Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3116 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 07/02/2017, (ud. 03/02/2016, dep.07/02/2017),  n. 3116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14219-2013 proposto da:

T.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SANTUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FLAVIO TIBALDO giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGA INTERNATIONAL S.A. SEDE SECONDARIA RAPPRESENTANZA GENERALE PER

L’ITALIA già MONDIAL ASSISTANCE EUROPE N.V., in persona dei

procuratori speciali Dott. G.S. e Dott.ssa

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCIA BUSETTO giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 233/2013 del TRIBUNALE di TREVISO, depositata

il 31/01/2013, R.G.N. 7136/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Adito con atto di appello proposto da Mondial Assistance Europe N.V. avverso le ordinanze emesse dal Giudice di Pace – nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo proposto dalla predetta società nei confronti del creditore T.V. – con le quali era stata dichiarata la interruzione (ordinanza resa alla udienza 17.5.2011) e quindi la estinzione del processo per “mancata riassunzione” della causa nel termine assegnato su istanza dell’opposto T.V. – per provvedere alla chiamata in causa di terzi (ordinanza in data 6.10.2011 n. 130), il Tribunale di Treviso, in persona del Giudice unico, con sentenza in data 31.1.2013, dichiarava inammissibile l’appello proposto avverso la ordinanza che aveva dichiarato la “interruzione del processo”, in quanto provvedimento del giudice istruttore privo del carattere della decisorietà, mentre annullava la ordinanza che aveva pronunciato la “estinzione del giudizio” (ritenuto il carattere decisorio della stessa), rilevando che difettavano del tutto i presupposti di cui all’art. 307 c.p.c., commi 3 e 4, attesa “la inesistenza di qualsivoglia rituale instaurazione del contraddittorio nei confronti dei terzi chiamati”, e disponeva in conseguenza la rimessione della causa al Giudice di primo grado per l’ulteriore corso, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 2, condannando la parte appellata alla rifusione delle spese del grado.

La sentenza d’appello, non notificata, è stata tempestivamente impugnata per cassazione da T.V. che ha dedotto sette motivi.

Resiste con controricorso AGA International s.a., “già” Mondial Assistance Europe N.V..

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con il quale si deduce “omessa motivazione” sulla eccezione di difetto di legittimazione ad agire di Mondial Assistance Europe N.V. (p. IVA (OMISSIS)), sia in qualità di opponente che in qualità di appellante, formulata con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado e “riproposta” nella comparsa di costituzione e risposta depositata in grado di appello (cfr. ricorso, pag. 6), è fondato e determina la cassazione della sentenza impugnata, rimanendo assorbito l’esame di tutti gli altri motivi di ricorso.

Deve preliminarmente ritenersi manifestamente infondata la eccezione di inammissibilità della censura, formulata dalla parte resistente sull’errato presupposto della riconducibilità all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – del vizio di legittimità denunciato.

Osserva il Collegio che la anodina espressione lessicale “omessa motivazione”, contenuta nella rubrica del motivo di ricorso, deve qualificarsi, alla stregua degli in equivoci argomenti in diritto svolti a sostegno della censura, come denuncia di errore processuale – integrante pertanto il vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) -, venendo a contestare il ricorrente la omessa rilevazione da parte del Giudice di appello della originaria inammissibilità della opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto proposta da soggetto privo della “legitimatio ad causam”, avendo la Corte territoriale pronunciato nel merito, sui motivi di gravame dedotti dall’appellante Mondial Assistance EUROPE N.V., sebbene detto soggetto risultasse diverso da quello nei confronti del quale era stato emesso e notificato il decreto ingiuntivo (Mondial Assistance Italia s.p.a.).

La omessa indicazione, nella rubrica, della norma processuale identificativa del vizio di legittimità denunciato (omessa pronuncia), non determina “ex se” la inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, bene potendo la Corte procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato ove ciò risulti agevolmente riscontrabile, come nella specie, dalla esposizione delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte a sostegno della censura: la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha, infatti, contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (cfr. Corte cass. 2 sez. 7.4.2000 n. 4349; id. 2 sez. 18.3.2002 n. 3941; id. 1 sez. 5.4.2006 n. 7882; id. 1 sez. 13.9.2006 n. 19661; id. 1 sez. 30.3.2007 n. 7981; id. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4036 del 20/02/2014).

Tanto premesso, osserva il Collegio che la questione della “legitimatio ad causam”, attenendo alle condizioni di ammissibilità dell’azione ed alla corretta instaurazione del contraddittorio, doveva essere esaminata dal Giudice di appello con precedenza rispetto a tutte le altre questioni pregiudiziali ed all’esame dei motivi di gravame, dovendo ribadirsi il principio di diritto enunciato da questa Corte secondo cui il motivo attinente alla legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo deve essere esaminato con priorità rispetto a quello attinente alla declaratoria di nullità del ricorso monitorio ed a quello concernente la integrazione del contraddittorio, atteso che, da un lato, la carenza di “legitimatio ad opponendum”, se accertata, determina la inammissibilità dell’opposizione e che, dall’altro, la necessità dell’integrazione presuppone che il processo sia validamente instaurato dal soggetto legittimato (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 17161 del 27/07/2006; vedi Sez. U, Sentenza n. 14336 del 08/07/2005).

Nella specie risulta incontestato che il decreto ingiuntivo è stato notificato il 25.10.2010 a Mondial Assistance ITALIA s.p.a. (partita IVA (OMISSIS)), mentre la opposizione al decreto ingiuntivo è stata proposta da Mondial Assistance EUROPE N.V. (partita IVA (OMISSIS)), e che soltanto in sede di legittimità, la società resistente AGA International S.A., qualificatasi nella intestazione del controricorso come “Sede secondaria Rappresentanza Generale per l’Italia, già Mondial Assistance EUROPE N.V. a sua volta subentrata a Mondial Assistance ITALIA s.p.a.”, viene per la prima volta ad allegare che Mondial Assistance ITALIA s.p.a. era stata fusa per incorporazione in Mondial Assistance EUROPE N.V., per atto a rogito notaio M.R. in data (OMISSIS), e che, AGA International S.A. era subentrata a quest’ultima per successiva fusione per incorporazione transfrontaliera ex art. 11 direttiva 2005/56/CE, per atto a rogito notaio Q.G. (OMISSIS) (cfr. controric., pag. 5 e 6), provvedendo ad allegare in copia tali atti al controricorso.

Tale produzione documentale bene avrebbe dovuto essere tempestivamente sottoposta all’esame del Giudice del merito, al fine di contrastare la eccezione pregiudiziale di difetto di legittimazione proposta fin dal primo grado dal creditore opposto.

Premesso, infatti, che le condizioni di ammissibilità dell’azione debbono essere verificate in relazione all’affermazione che la parte fa in ordine alla titolarità del rapporto controverso, ed atteso che nel caso di specie, risultava pacifica la non coincidenza tra soggetto destinatario della notifica del decreto ingiuntivo e soggetto opponente, emergendo “ab origine” dall’atto di opposizione – in difetto di puntuali allegazioni e deduzioni probatorie a sostegno della successione nel diritto controverso – una situazione difforme da quella corrispondente al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale le parti possono essere soltanto colui il quale ha proposto la domanda di ingiunzione e colui contro il quale l’ingiunzione viene emessa (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 16069 de/ 18/08/2004; id. Sez. U, Sentenza n. 14336 del 08/07/2005), ne segue che gravava su Mondial Assistance EUROPE N.V. – opponente a decreto ingiuntivo emesso nei confronti e notificato all’apparente diverso soggetto Mondial Assistance Italia s.p.a. – l’onere di allegare e fornire la prova della propria “legitimatio ad causam” per aver acquistato dalla società ingiunta la posizione di parte debitrice nel rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, non potendo ricevere ingresso in sede di legittimità la nuova documentazione (atti di fusione mediante incorporazione) prodotta dalla resistente, stante la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c., atteso che tali documenti non “riguardano la nullità della sentenza impugnata”, nè “l’ammissibilità del ricorso o del controricorso”. Nella specie, infatti, la “tardiva” produzione documentale in allegato al ricorso per cassazione è da ritenere, comunque, inammissibile atteso che la stessa non è funzionale alla verifica da parte del Giudice di legittimità dell’ammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., ma è diretta, piuttosto, a contrastare la eccezione formulata nel giudizio di merito.

E’ opportuno chiarire che nella specie non viene in questione la applicazione dell’art. 2504 bis c.c., come riformato dalla disciplina societaria introdotta dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, secondo cui la fusione per incorporazione non determina alcun fenomeno di tipo successorio tra soggetti giuridici distinti, tale per cui uno dei soggetti si estingue ed in sostituzione di esso viene ad esistenza un soggetto nuovo, ma – ferma la identità dell’originario soggetto societario – determina una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico (analogamente a quanto si verifica nel caso di trasformazione del tipo societario), con conseguente “prosecuzione” della società che risulta dalla fusione ovvero della società incorporante in tutti i rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione (art. 2054 bis c.c., comma 1: come noto ai sensi del nuovo art. 2505-bis cod. civ., conseguente alla riforma del diritto societario – D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 -, la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo; con la conseguenza che deve escludersi che la fusione per incorporazione determini l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ.; Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 2637 del 08/02/2006; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24498 del 18/11/2014. Mentre con riferimento al regime normativo previgente è stato osservato che, avendo l’art. 2504 bis cod. civ. – introdotto dalla riforma del diritto societario D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 – natura innovativa e non interpretativa, il principio, da esso desumibile, per cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, non vale per le fusioni – per unione od incorporazione – anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina – 1 gennaio 2004 -, le quali tuttavia pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione “mortis causa” perchè la modificazione dell’organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante – o risultante dalla fusione -, che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole, con la conseguenza che non si applica la disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 299 e seguenti del codice di procedura civile: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 19698 del 17/09/2010; id. Sez. 1, Sentenza n. 1376 del 26/01/2016).

Nella specie, infatti, la soluzione della questione concernente l’eccepito difetto di “legittimazione ad causam” verte, piuttosto, sulla mancanza di prova – ritualmente dedotta nei gradi di merito – della allegata (solo in sede di legittimità) legittimazione a proporre opposizione al decreto ingiuntivo, in virtù della operazione di fusione per incorporazione, non avendo la società provveduto ad ottemperare nei precedenti gradi di merito alla produzione degli atti pubblici attestanti le diverse fusioni mediante incorporazione.

Va dunque ribadito il principio di diritto enunciato da questa Corte – con riferimento al giudizio di legittimità, ma estendibile anche al giudizio di merito – secondo cui “In tema di impugnazione per cassazione, al fine dell’ammissibilità del ricorso proposto da soggetto che non è stato parte del giudizio di merito, questi deve allegare la propria “legitimatio ad causam” e fornirne la dimostrazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa. Così, ove ricorrente sia una società che assuma di derivare, per fusione o trasformazione, da altra società che aveva partecipato al giudizio, questa deve dare la dimostrazione della sua derivazione dalla società preesistente” (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1468 del 04/02/2002; id Sez. L, Sentenza n. 17681 del 14/08/2007), non rilevando in contrario che la sentenza 1468/2002 abbia pronunciato in fattispecie regolata nel vigore della previgente disciplina societaria, attesa la valenza generale del principio relativo all'”onus probandi” in tema di legittimazione attiva, come è dato evincere dalla motivazione della decisione n. 17681/2007, in cui la questione esaminata concerneva proprio la verifica della identità ovvero della novità del soggetto che aveva proposto la impugnazione (cfr. “per poter accertare se effettivamente si fosse verificata una semplice trasformazione formale della società originariamente costituita in giudizio o se, invece. si fosse trattato di due società oggettivamente diverse, occorreva che la parte interessata avesse dimostrato e, anzitutto, ritualmente comprovato l’avvenuta trasformazione, fusione o incorporazione societaria, in modo da rendere certa la sopravvivenza dell’originario soggetto sociale, pur mutato nella forma, negli organi rappresentativi ed, eventualmente, anche nella denominazione”).

Nè a tale principio viene a derogare l’applicazione dell’art. 182 c.p.c. – nel testo precedente ed in quello riformato dalla L. n. 69 del 2009 – come interpretato dalla giurisprudenza della SC nella sentenza Sez. U, Sentenza n. 9217 del 19/04/2010 secondo cui l’art. 182 c.p.c., comma 2, (nel testo applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009 laddove prescrive che il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio) dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali, ed ancora nella sentenza Sez. U, Sentenza n. 4248 del 04/03/2016 che conferma il principio, per cui il Giudice è tenuto ad assegnare un termine ove rilevi il difetto di rappresentanza, specificando come il difetto di rappresentanza processuale della parte può essere sanato in fase di impugnazione, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, e, qualora la contestazione avvenga in sede di legittimità, la prova della sussistenza del potere rappresentativo può essere data ai sensi dell’art. 372 c.p.c., con l’ulteriore precisazione che, qualora il rilievo del vizio in sede di legittimità non sia officioso, ma provenga dalla controparte, l’onere di sanatoria del rappresentato sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.

Premesso infatti che la nonna processuale ed i precedenti richiamati si riferiscono alla contestazione di parte od al rilievo ex officio della diversa ipotesi di “difetto di rappresentanza”, formulati all’interno di uno dei gradi del processo o in sede di legittimità, è appena il caso di osservare che, una volta sollevata la questione nel corso dei gradi di merito ed assegnato dal Giudice un termine per regolarizzare il difetto di legittimazione ad processum ovvero per comprovare l’allegata legittimazione processuale, qualora la parte interessata ometta di fornire la prova richiesta, la fattispecie procedimentale prevista dall’art. 182 c.p.c. deve intendersi compiutamente definita, ed il Giudice correttamente viene a definire in rito la causa con declaratoria di inammissibilità dell’atto introduttivo o di impugnazione per difetto della relativa prova.

In conseguenza dalla mancanza di rituale prova, fornita nei gradi di merito dalla società – attuale resistente -, della “legitimatio ad opponendum” di Mondial Assistance EUROPE N.V. (soggetto apparentemente diverso da Mondial Assistance Italia s.p.a. cui era stata diretta la domanda monitoria) deriva la carenza di “potestas iudicandi” del Giudice di merito a definire la causa nel merito, con conseguente dichiarazione di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio e la cassazione senza rinvio della decisione impugnata (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 5375 del 04/04/2012).

In conclusione il ricorso deve essere accolto, quanto al primo motivo, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., comma 3 in quanto la causa non poteva essere proposta per difetto di legittimazione attiva della parte opponente, dovendo dichiararsi inammissibile l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Mondial Assistance EUROPE N.V..

La parte resistente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, assorbiti gli altri; cassa senza rinvio la sentenza impugnata, dichiarando inammissibile l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo proposto da Mondial Assistance EUROPE N.V., per difetto di legittimazione attiva;

condanna la parte resistente AGA International s.a. alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.450,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge, dichiarate compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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