Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31159 del 29/12/2017
Civile Sent. Sez. 2 Num. 31159 Anno 2017
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: COSENTINO ANTONELLO
SENTENZA
sul ricorso 3304-2016 proposto da:
PAGLIUCA ANTONIETTA,
ZOTTI STEFANIA,
elettivamente
domiciliate in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo
studio dell’avvocato ESTER PERIFANO, che le rappresenta
e difende;
– ricorrenti contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
Data pubblicazione: 29/12/2017
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositatOjil 01/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO
r’nt’,7M7’711:
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
rigetto del ricorso;
udito
l’Avvocato
PERIFANO
Ester
difensore
della
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Generale Dott. CORRADO MISTRI che ha concluso per il
FATTI DI CAUSA
Le signore Antonietta Pagliucca e Stefania Zotti ricorrono avverso il
decreto della Corte d’appello di Roma che ha respinto la domanda da loro
proposta ai sensi della legge n. 89/2001 per l’equa riparazione della
amministrativo regionale della Campania negli anni ’90 del secolo scorso,
ancora pendente al dì della domanda di equa riparazione (3.1.11).
La corte territoriale ha disatteso la domanda delle odierne ricorrenti
sulla scorta di una duplice ragione.
Sotto un primo profilo, la sentenza gravata argomenta che il giudizio
davanti al giudice amministrativo – avente ad oggetto l’impugnazione
degli atti di una procedura concorsuale bandita dal Comune di Benevento
per la copertura di alcuni posti di assistente sociale – era stato introdotto
dalle ricorrenti nella consapevolezza della relativa improcedibilità, poi
effettivamente accertata dal TAR.
Sotto un secondo profilo, la sentenza gravata argomenta che nel
giudizio amministrativo presupposto non risultava depositata alcuna
istanza di prelievo.
Il ricorso si articola in quattro motivi.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 13.10.17, per la
quale non sono state depositate memorie e nella quale il Procuratore
eccessiva durata di un giudizio da loro introdotto davanti al tribunale
Generale ha concluso come in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo le ricorrenti
lamentano la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 della legge n. 89/2001, nonché dell’ art. 6 §1
CEDU, in relazione anche agli artt. 10 e 11 Cost. in cui la corte sarebbe
incorsa nel ritenere rilevante la circostanza che il giudizio presupposto si
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fosse concluso con una pronuncia di inammissibilità, giacché la lesione del
diritto alla ragionevole durata del processo sussiste indipendentemente
dall’esito favorevole o sfavorevole del giudizio stesso.
Con il secondo motivo le ricorrenti censurano la statuizione relativa
denunciando l’omesso esame del fatto – decisivo per il giudizio e discusso
tra le parti – che le ricorrenti avevano depositato presso il TAR ben due
istanze sollecitatorie, una il 10.2.1999 e l’altra il 23.12.2010, entrambe ex
art. 51 R.D. n. 642/1907, di contenuto sostanzialmente identico rispetto
all’istanza di prelievo disciplinata dall’ art. 71 c.p.a..
Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti,
nonché la contestuale violazione e falsa applicazione degli artt. 6 §1 e 13
CEDU, in relazione anche agli artt. 10 e 11 Cost., nonché dell’articolo 2 I.
89/2001, dell’art. 54, comma 2, d.l. 25.6.2008 n. 112, convertito con
modificazioni dalla legge 6.8.2008 n. 133, e dell’art. 3, comma 23, all. 4 al
decreto legislativo n. 104/2010 e successive modificazioni. Nel mezzo di
gravame si argomenta che la corte territoriale avrebbe peccato di
formalismo nel giudicare indispensabile la proposizione, nel giudizio
presupposto, dell’istanza di prelievo disciplinata dall’articolo 71 d.lgs.
104/2010, entrato in vigore il 16.9.2010, nonostante che in tale giudizio
ricorrente avesse’ proposto ben due istanze acceleratorie, ai sensi dell’art.
51 del R.D. 642/1907, in vigore all’epoca della proposizione del ricorso, le
quali sostanzialmente riproducevano il contenuto e gli effetti dell’istanza di
prelievo disciplinata dall’ articolo 71 c.p.a.
Col quarto motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa
applicazione dell’articolo 2 I. 89/2001, dell’art. 54, comma 2, d.l.
25.6.2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6.8.2008 n.
133, e dell’art. 3, comma 23, all. 4 al decreto legislativo n. 104/2010 e
all’omessa presentazione dell’istanza di prelievo nel giudizio presupposto,
successive modificazioni. Nel mezzo di gravame, avanzato in linea di
subordine, si argomenta che la mancata proposizione dell’istanza di
prelievo renderebbe improponibile la domanda di equa riparazione solo in
relazione alla durata del giudizio presupposto successiva alla data di
non anche in relazione alla durata del giudizio presupposto successiva a
tale data.
Il primo motivo di ricorso va giudicato inammissibile, perché non
risulta pertinente alle motivazioni della sentenza gravata. La prima ratio
decidendi posta dalla corte distrettuale a fondamento del decisum, infatti,
non consiste nel rilievo che il processo amministrativo si è concluso con
una declaratoria di improcedibilità, bensì nel rilievo che le ricorrenti
avevano “dato inizio al giudizio presupposto nella consapevolezza della
improcedibilità della propria domanda” (pag. 3 della sentenza gravata).
Il secondo, terzo e quarto motivo, con i quali si censura la seconda
ratio decidendi
della sentenza gravata, relativa alla mancata
presentazione della istanza di prelievo nel giudizio presupposto, vanno
giudicati inammissibili per carenza di interesse. Nel ricorso, infatti, non
viene specificamente censurata, nemmeno con il primo mezzo, la ratio
decidendi relativa alla ritenuta consapevolezza delle ricorrenti in ordine
alla improcedibilità della domanda da loro proposta al giudice
amministrativo e tale ratio decidendi è autonomamente idonea sorreggere
il decisum (cfr. Cass. n. 2108/12: “Qualora la decisione di merito si fondi
su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente
idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza
delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili,
per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni
esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non
entrata in vigore della modifica del 2010 al decreto legge n. 112/2008, e
potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre,
alla cassazione della decisione stessa.”).
Il ricorso va quindi in definitiva rigettato, con conseguente condanna
delle ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in
Non trova applicazione il disposto dell’articolo 13, comma 1
quater, d.p.r. 115/02, D.Lgs. 546/92, trattandosi di causa relativa
all’equa riparazione di cui alla legge n. 89/01, esente dal contributo
unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti a rifondere
all’Amministrazione contro ricorrente le spese del giudizio di
cassazione, che liquida in C 800, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 13 ottobre 2017
favore dell’Amministrazione contro ricorrente.