Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31153 del 29/12/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 29/12/2017, (ud. 05/10/2017, dep.29/12/2017),  n. 31153

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 6 giugno 2000 la Sardavetri di R.L. & C. sas ha convenuto in giudizio, davanti al Tribunale di Cagliari, la Acentro Veicoli Industriali spa, esponendo che:

il 29 dicembre 1998 aveva acquistato dalla Acentro Veicoli Industriali spa un automezzo Iveco Mod. 170E27 per il prezzo complessivo di Lire 192.000.000, di cui Lire 10.000.000 versate al momento della stipulazione del contratto e Lire 24.000.000 corrisposte con la permuta di un veicolo usato;

il saldo doveva essere pagato al momento della consegna, prevista entro il termine di 90 giorni dalla conclusione del contratto ed avvenuta il 10 giugno 1999;

il veicolo aveva subito evidenziato gravi difetti e, inoltre, non possedeva nè le qualità promesse, nè quelle essenziali all’uso cui era destinato;

i vizi erano stati tempestivamente denunciati e la società convenuta aveva ritirato il mezzo senza, però, nè ripararlo, nè restituirlo.

La Sardavetri di R.L. & C. sas ha chiesto che fosse dichiarata la risoluzione del contratto e che la venditrice fosse condannata a restituire il prezzo ed a risarcire il danno.

La Acentro Veicoli Industriali spa si è costituita, eccependo la tardività della denuncia e affermando che il mezzo non aveva le caratteristiche indicate dalla società attrice.

Il Tribunale di Cagliari, istruita la causa a mezzo testi e Ctu, con sentenza n. 480/2007, ha respinto la domanda attrice, in quanto dall’istruttoria era emerso che la convenuta aveva effettuato le riparazioni necessarie ad ovviare agli inconvenienti denunciati e che la Sardavetri di R.L. & C. sas le aveva accettate, con la conseguenza che il successivo rifiuto di parte acquirente di ritirare il mezzo era ingiustificato.

Con atto di citazione la Sardavetri di R.L. & C. sas ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.

La Corte di Appello di Cagliari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza non definitiva n. 533/2010, depositata il 7 dicembre 2010, accoglieva l’appello e dichiarava risolto il contratto per inadempimento della società venditrice, rimettendo la causa sul ruolo per la determinazione del danno da risarcire.

Con successiva sentenza n. 408/2012, depositata il 30 luglio 2012, la Corte di Appello di Cagliari ha deciso in via definitiva la controversia.

La Acentro Veicoli Industriali spa ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza non definitiva e la sentenza definitiva pronunciate dalla Corte di Appello di Cagliari, articolandolo su due motivi.

La Sardavetri di R.L. & C. sas ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale condizionato sulla base di quattro motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale deve esser dichiarato inammissibile.

Preliminarmente, rileva il Collegio che, pur avendo la società ricorrente dichiarato di impugnare sia la sentenza non definitiva che quella definitiva emesse dalla Corte di Appello di Cagliari, entrambi i motivi di ricorso investono esclusivamente la prima di tali pronunce.

Infatti, con il primo motivo la Acentro Veicoli Industriali spa lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99,112 e 346 c.p.c., poichè la corte territoriale avrebbe riformato la sentenza di primo grado su un punto non fatto oggetto di gravame.

Ad avviso di parte ricorrente, la Corte di Appello di Cagliari avrebbe errato nel ritenere tardivamente articolata la prova testimoniale relativa all’avvenuta accettazione, da parte della società acquirente, delle modifiche apportate al veicolo oggetto del contendere.

Con il secondo motivo la società ricorrente contesta, inoltre, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362,1470 e 1655 c.c., poichè la corte territoriale avrebbe errato nel qualificare come vendita e non come appalto il rapporto in esame senza, peraltro, neppure fornire una motivazione sul punto.

Entrambe le censure investono, pertanto, la sentenza non definitiva, essendo stata questa ad esaminare e definire ogni questione in ordine alla qualificazione del contratto de quo ed al suo inadempimento, disattendendo, con l’accoglimento della domanda di risoluzione, l’assunto della società appellata, secondo cui le parti avrebbero concluso un appalto e nessun inadempimento vi sarebbe stato. La sentenza definitiva si è limitata, invece, a determinare l’entità del risarcimento dovuto.

Ciò posto, si osserva che il Sostituto Procuratore Generale ha eccepito che la società ricorrente non avrebbe dedotto di avere compiuto una valida dichiarazione di riserva facoltativa di ricorso avverso la sentenza non definitiva ex art. 361 c.p.c. (pure chiamata, da certa dottrina, sentenza parzialmente definitiva) e che tale riserva, comunque, non risulterebbe dagli atti.

L’eccezione, che investe una questione comunque rilevabile d’ufficio, è fondata.

Le parti, infatti, sono gravate dall’onere di fornire alla corte di legittimità tutti gli elementi necessari per la decisione dei loro ricorsi, non potendo la Corte di Cassazione, tranne che nei casi particolari ove sia denunciato un error in procedendo, accedere direttamente agli atti processuali diversi da quelli introduttivi del giudizio di legittimità.

Questo principio responsabilizza le parti, richiamandole al rispetto dei canoni di specificità, completezza e chiarezza del ricorso per mezzo della precisa indicazione di quanto è indispensabile per esaminare le loro censure.

In tale ottica, diventa essenziale identificare e rendere reperibili per il giudicante i dati documentali il cui scrutinio è imposto, in via anche preliminare, per decidere in ordine all’accoglimento o meno del ricorso.

Ne consegue che, nel redigere l’atto di gravame, occorre:

a – da un lato, che la contestazione proposta raggiunga un adeguato livello di specificità tramite la compiuta esposizione dei fatti di causa rilevanti, come previsto dall’art. 366, comma 1, n. 4, il quale dispone che il ricorso contenga “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’art. 366 bis”;

b – dall’altro, che siano indicati gli atti o documenti che condizionano, in concreto, la decisione della causa, come risulta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, secondo cui il ricorso per Cassazione “deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Dal disposto dell’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, si desume, quindi, che il ricorrente è tenuto a rispettare un principio generale di specificità del ricorso e dei motivi di impugnazione, del quale è espressione anche il testo dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che impone di depositare, assieme al ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso medesimo si fonda (Cfr. Cass., SU, n. 8077 del 22 maggio 2012).

Trattasi di principio fondante il processo di legittimità che investe tutti i momenti dello stesso ed informa ogni aspetto del rito, ponendo a carico del ricorrente un onere di collaborazione al fine di agevolare il giudice di cassazione nel reperimento dei riscontri cartolari che occorrono per ritenere ammissibile l’impugnazione e valutare la fondatezza dei motivi.

Esso incide, di conseguenza, sulla disciplina della redazione del ricorso, imponendo non solo che i motivi e gli atti e documenti su cui si fonda siano indicati, ma anche che risulti dallo stesso la ricorrenza dei requisiti che la legge prevede per il gravame, come il rispetto del termine per proporlo. In particolare, con riferimento a detto termine, tale principio rende necessaria almeno la menzione della data da dove computarlo e delle precedenti attività processuali che abbiano effetto sulla individuazione del suo dies a quo e sulla sua decorrenza.

Pertanto, la parte ricorrente che, come nella specie, impugni una sentenza non definitiva e calcoli il termine per il gravame dalla pubblicazione di quella definitiva deve, al fine di consentire alla Corte Suprema di Cassazione di accertarne (preliminarmente e d’ufficio) la tempestività, dedurre l’esistenza dei presupposti necessari da cui dipende questa verifica e, soprattutto, indicare di avere compiuto la dichiarazione di riserva ex art. 361 c.p.c., precisando le modalità e i tempi della stessa.

Nel caso in esame, la società ricorrente ha totalmente omesso di menzionare l’avvenuta riserva facoltativa di impugnazione, con la conseguenza che il ricorso va dichiarato inammissibile per violazione del summenzionato principio di specificità.

Osserva il Collegio, altresì, che a diverso risultato non potrebbe giungersi neanche se si applicasse il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in assenza di riserva di gravame avverso la sentenza non definitiva di appello nel termine fissato dall’art. 361 c.p.c., si verificherebbe non la decadenza del soccombente dal potere di impugnare la sentenza, ma, più semplicemente, la preclusione circa la facoltà di esercizio dell’impugnazione differita. Ne conseguirebbe, quindi, che la sentenza non definitiva potrebbe sempre essere correttamente impugnata entro gli ordinari termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.(Cass., Sez.3, n. 21417 del 10 ottobre 2014).

Infatti, la sentenza non definitiva di appello, contro la quale sono rivolte tutte le doglianze oggetto del gravame, è stata pubblicata il 7 dicembre 2010 ed impugnata, unitamente alla sentenza definitiva, il 18 marzo 2013 e, perciò, ben oltre la scadenza del c.d. termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c..

Neppure potrebbe giovare alla società ricorrente la circostanza, dedotta da parte controricorrente, che quest’ultima avrebbe, invece, effettuato la riserva di gravame.

In proposito, va considerato che la riserva di appello avverso le sentenze non definitive non costituisce una dichiarazione d’impugnazione, ma è un mezzo per differire ad un momento successivo la decisione se proporre o meno il gravame, evitando la decadenza che altrimenti si verificherebbe con il decorso dei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c..

In base al più recente orientamento giurisprudenziale, in tema di riserva facoltativa di appello contro sentenze non definitive, la riserva manifestata da una parte, in caso di soccombenza parziale di più parti, non giova anche alle altre che, a loro volta, non abbiano formulato riserva (Cass., Sez. 1, n. 20892 del 31 luglio 2008).

Al riguardo, questo collegio non condivide il contrario orientamento di legittimità più risalente (Cass., Sez. L, n. 6701 del 2 aprile 2004; Cass., Sez. L, n. 11663 del 2 novembre 1991).

Tale tesi, infatti, non risulta conforme al complessivo sistema processuale che rimette, soprattutto con gli artt. 340 e 361 c.p.c., ad ogni singola parte un autonomo potere di scelta fra riserva d’impugnazione e impugnazione immediata, non vincolando le altre alla riserva compiuta da una di esse, ma consentendo a ciascuna di loro, pur dopo la formulazione della suddetta riserva, di proporre impugnazione immediata, rendendo priva di effetto la riserva già formulata.

Pertanto, dalla circostanza che alle parti che hanno formulato la riserva è precluso il potere di proporre impugnazione immediata, mentre analoga limitazione non sussiste per quelle che hanno agito in maniera opposta, si ricava il carattere strettamente soggettivo della riserva d’impugnazione, desumibile, altresì, dalla natura personale dell’acquiescenza.

2. Ne consegue il rigetto del ricorso principale.

Il ricorso incidentale deve essere dichiarato assorbito, essendo lo stesso condizionato all’accoglimento di quello principale.

3. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c., e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6 – 3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015, Rv. 636018 – 01).

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato, e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore di quella controricorrente, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA