Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31171 del 29/12/2017


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 31171 Anno 2017
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 4927-2013 proposto da:
COSTA CARMELA CSTCML50S50F158Y, BUCALO CONCETTA
BCLCCT63L43F158Q, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA
GREGORIO VII 474, presso lo studio dell’avvocato GUIDO
ORLANDO, che le rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIUSEPPE BENVENGA giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrenti contro

GUGLIOTTA CATERINA, domiciliata in ROMA presso la
Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa
dall’avvocato ETTORE FLERES giusta procura in calce al
controricorso;
– controricorrente nonchè contro

Data pubblicazione: 29/12/2017

COSTA GIOVANNI, MARINO GIUSEPPE, MARINO ANTONIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 631/2011 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA, depositata il 22/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Gugliotta Caterina conveniva in giudizio dinanzi al Pretore di
S. Teresa di Riva, Di Bella Giovanna e Giuseppa, deducendo di
essere proprietaria di un fabbricato per civile abitazione in
Furci Siculo alla via della Verdura n. 23, posto a confine con il
fabbricato delle convenute che, nel realizzare qualche anno
addietro la sopraelevazione del loro immobile, avevano aperto
una finestra che consentiva un’illegittima ed abusiva servitù di
veduta sul suo fondo, chiedendone pertanto l’eliminazione.
Le convenute si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto
della domanda, assumendo che tra la veduta ed il fondo
dell’attrice vi era una distanza pari a due metri, superiore a
quella minima di cui all’art. 905 c.c..
All’esito dell’istruttoria, subentrato al Pretore il Tribunale di
Messina quale giudice unico, questi con sentenza n. 525 del 23
gennaio 2003, accoglieva la domanda attorea, condannando le
convenute all’eliminazione della servitù di veduta mediante la
costruzione sul confine di un muretto pieno per tutta l’altezza
del terzo piano.
A seguito di appello proposto da Di Bella Giovanna oltre che
dagli eredi della defunta Di Bella Giuseppa, Costa Giovanni,
Costa Carmelo, Marino Giuseppe e Marino Antonio, gli ultimi
due quali eredi a loro volta della defunta Costa Lorenza, figlia
di Di Bella Giuseppa, la Corte d’Appello di Messina con la
sentenza n. 631 del 22 dicembre 2011 rigettava l’appello,
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del 15/11/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

condannando gli appellati anche al rimborso delle spese del
grado.
Disattesa l’eccezione di tardività dell’appello, in relazione al
primo motivo di appello, con il quale si evidenziava che
risultava rispettata la distanza di metri due tra la veduta ed il

disposizioni di cui al PRG del Comune di Furci Siculo, risalendo
la realizzazione della finestra ad una data anteriore all’entrata
in vigore dello strumento urbanistico, la Corte distrettuale
riteneva condivisibile l’assunto del giudice di prime cure, a sua
volta conformatosi alla valutazione del CTU, il quale aveva
sostenuto che la finestra era stata realizzata in epoca
successiva al 1980, allorquando era entrato in vigore il PRG.
A tal fine la presentazione della domanda di sanatoria solo nel
1985 deponeva per una costruzione avvenuta in epoca
anteriore, come peraltro confermato dalla diversa consistenza
dei materiali costruttivi del fabbricato delle originarie parti
convenute. Inoltre se la data dell’opera risaliva agli inizi degli
anni ’70, come invece sostenuto dagli appellanti, non si
sarebbe compresa la ragione per la quale si era atteso solo il
1985 per avanzare istanza di condono, non avvalendosi delle
precedenti previsioni normative di analogo tenore.
Inoltre, anche le deposizioni dei testi addotti da parte attrice
confortavano l’avvenuta costruzione della sopraelevazione nel
1980, prevalendo tali deposizioni su quelle dei testi invece
addotti dalle convenute.
Ne derivava pertanto l’applicabilità delle previsioni del PRG che
prevedono una distanza di 5 metri dal confine in caso di pareti
finestrate, che non risulta essere rispettata dalla finestra delle
convenute.

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fondo attore°, sul presupposto altresì dell’inapplicabilità delle

Quanto alla deduzione di parte appellante, di cui al secondo e
terzo motivo di appello, secondo cui la servitù de qua sarebbe
stata esercitata già in precedenza da un sovrastante terrazzo
munito di parapetto, e per un tempo utile ad usucapire il
relativo diritto, la sentenza, ritenuta ammissibile la deduzione

proponibile anche in grado di appello, trattandosi di
procedimento sottoposto alle norme processuali vigenti in data
anteriore al 30 aprile 1995, la riteneva tuttavia priva di
fondamento in quanto alla luce di quanto anche emergeva dalle
foto in atti, la concreta struttura del muretto preesistente non
consentiva una comoda possibilità di affaccio, attesa l’altezza
dello stesso, dovendosi escludere quindi che fossero possibili
l’inspectio e la prospectio, mancando quindi i requisiti per
l’acquisto per usucapione della servitù di veduta.
Era infine disatteso anche l’ultimo motivo di appello
concernente le spese del giudizio di primo grado, ritenendosi
quindi necessario porre a carico degli appellanti anche le spese
del giudizio di appello.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
Costa Carmela e Bucalo Concetta, quest’ultima quale erede di
Di Bella Giovanna deceduta nelle more del giudizio, sulla base
di tre motivi.
Ha resistito con controricorso Gugliotta Caterina.
Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa sede
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa

applicazione degli artt. 905 ed 873 c.c. ai sensi dell’art. 360 co.
1 n. 3 c.p.c.
Si deduce che erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto
violate le norme in tema di distanze delle vedute, sulla base
dell’applicazione delle previsioni di cui al locale strumento

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sub specie di eccezione riconvenzionale, liberamente

urbanistico, che, nella parte in cui prevede il distacco di dieci
metri tra edifici e di cinque metri dal confine, in caso di pareti
finestrate, fa chiaramente riferimento alla diversa ipotesi di
rispetto delle distanze tra costruzioni.
Nella fattispecie, invece, come si evince chiaramente dal tenore

l’illegittima creazione di una servitù di veduta a seguito della
collocazione di una finestra nella sopraelevazione realizzata
dalle convenute, ponendo quindi a fondamento della pretesa il
mancato rispetto delle distanze di cui all’art. 905 c.c., e non
anche di quanto invece prescritto dall’art. 873 c.c..
Deve pertanto escludersi che il regolamento locale possa
integrare la disciplina in materia di distanze tra costruzioni
trattandosi di discipline giuridiche autonome che fondano la
proposizione di domande a loro volta distinte.
Il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione della sentenza nella parte in cui è
stata disposta la sola realizzazione di un muro al fine di
impedire l’esercizio della veduta trascurandosi la
contraddittorietà intrinseca della domanda attorea.
Infatti, posto che la Gugliotta aveva lamentato la sola
violazione delle distanze in tema di vedute, in relazione alla
quale non sussisteva alcuna illegittimità, essendo le finestra
posta a due metri dal confine, è implicito il riconoscimento
della legittimità della costruzione della sopraelevazione, in
quanto altrimenti si sarebbe dedotta anche la violazione
dell’art. 873 c.c.
Si deduce altresì che la motivazione sarebbe contraddittoria
nella parte in cui ha ritenuto che la sopraelevazione fosse
avvenuta nel 1980, in epoca successiva all’entrata in vigore del
PRG, essendosi valorizzato l’argomento rappresentato dalla

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della domanda introduttiva, l’attrice aveva lamentato

mancata presentazione in epoca anteriore della domanda di
condono.
La decisione gravata, oltre ad omettere di indicare le norme in
base alle quali sarebbe stato possibile avanzare
precedentemente istanza di condono, omette di considerare

da altre ragioni, quali ad esempio l’indisponibilità all’epoca di
denaro per farvi fronte. Inoltre, se la costruzione era risalente
ad epoca anteriore, non appare comprensibile per quale
ragione l’attrice non abbia deciso di agire per la violazione delle
distanze di cui all’art. 873 c.c.
In tal senso il pur evidenziato dubbio circa l’epoca di
realizzazione della sopraelevazione, emergente dal complesso
delle deposizioni testimoniali, ben poteva essere superato
valorizzando tale argomento, invece del tutto pretermesso dai
giudici di appello.
Il terzo motivo infine, assume che, quale conseguenza
dell’accoglimento dei precedenti motivi, debba rideterminarsi
anche la sorte delle spese di lite, ponendole a carico
dell’originaria parte attrice.
3. In relazione al primo motivo, che contesta la possibilità di

fare applicazione ad una domanda volta al rispetto delle
distanze alle vedute della diversa disciplina in tema di distanze
tra fabbricati, rileva il Collegio che secondo la prevalente
giurisprudenza di questa Sezione ( cfr. Cass. n. 18595/2012) la
disposizione di cui all’art. 905 cod. civ., volta a salvaguardare il
fondo finitimo dalle indiscrezioni attuabili mediante l’apertura
di vedute, non ha correlazione alcuna con quella di cui all’art.
873 cod. civ., diretta a tutelare interessi generali di igiene,
decoro e sicurezza negli abitati, non potendo, pertanto, la

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che trattasi di scelta che potrebbe essere stata dettata anche

prima norma ritenersi integrata da eventuali regolamenti locali
in tema di distanze tra fabbricati o dal confine.
E’ emerso però un diverso orientamento che sostiene ( cfr.
Cass. n. 4967/2015) che, ferma restando la detta differenza di
interessi tutelati, la maggior distanza delle costruzioni, prevista

confine, opera anche ai fini della individuazione della distanza
delle vedute dal confine ( conf. Cass. n. 5518/1998).
Va a tal fine rilevato che la questione assume diretta rilevanza
nel caso in esame in quanto a seguire tale ultimo
orientamento, poiché nel caso di specie la distanza prevista dal
regolamento locale prevedeva un distacco assoluto dal confine,
e si assume che la costruzione della sopraelevazione, ivi
inclusa la finestra sia successiva all’entrata in vigore del PRG,
la distanza di cinque metri dovrebbe valere anche per la
finestra e quindi la sentenza va confermata.
Tuttavia poiché la questione assume anche valenza
nomofilattica, sicchè appare opportuna la rimessione della
causa alla pubblica udienza.
PQM
Rimette la causa a nuovo ruolo della pubblica udienza.
Così deciso nella camera di consiglio del 15 nove
Il

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dai regolamenti locali, laddove sia riferita specificamente al

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