.
2.3.2012 n. 3305) si era ritenuto che la sopravvenuta disciplina di cui
all’art. 32, commi 5, 6 e 7 legge n. 183/2010 si applicasse anche ai
giudizi di legittimità e di appello;

che, pertanto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto
con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli, in
diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità
spettante alla lavoratrice ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la
scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il
giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr. per
tutte Cass. n. 14461/2015), con interessi e rivalutazione su detta
indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia
giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del
termine al contratto di lavoro subordinato (cfr. tra le altre Cass. n.
3062/2016).

5

giudicato in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie,

P.Q.M.
La Corte accoglie ‘ultimo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza in
relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli in
diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità.

Così deciso nella Adunanza camerale del 21 giugno 2017.

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