Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31154 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 03/12/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 03/12/2018), n.31154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27705-2016 proposto da:

P.G., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNA COGO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2689/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/05/2016 R.G.N. 8183/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 2689 pubblicata il 17.5.2016, la Corte d’appello di Roma ha respinto, con motivazione parzialmente diversa, l’appello di P.G. avverso la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza di cui L. n. 183 del 2010, art. 32 la domanda volta alla declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato conclusi con Poste Italiane s.p.a. ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1 bis; ed aveva inoltre respinto la domanda subordinata di accertamento della costituzione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato in forza degli Accordi sindacali del 13.1.06 e del 10.7.08, con condanna della società datoriale al pagamento delle retribuzioni e al risarcimento del danno;

2. la Corte d’appello ha ritenuto non maturata la decadenza di cui all’art. 32 cit., in ragione del differimento al 31.12.2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative ai termini di decadenza per l’impugnativa dei licenziamenti, previsto dal D.L. n. 225 del 2010, convertito in L. n. 10 del 2011, e applicabile, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 25103 del 2015; Cass. Ord. n. 4913 del 2016) a tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6;

3. ha tuttavia respinto le censure di illegittimità dei contratti conclusi ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, richiamando la conforme giurisprudenza sul punto della Suprema Corte, della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia;

4. ha escluso che la conclusione dei contratti ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis cit. fosse avvenuta in violazione della clausola di contingentamento, da calcolarsi in relazione all’intero organico aziendale e non ai singoli settori o servizi, in ragione dei dati tempestivamente allegati e documentati dalla società onerata della prova e in nessun modo contestati dalla lavoratrice;

5. ha ritenuto non integrata la violazione de3l D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d) risultando documentata l’avvenuta valutazione dei rischi ad opera della società presso tutti gli uffici postali ove la lavoratrice aveva prestato servizio;

6. ha escluso la violazione degli Accordi sindacali del 13.1.06 e del 10.7.08 ritenendo compatibile con gli stessi e legittimo che l’assunzione fosse subordinata ad una valutazione di idoneità allo svolgimento delle specifiche mansioni dedotte in contratto;

7. avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso Poste Italiane s.p.a.;

8. Poste Italiane s.p.a. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

9. col primo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3,D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, art. 12 Preleggi, art. 24, comma 8, c.c.n.l. 11.7.07; dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia;

10. ha premesso di aver sollevato nel ricorso introduttivo di primo grado (al punto 1.3 lett. b), pag. 12) l’eccezione di nullità dei contratti a termine per violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3 che vieta l’assunzione di lavoratori a termine da parte di datori che non abbiano adottato gli interventi previsti dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4;

11. ha dedotto come la Corte d’appello avesse accertato l’adempimento all’obbligo di valutazione dei rischi ma avesse omesso qualsiasi pronuncia sulla questione se l’adempimento posto a carico di parte datoriale dalle disposizioni citate, e dalle previsioni del c.c.n.l., comprendesse o meno l’obbligo di informazione e formazione del lavoratore assunto a tempo determinato, in relazione ai rischi specifici della mansione secondo le prescrizioni contenute nel Documento di valutazione dei rischi, e se tale ulteriore obbligo fosse stato adempiuto;

12. il motivo è inammissibile in quanto tale ultima questione, come si evince dalle stesse allegazioni di parte ricorrente (cfr. ricorso per cassazione, pag. 14) risulta essere stata sollevata per la prima volta in appello, in contrasto con la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c.;

13. peraltro, la Corte di merito ha analizzato la censura sull’assenza di un valido documento di valutazione dei rischi, di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 assenza preclusiva dell’assunzione a termine, secondo il disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), ed ha ritenuto la stessa infondata, laddove gli obblighi di formazione e informazione, contemplati dal D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 e certamente rilevanti ai fini del dovere di protezione di parte datoriale, non sono richiamati dal D.Lgs. 368 del 2001 quale presupposto per la legittima apposizione del termine al contratto di lavoro;

14. col secondo motivo di ricorso la lavoratrice ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, art. 2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia;

15. ha sostenuto come la Corte di merito avesse omesso di pronunciarsi sull’eccezione formulata nel ricorso in appello concernente la mancata prova del rispetto della percentuale del 15% nella stipulazione dei contratti a termine negli anni dal 2006 al 2008, avendo Poste Italiane s.p.a. computato nell’organico aziendale il personale in servizio al 1 gennaio per “teste”, anzichè calcolare i lavoratori part time in proporzione alle ore lavorate, come prescritto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6;

16. la censura è infondata alla luce dell’interpretazione adottata da questa Corte (sentenze n. 18166 del 2018; n. 753 del 2018) secondo cui “In tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, nel prevedere che il numero dei lavoratori assunti a termine dalle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste non può superare il limite percentuale del quindici per cento dell’organico aziendale, si riferisce al numero complessivo dei lavoratori assunti, in base ad un criterio quantitativo “per teste”, dovendosi escludere il computo dei contratti a tempo determinato “part-time” fino alla concorrenza dell’orario pieno, ossia secondo il criterio cd. “full time equivalent”, previsto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 65, comma 1 al fine di facilitare il calcolo dell’organico in sede di recepimento della direttiva 1997/81/CE e in vista della prevedibile estensione del lavoro a tempo parziale, ma non anche ai fini della disciplina dei limiti di utilizzo del contratto a tempo determinato, che ha una specifica “ratio”, riconducibile alla finalità antiabusiva della direttiva 1999/70/CE”;

17. col terzo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., degli artt. 19 e 24 c.c.n.l. 11.7.07, dell’accordo sindacale 13.1.06 e degli artt. 1353 e 2077 c.c.;

18. ha sostenuto come l’accordo collettivo del 13.1.06 non contenesse alcun riferimento alla volontà delle parti di condizionare l’assunzione della lavoratrice al superamento di una prova di idoneità alla guida e che neppure l’art. 19 del c.c.n.l. 11.7.07 contemplasse tale prova ai fini della documentazione necessaria per formalizzare l’assunzione; ha aggiunto che la suddetta condizione per l’assunzione, in quanto unilateralmente introdotta, sarebbe nulla ai sensi dell’art. 2077 c.c.;

19. il motivo è infondato;

20. sull’interpretazione dei contratti collettivi, questa Corte (Cass. n. 6335 del 2014) ha precisato che “La denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c. e ss.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, nè del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti”;

21. nel caso di specie, la Corte d’appello ha premesso come l’accordo collettivo del 13.1.06, al pari dell’accordo del 10.7.08, non contenesse alcuna “assicurazione di assunzione, ma solo l’obbligo dell’azienda ad attingere alla apposita graduatoria”; come in base al chiaro tenore letterale dell’accordo del 2006 (“in coerenza con le esigenze organizzative e produttive aziendali e tenuto conto di quanto previsto dalla presente intesa, le Parti confermano sulla opportunità di valorizzare occasioni di sviluppo e mobilità professionale del personale presente in azienda, ricorrendone i requisiti attitudinali e professionali”), dovesse escludersi che “l’eventuale e futura assunzione dell’appellante sarebbe potuta avvenire prescindendo da qualsiasi valutazione sull’idoneità a svolgere le specifiche mansioni dedotte in contratto”; ha ritenuto legittima la previsione della prova di idoneità alla guida quale requisito necessario per l’assunzione, funzionale alla tutela della integrità fisica del dipendente e della collettività, e irrilevante che il contratto collettivo non prevedesse tale idoneità quale condizione necessaria per le mansioni di portalettere;

22. l’interpretazione data dalla Corte di merito appare coerente rispetto ai canoni ermeneutici dettati dal codice civile, in particolare quanto alla lettera e alla ratio delle previsioni contrattuali, e si sottrae alle censure mosse dalla ricorrente, peraltro formulate senza la trascrizione di tutte le parti rilevanti degli accordi collettivi citati, necessaria al fine di far emergere i dedotti errori ermeneutici;

23. nè ricorre la violazione degli artt. 1353 e 2077 c.c. avendo la Corte di merito precisato come gli accordi collettivi contenessero unicamente l’obbligo della società di attingere dalle graduatorie per future assunzioni e di convocare gli iscritti nelle graduatorie, ed escluso che gli accordi medesimi riconoscessero un diritto all’assunzione sganciato da qualsiasi verifica di idoneità professionale;

24. le residue censure mosse col motivo in esame (la mancata sottoposizione di altri lavoratori alla prova di idoneità e la mancata utilizzazione del motomezzo da parte della ricorrente nel corso di esecuzione dei contratti a termine) denunciano, nella sostanza, un presunto vizio di illogicità del ragionamento della Corte territoriale, inammissibile in base al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile alla presente pronuncia pubblicata il 17.5.16) che limita il sindacato sulla motivazione all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso dalle parti, oltre che ai casi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e motivazione “perplessa o obiettivamente incomprensibile”, riconducibili alla violazione dell’art. 132 c.c., comma 2, n. 4 (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014; Cass. n. 2498 del 2015; Cass. n. 21439 del 2015);

25. per le ragioni fin qui esposte, il ricorso non può trovare accoglimento;

26. al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;

27. ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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