Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31164 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 03/12/2018), n.31164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annnalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26819-2013 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e 24/10/2018 e difende iusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

D.V.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROSARIO

LUCA LIOI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MICHELE MIRENGHI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1760/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/07/2013; R.G.N. 599/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di prime cure, ha riconosciuto il diritto di D.V.D., dipendente della Regione Piemonte distaccato presso la Conferenza Stato – Regioni istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri a percepire l’indennità di specificità organizzativa di cui all’art. 18 del C.C.N. Integrativo del 15 settembre del 2004 per i dipendenti della stessa Presidenza del Consiglio;

secondo la Corte territoriale l’espressione “personale di prestito” usata dal contratto integrativo, e riferita ai soli dipendenti in comando e fuori ruolo, è utilizzata in senso atecnico, quale esemplificazione di una generale categoria di cui fanno parte anche i dipendenti distaccati;

ciò legittima una lettura inclusiva del riferimento al personale in prestito, ispirata all’esigenza di garantire la parità di trattamento tra tutti coloro i quali, a vario titolo, prestano la loro attività presso la Conferenza Stato – Regioni;

la domanda relativa al trattamento accessorio specifico, erogato in virtù della particolare complessità in cui operano i dipendenti distaccati presso la Conferenza Stato – Regioni, ne giustifica pienamente la rivendicazione da parte del dipendente distaccato nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e non già dell’amministrazione di provenienza;

La cassazione della sentenza è domandata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con due motivi, resiste con controricorso D.V.D.;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, commi 1 e 2”; fondando sulla nozione di distacco sancita dalla norma in epigrafe, parte ricorrente sottolinea come il personale distaccato operi nell’interesse del distaccante, a carico del quale permane, perciò, l’obbligo di provvedere al trattamento giuridico ed economico del distaccato; sulla base di detto principio, la Corte territoriale avrebbe errato nell’attribuire la natura sostanziale di un comando all’adibizione dell’appellato presso la Conferenza Stato- Regioni;

il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 Contratto Collettivo Integrativo del comparto Presidenza del Consiglio nonchè all’Accordo 29.7.2010, punto 1”; il contratto integrativo riferirebbe al solo personale comandato e fuori ruolo il diritto alla corresponsione dell’emolumento rivendicato da D.V.D., così che, un’estensione al personale in distacco funzionale sarebbe fuori dalla norma contrattuale; inoltre, per gli aventi diritto, le prestazioni che ne giustificano la corresponsione – in quanto caratterizzate da maggiore disagio, da protrazione dell’orario di servizio, da maggiore flessibilità organizzativa in relazione alle esigenze specifiche dell’attività di governo – rientrerebbero nel sinallagma funzionale del contratto, mentre lo stesso non potrebbe affermarsi riguardo al personale in distacco funzionale, il quale presta la propria attività nell’interesse della Regione e non del Governo; ciò sarebbe confermato dalla circostanza che l’indennità di specificità organizzativa non è cumulabile con lo straordinario; solo con l’Accordo del 29 luglio del 2010 (e solo a partire da tale data) la sua corresponsione è stata estesa al personale distaccato;

il ricorso presenta un assorbente profilo di inammissibilità;

parte ricorrente fonda le sue doglianze sull’interpretazione dell’art. 18 del contratto collettivo integrativo per i dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, senza però nè allegare nè trascrivere l’accordo collettivo integrativo e il successivo Accordo del 29 luglio 2010 contenente il riconoscimento dell’estensione dell’emolumento al personale in distacco funzionale;

al fine di sollecitare la funzione nomofilattica della Corte di legittimità, la doglianza secondo cui la norma contrattuale, fino all’Accordo 29 luglio 2010, non comprendeva tra gli aventi diritto dell’indennità di specificità organizzativa i dipendenti in distacco funzionale, avrebbe dovuto denunciare violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., richiedendosi a tale scopo il deposito del testo da parte della ricorrente del contratto collettivo integrativo sul quale il ricorso si fonda;

al riguardo la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha stabilito che è inammissibile il ricorso che non contenga “…tutti gli elementi necessari a porre il Giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa…”, ed in particolare, che”…nell’esposizione del fatto processuale il ricorrente è tenuto ad agevolare la comprensione delle motivazioni della sentenza impugnata e a dimostrare, in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione censurata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità…” (così ex multis Cass. n.18960 del 2017);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, nei confronti del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza Camerale, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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