Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31170 del 29/12/2017


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Cassazione civile, sez. II, 29/12/2017, (ud. 25/10/2017, dep.29/12/2017),  n. 31170

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 30 giugno 2005, C.I., A.P. in C. e CR.AU. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Trento – Sezione distaccata di Cavalese – C.A. e V.V. per ottenere l’accertamento e la dichiarazione dell’inesistenza di qualsiasi diritto dei convenuti a occupare l’autorimessa di loro proprietà, facente parte della porzione materiale 2 della particella edificiale (OMISSIS) Comune di Cavalese, con conseguente condanna a rilasciarla libera da persone e cose ed a risarcire i danni di tale abusiva occupazione; nonchè per ottenere la cessazione delle condotte poste in essere dai convenuti sulle proprietà comuni con varie molestie e turbative all’esercizio del diritto di proprietà degli attori. Con separato ricorso proposto in data 20 luglio 2005, gli attori chiedevano, inoltre, in corso di causa, ex art. 700 c.p.c., che fosse ordinato ai convenuti di sgomberare l’autorimessa da loro occupata e di mettere a disposizione dei ricorrenti l’acqua nella fontanella esterna comune.

Si costituivano in giudizio i convenuti contestando le richieste attoree e proponendo l’eccezione di giudicato formatosi nel giudizio possessorio promosso dai coniugi C. e A. nell’ambito del processo instaurato nel 1990 davanti al Tribunale di Trento per simulazione assoluta degli atti di donazione reciproca del 1982.

Con provvedimento in data 1 dicembre 2005, il giudice respingeva il ricorso ex art. 700 c.p.c.. Espletata c.t.u. e assunti i mezzi di prova ammessi, con sentenza del 3 febbraio 2010 il Tribunale, in parziale accoglimento delle domande, accertava il diritto di nuda proprietà di CR.AU. sull’autorimessa; accertava altresì il diritto di CR.AU. di servirsi della fontanella sita sul lato est della casa; il diritto della stessa di erigere nella particella edificiale (OMISSIS) una parete divisoria tra le cantine di pertinenza delle due porzioni materiali e tra l’autorimessa e il confinante disbrigo; il diritto della suddetta di installare nel locale caldaia comune un’autonoma caldaia a servizio della porzione materiale 2 ovvero il diritto della stessa di allacciarsi all’unica caldaia comune funzionante; il diritto della stessa a usufruire del cancello elettrificato di accesso; il diritto della stessa di provvedere alla manutenzione dell’impianto luci al servizio del pianerottolo antistante la porta di ingresso l’appartamento di sua proprietà e dell’impianto citofonico; condannava i convenuti a mantenere aperta la valvola di alimentazione della condotta che porta l’acqua alla fontana sul lato est della casa ed a consentire ad CR.AU. di accedere all’unica caldaia comune funzionante; dichiarava il diritto della stessa a usufruire del cancello elettrificato di accesso; condannava i convenuti a demolire una baracca costruita sul suolo comune; condannava i convenuti in solido a rifondere a CR.AU. le spese processuali; dichiarava il difetto di legittimazione attiva di CR.AU. riguardo alla domanda di condanna dei convenuti al rilascio dell’autorimessa facente parte della p.m. 2 e alla domanda di condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’indebita occupazione; rigettava la domanda di condanna e sensi dell’art. 96 c.p.c., svolta sia da CR.AU. sia dai convenuti in via riconvenzionale; rigettava la domanda di condanna dei convenuti a effettuare il distacco delle utenze comuni da quelle relative a proprietà esclusive e di astenersi per il futuro da ogni molestia, anche verbale, nei confronti dell’attrice con riferimento al pacifico godimento dei beni di proprietà esclusiva o comune.

Avverso la sentenza del Tribunale di Trento – Sezione distaccata di Cavalese – proponevano appello C.A. e V.V., chiedendo l’integrale riforma della pronuncia di primo grado e il conseguente rigetto delle domande spiegate dall’attrice CR.AU.. Si costituiva CR.AU. eccependo l’inammissibilità dell’appello e la sua infondatezza. Con sentenza depositata in data 3 maggio 2012, n. 147/2012, la Corte d’appello di Trento respingeva il gravame, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite.

Riguardo all’eccezione di cosa giudicata, la Corte d’appello di Trento affermava la genericità della doglianza, posto che la titolarità della p.m. 2 della p. ed. (OMISSIS) in Cavalese in capo a CR.AU. era stata definitivamente accertata dalla sentenza della Corte di cassazione n. 27599/2008, rilevando altresì che i procedimenti possessori non potevano formare giudicato, essendo caratterizzati da causa petendi diversa da quella fatta valere in sede petitoria.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Trento n. 147/2012 hanno proposto ricorso per cassazione, recante n. R.G. 14796/2013, C.A. e V.V. sulla base di un unico motivo. CR.AU. resiste con controricorso.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., CR.AU. ha poi proposto ricorso, notificato il 21 giugno 2013, recante n. R.G. 16094/2013, e articolato in unico motivo, avverso la sentenza n. 253/2012 del 19 luglio 2012 resa dalla Corte d’Appello di Trento, la quale ha disposto la revocazione della sentenza n. 271/1999 del 20 luglio 1999 della stessa Corte di Trento, e perciò dichiarato inefficace per simulazione assoluta l’atto di donazione intercorso il 4 giugno 1982 tra i coniugi C.A. e V.V. e i coniugi C.I. e A.P., genitori di C.A..

Resistono con controricorso C.A. e V.V., mentre è rimasto intimato, senza svolgere attività difensive, C.I..

Il giudizio di revocazione aveva avuto inizio con citazione notificata il 29 dicembre 2009 da C.A. e V.V. a C.I. ed agli eredi di A.P., deceduta l'(OMISSIS), citazione in cui C.A. e V.V. dedussero di aver ritrovato soltanto il 2 dicembre 2009 una scrittura privata datata 4 giugno 1982, spedita loro con lettera raccomandata da tale Z.G. e costituente controdichiarazione della contestuale donazione stipulata inter partes. La sentenza n. 253/2012 ha ritenuto la revocazione tempestiva, ai sensi degli artt. 325 e 326 c.p.c., nonchè decisivo il documento rinvenuto, dando esso prova della simulazione dell’atto di donazione.

Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, allo scopo di garantire l’economia, la certezza ed il minor costo dei giudizi, deve disporsi la riunione dei procedimenti introdotti con i ricorsi n. R.G. 14797/2013 e n. R.G. 16094/2013, quest’ultimo avente ad oggetto un’eccezione di giudicato esterno fondata su sentenza che è stata impugnata ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, nel primo ricorso. La riunione tra ricorsi inerenti distinti provvedimenti è, invero, ammessa in sede di legittimità allorchè, come nel caso di specie, sussista connessione tra le due pronunce, atteso che risulta determinante per la decisione sul ricorso per cassazione n. R.G. 14796/2013 l’esito di quello riguardante l’impugnazione tardiva della sentenza n. 253/2012 della Corte di Trento, che deve, pertanto, essere esaminata con precedenza.

2. L’unico motivo del ricorso n. R.G. 16094/2013 di CR.AU. denuncia la nullità del procedimento e della sentenza, per aver la Corte d’Appello di Trento ritenuto rituale la notificazione della citazione per revocazione della pronuncia n. 271/1999, sebbene eseguita collettivamente ed impersonalmente il 29 dicembre 2009 agli eredi di A.P., deceduta l'(OMISSIS), nell’ultimo domicilio di quest’ultima. Si ravvisa violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., art. 328 c.p.c., comma 2, art. 286 c.p.c. e art. 303 c.p.c., comma 2, giacchè la notifica è avvenuta in tale forma ben oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza impugnata.

I controricorrenti C.A. e V.V. oppongono l’inammissibilità del ricorso, in quanto unico erede di A.P. era C.A., come da testamento pubblicato il 23 febbraio 2010, sicchè CR.AU. sarebbe del tutto priva di interesse e di legittimazione a far valere la nullità della notificazione della citazione per revocazione del 29 dicembre 2009. Peraltro, la ricorrente avrebbe comunque proposto il ricorso il 21 giugno 2013, e quindi ben oltre il termine semestrale ex art. 325 c.p.c..

Conformemente al rilievo svolto dai controricorrenti, il ricorso n. R.G. 16094/2013 per cassazione risulta inammissibile.

L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa), a norma dell’art. 330 c.p.c., commi 2 e 3, può essere notificato, oltre che personalmente ai singoli eredi, anche agli eredi in forma collettiva ed impersonale, purchè entro l’anno dalla pubblicazione (comprensivo dell’eventuale periodo di sospensione feriale), nell’ultimo domicilio della parte defunta ovvero, nel caso di notifica della sentenza ad opera della parte deceduta dopo l’avvenuta notificazione, nei luoghi di cui dell’art. 330 c.p.c., comma 1 (Cass. Sez. U, 18/06/2010, n. 14699). La disciplina prevista dall’art. 330 c.p.c., comma 3, la cui ratio è da ravvisare nella presunzione non del passaggio in giudicato della sentenza, quanto della cessazione del rapporto tra parte e difensore costituito, è applicabile in tutti i casi di impugnazione, e quindi anche nelle ipotesi di revocazione cosiddetta straordinaria, perchè proponibile, appunto, dopo la formazione del giudicato (Cass. Sez. L, 29/09/2004, n. 19576). E’ tuttavia legittimato a far valere la nullità della sentenza pronunciata in un giudizio di impugnazione, la cui notificazione sia stata rivolta collettivamente ed impersonalmente agli eredi decorso l’anno dalla pubblicazione della decisione gravata, chi alleghi specificamente e fornisca la prova della propria qualità di erede e della conseguente illegittima mancata conoscenza del processo; non basta a tal fine dedurre la sola sussistenza della condizioni della mera delazione ereditaria, conseguente all’apertura della successione, atteso che la trasmissione della legittimazione “ad causam” presuppone l’accettazione dell’eredità, per effetto della quale il chiamato assume la veste effettiva di erede della parte (arg. da Cass. Sez. 1, 08/02/2006, n. 2807).

Ciò considerato, CR.AU. ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza di revocazione n. 253/2012 resa dalla Corte d’Appello di Trento senza allegare, e tanto meno documentare, la propria legittimazione processuale quale erede di A.P., laddove i controricorrenti, tramite produzione del testamento di quest’ultima, consentita dall’art. 372 c.p.c., hanno, per contro, rivendicato la qualità di erede universale in capo a C.A..

Il ricorso n. R.G. 16094/2013 è pertanto inammissibile. Ne discende che lo stesso, proposto ai sensi dell’art. 327 c.p.c., comma 2, si rivela altresì inidoneo a fare venire meno il giudicato in precedenza formatosi al momento in cui erano scaduti i termini per l’impugnazione.

3. Con l’unico motivo del ricorso n. R.G. 14796/2013, C.A. e V.V. lamentano violazione di legge per contrasto ex art 2909 c.c. tra la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Trento in data 29 maggio 2012, pubblicata in data 19 luglio 2012, divenuta definitiva l’8 marzo 2013, e quella n. 147/2012, depositata il 3 maggio 2012, qui oggetto di impugnazione. Nella sentenza del Tribunale di Trento, confermata dalla pronuncia della Corte d’appello di Trento, oggetto di ricorso, si dichiara il diritto di proprietà di CR.AU. sull’autorimessa facente parte della p.m. 2 della p.ed. (OMISSIS), accertata con sentenza n. 27599/2008 della Corte di Cassazione.

Secondo i ricorrenti la p.ed. (OMISSIS) corrisponde alla p.f. (OMISSIS) in PT 1228, oggetto della donazione simulata da C.A. e V.V. a C.I. e A.P., a sua volta oggetto della sentenza della Corte d’appello di Trento, passata in giudicato l’8 marzo 2013. I ricorrenti deducono ulteriormente che sulla particella fondiaria (OMISSIS) in Cavalese è stato realizzato l’edificio contraddistinto come p.ed. (OMISSIS), della proprietà del quale si controverte nell’odierna controversia quanto alla p.m. 2, ed è stata quindi eretta la nuova particella edificale con estinzione di quella fondiaria (estratto tavolare con GN 588/82). Questo punto sarebbe di estremo rilievo, giacchè con la compravendita del 25 settembre 2000 la p.ed. (OMISSIS) p.m. 2 è stata trasferita da C.I. e A.P. a CR.AU., nonostante l’atto di donazione con il quale i venditori erano divenuti formalmente intestatari del bene fosse simulato, come poi accertato dalla sentenza della Corte d’appello di Trento del 19 luglio 2012, divenuta definitiva l’8 marzo 2013. L’accertamento della proprietà della p.ed. (OMISSIS) p.m. 2 a favore di CR.AU., in virtù di contratto di compravendita del 25.09.2000, contenuto nella pronuncia emessa dal Tribunale di Trento e confermata dalla sentenza della Corte d’Appello di Trento qui impugnata, contrasta con la statuizione contenuta nella sentenza del 19 luglio 2012 (che ha accolto la domanda di revocazione della sentenza n. 271/1999 della stessa Corte d’Appello di Trento).

La controricorrente oppone che tale sentenza della Corte d’appello di Trento, pubblicata in data 19 luglio 2012 ed oggetto dell’eccezione di giudicato esterno, è stata erroneamente munita della formula di definitività, giacchè sottoposta a ricorso per cassazione notificato il 21 giugno 2013 ed iscritto al R.G. n. 16094/2013. A prescindere dalla questione dell’inesistenza della cosa giudicata, la controricorrente rileva come la sentenza della Corte d’appello di Trento del 19 luglio 2012, n. 253/2012, non le sia opponibile, essendo succeduta nel diritto controverso, concernente un bene immobile, nelle more del procedimento, ed essendo stata la trascrizione del suo acquisto preceduta dalla trascrizione di domanda giudiziale divenuta inefficace per mancata rinnovazione della medesima.

Come visto, il ricorso n. R.G. 16094/2013 si è tuttavia rivelato inammissibile sicchè sussiste il giudicato in ordine alla sentenza della Corte d’appello di Trento del 19 luglio 2012, n. 253/2012. Nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, del resto, al pari del giudicato interno, certamente rilevabile anche nell’ipotesi in cui lo stesso, come nel caso in esame, si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata; il riscontro del giudicato impone al giudice di legittimità una diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, finalizzati ad evitare la formazione di decisioni contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”.

La sentenza della Corte di Trento n. 147/2012 del 3 maggio 2012 poggia, allora, sul dato acquisito che la particella (OMISSIS) fosse di proprietà di CR.AU., per aver ciò già accertato la sentenza della Corte di Cassazione n. 27599 del 20 novembre 2008, la quale aveva rigettato la domanda del 27 aprile 1998 dei coniugi C. – V. nei confronti dei coniugi C. – A., con cui i primi avevano rivendicato la proprietà della stessa porzione n. 2 della particella (OMISSIS), intavolata a nome dei convenuti, e della costruzione su di essa insistente. In quella sentenza della Corte di Cassazione, la cui cognizione è consentita al Collegio (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 5, 15/04/2011, n. 8614), gli attori C. – V. avevano esposto che con il rogito del 4 giugno 1982 essi avevano in realtà acquistato la piena proprietà dell’intera particella in contesa, il cui usufrutto era stato fittiziamente intestato ai convenuti C. – A., e che egualmente simulate erano state le reciproche donazioni, sicchè avevano domandato la condanna dei C. – A. al rilascio della superficie e dell’appartamento da essi indebitamente detenuti. Il Tribunale di Trento con sentenza del 18 giugno 2002 rigettò tuttavia tali domande e il 27 gennaio 2004 la Corte di appello di Trento rigettò l’impugnazione principale e dichiarò assorbita quella incidentale.

La sentenza n. 253/2012 della stessa Corte d’Appello di Trento, però, con giudicato successivamente formatosi, e quindi in astratto prevalente secondo un criterio temporale, ha dichiarato la simulazione assoluta della donazione del 4 giugno 1982, con la quale C.A. e V.V. avevano trasferito a C.I. e A.P. la metà della nuda proprietà della particella fondiaria (OMISSIS) in Cavalese, ove poi è stata realizzata la costruzione identificata come p.ed. (OMISSIS), venduta con atto del 25 settembre 2000 da C.I. e A.P. a CR.AU..

Si tratta allora di decidere se il giudicato formatosi con la sentenza n. 253/2012 della Corte d’Appello di Trento faccia stato anche nei confronti di CR.AU., quale avente causa di C.I. e A.P..

Va osservato come CR.AU. si rese acquirente della p.ed. (OMISSIS) il 25 settembre 2000, e quindi prima che (dovendosi aver riguardo, per quanto dedotto dalle parti, al termine lungo ex art. 327 c.p.c., comma 1, vigente “ratione temporis”) passasse in giudicato la sentenza della Corte d’Appello di Trento n. 271/1999 del 20 luglio 1999, che aveva respinto la domanda di simulazione spiegata nel 1990 da C.A. e V.V.. La formazione del giudicato non è infatti impedita dall’esperibilità dei rimedi impugnatori straordinari (qual è, ad esempio, la revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 3, poi azionata, con esito favorevole mediante citazione del 29 dicembre 2009). Viceversa, si ha successione a titolo particolare nel diritto controverso (la quale può anche dipendere dal trasferimento di un diritto derivato da quello che è oggetto diretto ed immediato della vertenza), e perciò si producono gli effetti previsti dall’art. 111 c.p.c., in tutti i casi in cui, non essendo stata resa una pronuncia non più impugnabile, la controversia deve considerarsi ancora pendente, ed anche quando, quindi, il trasferimento si sia verificato dopo la sentenza di appello, ma tuttora in pendenza del termine per il ricorso in cassazione (così Cass. Sez. 2, 04/03/1993, n. 2666). Ne consegue che l’acquisto di CR.AU. era stato dunque operato durante ancora la pendenza della lite tra simulati alienanti e simulati acquirenti, e rimaneva perciò regolato dall’art. 111 c.p.c., comma 4, nel senso che quella aveva comperato un bene ancora litigioso. Il richiamo alla trascrizione, contenuto nell’art. 111 c.p.c., comma 4, comprende, peraltro, anche l’istituto dell’intavolazione nei libri fondiari nei territori nei quali questa sostituisce la trascrizione (quale quello inerente le vicende di causa), di tal che il terzo acquirente, che abbia intavolato il proprio diritto dopo l’annotazione di una delle domande di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c., quale successore particolare “lite pendente”, è egualmente soggetto all’efficacia diretta della sentenza emessa nel relativo giudizio (Cass. Sez. 2, 13/11/1979, n. 5890). Proprio perchè il rigetto della domanda di simulazione avvenuto con la pronuncia del 20 luglio 1999 non era ancora passato in giudicato al momento dell’acquisto di CR.AU., non è qui questione di mera efficacia del giudicato dell’accertamento contenuto in quella sentenza anche nei confronti dei successivi aventi causa delle parti (ex art. 2909 c.c.), venendo piuttosto in rilievo gli oneri della trascrizione della sentenza ex art. 2643 c.c., n. 14 e di trascrizione della domanda, ai sensi dell’art. 2653 c.c., previsti al diverso fine dell’opponibilità, appunto, della sentenza nei confronti di chi sia succeduto a titolo particolare nel diritto controverso nel corso del processo. La singolarità della vicenda in esame è che, nella fattispecie da decidere, la domanda di simulazione (che si deduce dalla controricorrente fosse stata annotata il 18 luglio 1990) era stata dapprima rigettata nel merito, con l’astratta incidenza che a tale evenienza ricollega l’art. 2668 c.c., comma 2, in forza del giudicato formale conseguito dalla sentenza n. 271/1999 del 20 luglio 1999, la quale aveva così convalidato l’apparente titolarità del diritto dei danti causa C.I. e A.P.. L’autorità di tale pronuncia di rigetto giovava, cioè, all’avente causa dei convenuti. Tuttavia, la sentenza della Corte d’Appello di Trento n. 253/2012 del 19 luglio 2012, ha poi revocato la sentenza n. 271/1999 del 20 luglio 1999, dichiarando simulata la donazione del 4 giugno 1982, e così posto nel nulla il primo giudicato, sostituendo ed esso un altro. L’opponibilità di questo secondo giudicato agli aventi causa (ovvero, nella specie, ad CR.AU.) comporterebbe, come deducono C.A. e V.V., il travolgimento del titolo di coloro che sono subentrati alle parti nella titolarità delle correlative situazioni giuridiche, attive e passive, dedotte in giudizio. Stando però alle già richiamate regole, l’opponibilità del giudicato revocatorio ad CR.AU. non può che essere valutata innanzitutto negando la permanenza degli effetti dell’annotazione dell’iniziale domanda di simulazione del 1990, e ciò non in base all’art. 2668 bis c.c. (inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69), quanto proprio all’art. 2668 c.c., visto che quegli effetti non possono che ricollegarsi alla litispendenza, ovvero esaurirsi col passaggio in giudicato della sentenza che abbia deciso sulla domanda trascritta, la quale, com’è noto, ai sensi dell’art. 2652 c.c., configura una mera prenotazione, nei rapporti con i terzi, degli effetti dell’accoglimento della domanda stessa e, pertanto, resta del tutto inoperante se il relativo giudizio non si concluda con una sentenza favorevole, indipendentemente dall’omessa pronuncia dell’ordine di cancellazione. Nè la trascrizione dell’iniziale domanda giudiziale, rigettata nel merito con sentenza passata in giudicato, può essere ex se fatta valere nel successivo giudizio di revocazione straordinaria, restando pure irrilevante l’omessa pronuncia dell’ordine di cancellazione di quella trascrizione, ex art. 2668 c.c..

L’art. 2652 c.c., comma 1, n. 9, stabilisce, piuttosto, che si devono trascrivere, quando si riferiscano ai diritti di cui all’art. 2643 c.c., le domande di revocazione (e quelle di opposizione di terzo) contro le sentenze soggette a trascrizione per le cause previste dai dell’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6 (e dell’art. 404 c.p.c., comma 2). Se, peraltro, la domanda sia stata trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione della sentenza impugnata, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda (si veda Cass. Sez. 2, 28/12/2011, n. 29385). La finalità per cui il Codice Civile dispone la trascrizione autonoma delle ipotesi di revocazione straordinaria è evidentemente quella di attenuare la retroattività reale della sentenza che accolga tale impugnazione, a tutela appunto della posizione di colui che abbia acquistato il proprio diritto successivamente al conseguimento di un giudicato favorevole al proprio dante causa (ovvero, come avvenuto nel caso in esame, ancora in pendenza del processo ordinario che a quel giudicato aveva condotto). A proposito dell’art. 2652 c.c., comma 1, n. 9, la Relazione preliminare al Codice Civile chiariva come tale norma fosse stata introdotta perchè “non pare dubbio che la posizione di coloro che in buona fede hanno acquistato diritti da chi aveva a suo favore un titolo consistente in una sentenza trascritta e passata in giudicato, debba essere considerata con speciale riguardo di fronte al rimedio straordinario della revocazione e dell’opposizione di terzo, quando per la proposizione di tali mezzi di impugnativa non vi è un termine che decorra da un dies a quo prestabilito”.

In definitiva, vale il principio per cui allorchè taluno abbia acquistato la proprietà di un immobile durante la pendenza di un giudizio di accertamento della simulazione intervenuta tra il proprio dante causa e un terzo, la sentenza, passata in giudicato, che abbia rigettato la domanda di simulazione pronunciata contro questi ultimi, spiega la sua efficacia anche contro il successore a titolo particolare, che pur non abbia partecipato al processo, e fa inoltre venir meno la permanenza degli effetti dell’annotazione dell’iniziale domanda di simulazione. La sentenza che abbia poi accolto l’impugnazione per revocazione contro la prima sentenza per una delle cause previste dell’art. 395 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 6, è, peraltro, opponibile all’avente causa, che neppure è parte necessaria del giudizio di revocazione, nei limiti e ove ricorrano i presupposti dettati dall’art. 2652 c.c., comma 1, n. 9.

Ne consegue che CR.AU. poteva subir pregiudizio dal giudicato contenuto nella sentenza di revocazione n. 253/2012 della Corte di Trento solo se la domanda di revocazione di C.A. e V.V. fosse risultata annotata entro il quinquennio dall’annotazione della sentenza n. 271/1999 del 20 luglio 1999, ovvero comunque prima dell’intavolazione dell’acquisto di CR.AU. del 25 settembre 2000, o, ancora, se la domanda di revocazione straordinaria fosse stata annotata dopo i cinque anni dalla annotazione della sentenza impugnata e dopo l’intavolazione dell’acquisto dell’avente causa, che non fosse però in buona fede.

Il ricorso va perciò rigettato in quanto i ricorrenti prescindono totalmente da tali considerazioni di sistema, e si limitano ad invocare automaticamente nei confronti di CR.AU. l’effetto del giudicato contenuto nella sentenza della Corte d’Appello di Trento n. 253/2012 del 19 luglio 2012, laddove l’eccezione di giudicato esterno formulata dal ricorrente in sede di legittimità, vieppiù ove rivolta, come nella specie, a rendere opponibile la relativa sentenza a chi sia divenuto successore a titolo particolare delle parti convenute destinatarie di quel giudicato, postula pur sempre che essa non si limiti alla mera allegazione della decisione da cui intenda trarre giovamento, ma deduca in modo specifico, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, gli atti e i documenti che diano fondamento all’opponibilità dell’invocato effetto preclusivo derivante dal giudicato formatosi nell’altro giudizio, in maniera da consentire al giudice di legittimità le indagini e gli accertamenti necessari, anche di fatto.

4. In definitiva, il ricorso n. R.G. 16094/2013 è inammissibile, mentre il ricorso n. R.G. 14796/2013 viene rigettato. La reciproca soccombenza con riferimento ai due ricorsi riuniti dà ragione per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente CR.AU. e dei ricorrenti C.A. e V.V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni integralmente rigettate.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso n. R.G. 16094/2013, rigetta il ricorso n. R.G. 14796/2013 e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente CR.AU. e dei ricorrenti C.A. e V.V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2017

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