Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3117 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3117 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA

sul ricorso 24265-2009 proposto da:
LEONE DIEGO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
POMPEO UGONIO 3, presso lo studio dell’avvocato
VALENZI LUIGI ISABELLA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato FERRARO GIUSEPPE giusta
delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

Data pubblicazione: 12/02/2014

- controricorrente

avverso la sentenza n. 55/2008 della COMM.TRIB.REG.
di PALERMO, depositata il 03/10/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/10/2013 dal Consigliere Dott. CAMILLA

udito per il ricorrente l’Avvocato FERRARO che si
riporta e chiede l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAMASSA che
si riporta al controricorso e chiede il rigetto;
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rigetto del ricorso.

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DI IASI;

R.G.N. 24265/09

SENTENZA
Ragioni della decisione
1. Diego Leone propone, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso),
ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 55/01/08 con la quale la C.T.R. Sicilia sezione n. 1, in

1997/2000, rigettava l’eccezione di inammissibilità dell’appello perché non sottoscritto dal
dirigente dell’Ufficio bensì da altro funzionario, rilevando che l’appello risultava sottoscritto “per”
il dirigente, formula che lasciava presumere “la legittimazione del firmatario alla sostituzione del
titolare” e, nel merito, confermava parzialmente gli avvisi opposti, operando una riduzione
dell’ammontare dei conferimenti con conseguente parziale annullamento, in parte qua, dei
corrispondenti avvisi.

2. Il ricorso consta di cinque motivi.

Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli arti. 10 e 11 d.lgs. 546/1992,
62, 63, 67 e 68 d.lgs. 300/1999 nonché 115 e 116 c.p.c., il ricorrente evidenzia: che con l’istituzione
dell’Agenzia delle Entrate la rappresentanza legale spetta ai dirigenti degli uffici periferici, con
conseguente inammissibilità, nella specie, dell’appello firmato non dal dirigente, bensì dal
“Direttore Tributario C3 Capo Area”; che, in ogni caso, il Dirigente dell’Agenzia delle Entrate
dell’Ufficio di Licata (come da disposizioni del medesimo prodotte in appello e riportate nel
ricorso per cassazione), aveva disposto che il Capo Area è autorizzato a sottoscrivere gli appelli di
importo fino ad € 100.000, intendendosi detto importo comprensivo di imposta-sanzioni-interessi;
che nella specie l’appello superava di gran lunga il suddetto importo; che pertanto vi era stata
usurpazione di poteri da parte del Capo Area firmatario dell’appello suddetto.

controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento per Irpef e Ilor relativi agli anni

Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, il ricorrente si duole del fatto che i giudici
della C.T.R., nel decidere in ordine alla eccezione di inammissibilità dell’appello, non abbiano in
alcun modo preso in considerazione la suddetta disposizione del Dirigente dell’Agenzia delle
Entrate Ufficio di Licata datata 01.02.2005, che espressamente limitava il potere di firma degli
appelli da parte dei capo area a gravami di importo fino ad € 100.000.

Occorre osservare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel processo
tributario gli artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 riconoscono la qualità di
parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio del Ministero delle
finanze (oggi ufficio locale dell’Agenzia delle entrate) nei cui confronti è proposto il ricorso,
organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da
intendersi con ciò stesso delegata in via generale a sostituire il direttore nelle specifiche
competenze, senza necessità di speciale procura, con la conseguenza che, nel caso in cui non sia
contestata la provenienza dell’atto d’appello dall’ufficio competente, questo deve ritenersi
ammissibile (ancorché, eventualmente, recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che
sottoscrive in luogo del direttore titolare) finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del
sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza di
primo grado, dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dall’ufficio e ne esprima la volontà
(v. tra le altre cass. n. 874 del 2009 e n. 13908 del 2008).

Più in particolare, la citata giurisprudenza ha affermato che la sottoscrizione dell’atto di appello
deve ritenersi validamente apposta quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente,
poiché la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale
mediante la preposizione del funzionario ad un settore dell’Ufficio con competenze specifiche (v.
cass. n. 874 del 2009, n. 13908 del 2008 e n. 12768 del 2006).

I suddetti due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati.

Se dunque la nonna attribuisce all’ufficio medesimo la rappresentanza processuale
dell’amministrazione, deve validamente presumersi che l’atto d’appello rappresenti ed esprima la
volontà dell’ufficio quando, come nella specie, esso sia firmato da un funzionario dell’ufficio
provvisto di delega generale non solo indirettamente ricavabile dalla preposizione allo specifico
settore bensì anche implicitamente riconosciuta (in quanto presupposta) pre,s14/3ita dallo stesso
dirigente dell’ufficio locale dell’agenzia delle entrate laddove, nell’ordine di servizio prodotto in

l’autorizzazione alla firma degli atti d’appello da parte dei capi area.

Peraltro, l’espressa limitazione suddetta, in quanto contenuta in un ordine di servizio in relazione al
quale non risulta provata (ma neppure allegata) adeguata pubblicità esterna né, a maggior ragione,
la formazione di un corrispondente “affidamento” di terzi, non può che avere rilevanza soltanto
interna (in relazione all’organizzazione dell’ufficio e ad eventuali risvolti disciplinari), posto che lo
strumento utilizzato per esprimere la volontà del dirigente in proposito non risulta idoneo ad
incidere sulla possibilità del funzionario capo area di impegnare all’esterno l’ufficio.

Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 38 comma 4 d.p.r. n. 600 del
1973 nonché degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., si deduce che l’accertamento sintetico ex art. 38
comma 4 d.p.r. n. 600 del 1973 è fondato sulla presupposto che fino al 14.12.2004 (data fino alla
quale il contribuente risultava iscritto nell’anagrafe della popolazione residente nel Comune di
Palma di Montichiari) il ricorrente medesimo fosse residente in Italia, con conseguente
assoggettamento a tassazione in questa nazione dei redditi ovunque prodotti, laddove detta
presunzione relativa deve ritenersi superata dalla prova che il contribuente medesimo è residente
all’estero in forza di convenzione italo-germanica del 1989 ratificata in Italia con 1. n. 459 del 1992
e nel suddetto Stato estero deve veder tassati i propri redditi.

La censura è inammissibile per difetto di interesse, in quanto la sentenza impugnata non ha in alcun
modo fondato la sua decisione sulla circostanza che il Leone fosse residente in Italia, ma ha anzi

giudizio dal ricorrente, ha ritenuto di limitare ad un determinato valore della controversia

precisato che l’art. 2 comma 2 d.p.r. 917/1986 (in forza del quale ai fini delle imposte dirette si
considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle
anagrafi delle persone residenti) deve essere letto in correlazione con l’art. 75 d.p.r. 600/73 (a
norma del quale nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti
salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Germania) ed alla luce della convenzione tra Italia e

I giudici d’appello, dunque, hanno rigettato il motivo di impugnazione dell’ufficio fondato sulla
formale residenza anagrafica del Leone in Italia fino al 2004 ed hanno accolto invece il secondo
motivo d’impugnazione, concernente l’esclusione della tassabilità in Italia del reddito di che trattasi
in assenza di prova, da parte del contribuente, del relativo presupposto.

Non v’è dunque alcun interesse né motivo per censurare in questa sede affermazioni che non
trovano riscontro nella decisione impugnata.

Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 38 comma 6 d.p.r. n. 600 del
1973 nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente chiede a questa Corte “se la idonea
documentazione di cui al comma 6 dell’art. 38 citato nel caso di accertamento sintetico a carico di
soggetti di cui si è accertata la residenza in uno stato estero col quale vige convenzione deve ritenersi raggiunta con la prova che gli incrementi patrimoniali sono stati effettuati con reddito
estero (nel caso di specie marchi tedeschi DM cambiati in lire italiane e versati su c/c), anche non
dichiarato nello Stato straniero ove, se del caso, andrà accertato e tassato(
necessario provare l’entità del reddito estero (

) e non è invece

) che potrebbe essere stato prodotto in evasione

di imposta in quello Stato estero”.

La censura è inammissibile innanzitutto perché sia il corrispondente motivo che il relativo quesito
(come sopra riportato) si fondano su di un presupposto logico e fattuale insussistente, e cioè sul
fatto che nella specie sia stata fornita “la prova che gli incrementi patrimoniali sono stati effettuati
con reddito estero”.

Germania del 1989 ratificata con 1. n. 459 del 1992.

Invero, essendo stato l’accertamento sintetico di che trattasi determinato dal fatto che il Leone
aveva effettuato conferimenti alla società Leonplast eccedenti la consistenza reddituale risultante
dalle dichiarazioni contestate, dalla sentenza impugnata (non censurata sul punto) risulta che il
contribuente si è limitato a provare (non che i suddetti incrementi patrimoniali erano stati effettuati
con reddito prodotto all’estero, ma solo) che tali conferimenti erano stati effettuati sulle
disponibilità di un conto corrente presso la filiale di Verona del Banco di Roma ed a produrre (come

suddetta banca in cui si attestava che tali disponibilità si erano formate mediante operazioni di
cambio di banconote tedesche (DM) contro lire italiane”.

Tanto premesso, i giudici d’appello hanno ritenuto che i suddetti elementi “specie nei termini del
tutto generici di cui al fax in parola” di per sé non erano atti a provare che le operazioni di cambio
suddette avevano costituito impiego di reddito prodotto in Germania e questa affermazione non
risulta di per sé censurata in questa sede, essendo peraltro in proposito da evidenziare che, secondo
la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la ricostruzione degli elementi probatori e
la relativa valutazione rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di
attingere il proprio convincimento da quelle prove e risultanze che ritenga più attendibili ed idonee
alla formazione dello stesso e che le suddette valutazioni sono insindacabili in sede di legittimità se
sorrette da motivazione congrua ed immune da vizi logici o giuridici.

Col quinto motivo, deducendo vizio di motivazione, il ricorrente deduce che la motivazione della
sentenza impugnata sarebbe contraddittoria per il fatto che i giudici d’appello hanno accertato che il
ricorrente era residente in Germania, ma hanno poi ritenuto assoggettabile a tassazione in Italia il
reddito prodotto dal Leone in Germania in marchi tedeschi e quindi “cambiato” presso la filiale di
Verona del Banco di Roma.

La censura è inammissibile prima che infondata perché anch’essa basata sul fallace presupposto che
risulti provato in giudizio che il reddito sottoposto a tassazione era stato prodotto in Germania,

riferito dalla suddetta sentenza, non contestata neppure su questo punto) “fotocopia di un fax della

mentre, come sopra rilevato, i giudici d’appello hanno espressamente escluso che sia stata fornita
tale prova, in particolare escludendo che la prova della effettuazione di un cambio di marchi
tedeschi in lire italiane equivalga alla prova che la relativa disponibilità economica sia riferibile a
reddito prodotto in Germania.

Pertanto, considerato che, secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il

addotte a sostegno della decisione siano inconciliabili tra loro, così da elidersi a vicenda e rendere
impossibile l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione
medesima, deve rilevarsi che nella specie tale situazione non è riscontrabile, non sussistendo una
equa7ione tra residenza all’estero e produzione all’estero di qualunque reddito accertato né tra
cambio di moneta estera in lire italiane e produzione all’estero del reddito corrispondente alla
relativa disponibilità economica.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte

rigetta il ricorso e condanna il soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in C 18.000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge.

Roma 30.10.2013

vizio di contraddittorieta di motivazione ricorre soltanto quando i motivi e le argomentazioni

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