Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31154 del 29/12/2017


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 31154 Anno 2017
Presidente: MATERA LINA
Relatore: SABATO RAFFAELE

ORDINANZA
e

sul ricorso 4505-2014 proposto da:
VERONESI CARLA, RAMA CLAUDIO, RAMA MARCO, RAMA PAOLA,
tutti quali coeredi di RAMA GIOVANNI, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA BANCO DI S. SPIRITO 48, presso
lo studio dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI, rappresentati
e difesi dall’avvocato LUCIANO GRISI;
– ricorrenti contro

2017
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ADAMOLI MICHELINA MARIA,

ANTONINI LUCA, ANTONINI

CLAUDIO, nella loro qualità di eredi di ANTONINI
GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI
GIUSTINO DE PAOLI;

Data pubblicazione: 29/12/2017

- controricorrentl

avverso la sentenza n. 2092/2013 della CORTE D’APPELLO
di VENEZIA, depositata il 17/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 11/10/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE

SABATO.

11.10.2017 n. 17 n.r.g. 4505-14 ORD

Rilevato che:

ha convenuto Giovanni Rama davanti al tribunale di Verona per la
pronuncia di sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c. in riferimento al preliminare del 5.7.1985 di vendita di un immobile in Verona, via del
Ponte n. 4, da parte del convenuto a essa attrice, o, in subordine, per
la condanna dello stesso alla restituzione della somma di lire
50.000.000 a lui versata a titolo di caparra ed al risarcimento dei
danni. Giovanni Rama, nel costituirsi, ha dedotto di non poter trasferire all’attrice la proprietà dell’immobile di cui sopra, per non averne
ancora acquistato la proprietà, che avrebbe dovuto essergli trasferita
da Giuseppe Antonini in esecuzione di un contratto preliminare di
permuta stipulato con quest’ultimo il 4.2.1980. Ha chiesto, pertanto,
di essere autorizzato a chiamare in causa il sig. Antonini, perché fosse
disposta l’esecuzione del contratto in data 4.2.1980 e di una ulteriore
promessa di vendita del 18.4.1982, avente ad oggetto altri beni, e
fosse condannato lo stesso al pagamento di qualsiasi somma che il
chiamante fosse condannato a pagare all’attrice a titolo di risarcimento dei danni. Si è costituito a sua volta Giuseppe Antonini, che ha dedotto vari inadempimenti del sig. Rama con riferimento alla promessa
di permuta 4.2.1980, della quale ha chiesto, quindi, la risoluzione,
con conseguente condanna dello stesso sig. Rama al risarcimento dei
danni.
p. 1 /1 1

1. Con citazione notificata il 30 marzo 1987 Lucia De Beni Lugoboni

Al giudizio come sopra instaurato è stata riunita altra causa promossa
dal sig. Rama nei confronti del sig. Antonini, nell’ambito della quale il
primo ha chiesto la condanna del secondo al versamento di canoni
percepiti per la locazione delle cinque cantine a lui vendute con scrit-

le chiedendo la risoluzione per inadempimento come innanzi.
2. Con sentenza non definitiva n. 274 depositata il 4 febbraio 1994 il
tribunale ha deciso la causa promossa da Lucia De Beni Lugoboni, accogliendo la domanda subordinata proposta dall’attrice, mentre con
sentenza n. 2367 depositata il 18 dicembre 2000 in ordine alla causa
promossa da Giovanni Rama nei confronti di Giuseppe Antonini ha rigettato le domande del primo e dichiarato la risoluzione dei contratti
collegati in date 4.2.1980 e 18.4.1982 per inadempimento del sig.
Rama, condannato al risarcimento dei danni in relazione al mancato
godimento dell’immobile oggetto del preliminare con la sig.a De Beni.
3. Tale seconda sentenza, impugnata dal sig. Rama con appello principale e dal sig. Antonini con appello incidentale, è stata parzialmente
riformata dalla corte di appello di Venezia, che con sentenza depositata il 20.5.2004 ha condannato Rama Giovanni, in accoglimento delle tesi del sig. Antonini, al pagamento in favore di quest’ultimo di interessi, confermando nel resto la sentenza; ciò affermando
l’inammissibilità sopravvenuta dell’appello del sig. Rama per sua acquiescenza.
4. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione Giovanni Rama, cui hanno resististo Michelina Maria Adamoli, Luca Anto-

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tura del 18.4.1982, cui il sig. Antonini ha reagito in via riconvenziona-

nini e Claudio Antonini, quali eredi del defunto Giuseppe Antonini.
Con sentenza n. 942/11 depositata il 17.1.2011 questa corte, in accoglimento di un motivo di ricorso e assorbimento di altro, ha cassato
la sentenza della corte d’appello, rinviando la causa alla stessa corte

per nuovo esame dell’appello principale non precluso da acquiescenza
oltre che, tra l’altro, della questione relativa al dedotto inadempimento dell’Antonini, esaminata precedentemente solo ai fini del carico
delle spese.
5. A seguito di riassunzione, la corte d’appello di Venezia in altra sezione, quale giudice del rinvio, con sentenza n. 2092 depositata il
17.9.2013 ha pronunciato sulla lite rigettando l’appello di Giovanni
Rama avverso la sentenza n. 2367 del 2000 del tribunale di Verona.
5.1. A supporto della decisione, la corte territoriale ha condiviso la
valutazione di sussistenza dell’inadempimento del sig. Rama in quanto:
a) mentre nella promessa di permuta il terreno che Giovanni Rama si
era impegnato a trasferire risultava avere una superficie di mq.
12.000, in realtà la superficie era inferiore di mq. 2.595;
b) il fabbricato rurale era affetto da irregolarità amministrativa.
6. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso Carla Veronesi e Claudio, Marco e Paola Rama, tutti quali eredi di Giovanni
Rama, articolando cinque motivi illustrati da memoria. Hanno resistito
ii\ p
j
con controricorso – parimenti illustrato da memoria – Michelina Maria
Adamoli, Luca Antonini e Claudio Antonini.
(

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Considerato che:

1. Con il primo motivo del ricorso si deduce omesso esame di un fatto
decisivo del giudizio, indicato nella contraddizione tra il fatto ritenuto

perficie pari a mq. 2.592») e l’effettiva minore superficie oggetto di
trasferimento indicata in «mq. 11.222» (che in un luogo del ricorso si
indicano, per refuso, in 1.122 – v. p. 7 in fine).
2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce omesso esame di un
fatto decisivo del giudizio, indicato nella mancata considerazione da
parte della corte d’appello dell’argomentazione, dedotta nella comparsa conclusionale depositata il 28.6.2013, secondo la quale una eventuale errata indicazione della superficie avrebbe potuto incidere ai
fini dell’annullamento del contratto per errore, ma non potrebbe configurare inadempimento.
3. I due motivi possono esaminarsi congiuntamente, in quanto inammissibili per analoghe ragioni.
3.1. Va al riguardo richiamato che il vizio motivazionale rilevante, secondo l’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile
ratione temporis nella riformulazione della norma disposta dall’art. 54
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n.
134, è quello di “omesso esame circa un fatto decisivo”, che presuppone la totale pretermissione nell’ambito della motivazione di uno
specifico fatto storico, principale o secondario, oppure la “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione

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quale costitutivo di inadempimento («trasferimento di una minore su-

apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o la
“motivazione . perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa,
invece, qualunque rilevanza della semplice “insufficienza” o di “contraddittorietà” della motivazione e fermo restando che l’omesso esa-

same di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa,
sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la
sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la
giurisprudenza ha specificato che la possibilità di sollevare tali doglianze neppure sopravvive come ipotesi di nullità della sentenza ai
sensi del n. 4) del medesimo art. 360 cod. proc. civ. (cfr. Cass. sez.
U., 07/04/2014 n. 8053; Cass. n. 08/10/2014 n. 21257 e 06/07/2015
n. 13928).
3.2. I vizi di cui innanzi non sussistono quando, in luogo delle carenze
tassativamente previste, la sentenza impugnata faccia emergere:
– una mera contraddittorietà di motivazione (quale in tesi sarebbe
quella – di cui al primo motivo – relativa alle diverse indicazioni di superficie; ma, per l’inussistenza, v. di seguito), non più prevista dalla
nuova formulazione della norma;
– una erronea valutazione anche di carattere giuridico (quale quella sempre in tesi – di cui al secondo motivo, circa il regime giuridico
dell’errore-vizio della volontà a fronte dell’inadempimento), essendo il
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vizion-icorato ai soli fatti storici;
– in ogni caso, mere difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni
della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti agli elemen-

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me di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso e-

ti delibati dal giudicante di merito, risolvendosi altrimenti i motivi di
ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del
convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio

3.3. Su tali premesse, va notato che con i motivi in esame, lungi dal
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)

iriibtiVazionali nei sensi anzidetti, la ricorrente si limita a far valere
una presunta contraddittorietà di valutazione (non sindacabile) e un
presunto errore giuridico (che avrebbe dovuto farsi valere, ricorrendone i presupposti, ex art. 360 comma primo n. 3 cod. proc. civ.), oltre che la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal
giudice di merito al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (aspetti questi del giudizio, interni
all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e
dell’apprezzamento dei fatti, che attengono al libero convincimento
del giudice e non all’omesso esame rilevante ai sensi dell’art. 360
primo comma n. 5 cod. proc. civ.). Da tanto deriva la piena inammissibilità delle censure.
3.4. Per completezza, in ordine al primo motivo, deve rilevarsi come
la lettura della sentenza impugnata dia piena contezza della circostanza che in essa non sussistono contraddizioni circa il computo delle
superfici, facendosi riferimento in un luogo – con ogni evidenza – alla
superficie senza tenersi conto del sedime dell’edificio, e in altro luogo
tenendosi invece conto di detto sedime (cfr. in particolare il passaggio

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di cassazione. (in termini, ad es., Cass. sez. U n. 24148 del 2013).

«Premesso che il preliminare di permuta indicava quale promessa del
Rama all’Antonini un terreno di 12.000 mq. ed un fabbricato rurale, è
risultato che la superficie nella effettiva disponibilità del Rama … era
di complessivi mq. 11.222 comprensivi del sedime del fabbricato»).

varsi come il rilievo giuridico in esso propugnato non si confronti con
la giurisprudenza di questa corte (v. ad es. Cass. n. 23404 del
17/11/2016 e n. 25250 del 03/12/2007) secondo la quale nell’ambito del quadro di applicazione dell’art. 1538 cod. civ. non solo
alla vendita, ma anche al preliminare di vendita a corpo di un terreno
– in presenza di determinati presupposti può aversi la risoluzione del
contratto per inadempimento.
4. Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce falsa applicazione degli artt. 1453 ss. cod. civ. e 40 I. n. 47 del 28 febbraio 1985, in
relazione alla circostanza per cui la corte d’appello avrebbe fondato
l’inadempimento su presunte irregolarità urbanistiche, emergendo invece dallo stesso provvedimento che la mancata stipulazione del definitivo fu il risultato di un accordo tra le parti, su suggerimento del notaio, posto anche che le ulteriori difficoltà frapposte alla stipula in riferimento a un esproprio erano un’invenzione della controparte, mentre non era addebitabile al sig. Rama il ritardo nel rilascio della concessione in sanatoria, previo pagamento di somme.
5. Con il quarto motivo, poi, si denuncia violazione dell’art. 35 I. n. 47
del 28 febbraio 1985, essendo incorsa la corte d’appello nello stesso
errore in cui era incorso il notaio nel consigliare alle parti di attendere

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3.5. Sempre per completezza, in ordine al secondo motivo, deve rile-

il rilascio della concessione in sanatoria; essa infatti avrebbe dovuto
considerarsi rilasciata per silenzio-assenso.
6. Anche i predetti due motivi possono, per evidente connessione, essere esaminati congiuntamente. Essi sono inammissibili.

cazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di
assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa
corte dal r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, vizio peraltro ridotto al “minimo costituzionale” secondo l’art.
360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione
temporis secondo la riformulazione della norma disposta dall’art. 54
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n.
134, ricondotto all’omesso esame circa un fatto decisivo”, che presuppone la totale preternnissione nell’ambito della motivazione di uno
specifico fatto storico, principale o secondario, oppure fattispecie consimili.
6.2. Con i motivi in esame, lungi dal denunciare violazioni di legge nei
sensi anzidetti, la ricorrente si limita a far valere la non rispondenza

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6.1. Al riguardo, va richiamato che il vizio di violazione e falsa appli-

della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al diverso
convincimento soggettivo (circa la natura dell’abuso, la condotta del
notaio, ecc.) patrocinato dalla parte, senza in alcun modo dedurre
una effettiva violazione o falsa applicazione di norma di diritto.

cod. proc. civ., deducendosi che erroneamente la corte d’appello avrebbe ritenuto non impugnato il capo della sentenza di primo grado
avente ad oggetto il risarcimento del danno; a confutazione di tanto, i
ricorrenti indicano un brano dell’atto di riassunzione.
7.1. Il motivo è inammissibile. Nella redazione della censura, i ricorrenti avrebbero dovuto trascrivere, onde consentire le verifiche necessarie, il motivo contenuto nell’atto di appello attraverso il quale
sarebbe stata proposta l’impugnazione; a tanto non equivale
l’indicazione di un brano contenuto nell’atto di riassunzione. Non varrebbe opporre che, qualora siano denunciati errores in procedendo,
quale è in sostanza quello denunciato, la corte suprema è giudice anche del fatto e può quindi controllare direttamente il contenuto degli
atti; infatti questo potere – come la giurisprudenza ha chiarito – sussiste solo nell’ambito della valutazione della fondatezza del motivo,
mentre prima di potervi procedere la corte deve essere posta in condizione di conoscere – senza operare scelte a proprio arbitrio, in difetto del potere di rilevare il vizio denunciato d’ufficio – i luoghi degli atti
processuali a ricercarsi, su cui la parte – al cui impulso defensionale
sono rimesse le relative scelte di impugnazione – fonda la propria tesi; in tal senso, va data continuità al principio di diritto per cui «nell’i-

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7. Con il quinto motivo, infine, si denuncia violazione dell’art. 329

potesi in cui vengano denunciari con il ricorso per cassazione errores
in procedendo, la corte di legittimità diviene anche giudice del fatto
(processuale) ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali. Tuttavia, non

parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione» (v. ad es. Cass. n. 2771 del 02/02/2017,
n. 9536 del 19/04/2013, n. 9526 del 22/04/2010 [nel testo], n. 5836
del 13/03/2007, n. 20405 del 20/09/2006).
8. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo
soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. n. 115 del 2002 va dato atto
del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti
dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso
a norma del co. 1-bis dell’art. 13 cit.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione
a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 200 per esborsi ed euro 3.500 per compensi, oltre
spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

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essendo il vizio processuale rilevabile ex officio, è necessario che la

Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto del
sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti
dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso
a norma del co. 1-bis dell’art. 13 cit.

civile, in data 11 ottobre 2017.
Il residente

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(L. Matera)

DEPOSITATO

Roma,

IN CANCELLERIA

29 DIC.2017

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda

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