Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31152 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 28/11/2019), n.31152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19187/2017 proposto da:

M.A., titolare dell’omonima ditta individuale corrente in

(OMISSIS), rappresentato e difeso MARCO DOTTA domiciliato ope legis

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

UTET UNIONE TIPOGRAFICO EDITRICE TORINESE S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, D.A. LIBRI S.P.A., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio

dell’avvocato MARIO ANTONINI, che le rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FILIPPO MOLLEA CEIRANO, MARCO DURANTE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 38/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/02/2017, N. R.G. 203/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/10/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza 16 febbraio 2017, la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da M.A. avverso la sentenza di primo grado, di condanna solidale di D.A. Libri s.p.a. e Utet Grandi Opere s.p.a (succeduta alla prima, quale incorporante per fusione) al pagamento, in suo favore a titolo di credito restitutorio per trattenute come “storno” e di indennità suppletiva di clientela, delle rispettive somme di Euro 6.746,40 e di Euro 87.388,16 oltre accessori, con rigetto delle altre sue domande e di condanna del medesimo, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale di Utet s.p.a., al pagamento in suo favore, a titolo indennità sostitutiva del preavviso in misura di tre mesi, della somma di Euro 21.588,42;

2. a motivo della decisione, la Corte territoriale negava, come già il Tribunale, la ripetibilità, tanto in base al regolamento contrattuale tra le parti che all’art. 1748 c.c., comma 6 (nel testo sia anteriore che successivo alla novellazione con D.Lgs. n. 65 del 1999), delle provvigioni di cui la preponente aveva rifiutato la restituzione, per la certezza della non esecuzione per cause ad essa non imputabili degli affari per cui erano state anticipate e poi stornate (avendo posto i relativi crediti a definitiva perdita o ceduti in ragione del prolungato inadempimento e per la differenza tra prezzo originario e di cessione) La Corte felsinea riteneva pure che l’agente dovesse risarcire il danno riguardante il mancato integrale rispetto del termine di preavviso, avendo receduto durante il suo corso, in difetto di giusta causa;

3. avverso la predetta sentenza M.A. ricorreva per cassazione con due motivi, cui D.A. Libri s.p.a. e Utet Grandi Opere s.p.a resistevano con controricorso;

4. l’agente comunicava memoria, ma al di fuori del termine prescritto dall’art. 380 bis.1 c.p.c. e pertanto inammissibile.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il ricorrente deduce violazione per errata applicazione dell’art. 1748 c.c., comma 6 e art. 2119 c.c., per la legittimità di riaccredito della provvigione maturata dall’agente, “salvo rivalsa per il caso di mancato buon fine della vendita” secondo la previsione contrattuale, soltanto nell’ipotesi di assoluta certezza della circostanza, a norma della disposizione denunciata di natura imperativa e non derogabile in sfavore dell’agente medesimo, ricorrente nell’ipotesi esclusiva di estinzione del rapporto contrattuale della preponente (risoluzione o annullamento del contratto per causa a sè non imputabile), ma non nel caso di cessione del credito non incassato, o di sua cartolarizzazione o “fattorizzazione”, come fatto dalle due società (primo motivo);

1.1. esso è infondato;

1.2. non si configura la violazione di legge denunciata, in assenza dei requisiti suoi propri (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984), in particolare sotto il profilo di un’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), che postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo e indiscusso: con la conseguenza dell’estraneità di ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, siccome esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

1.3. occorre poi osservare come la ripetibilità delle provvigioni riscosse dall’agente “solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente” (art. 1748 c.c., comma 6) sia coerente con la spettanza della provvigione all’agente sugli affari che abbiano avuto regolare esecuzione (sia pure essa intesa non come esatto adempimento secondo i patti contrattuali, bensì come risultato economico utile conseguito: Cass. 15 dicembre 1997, n. 12668; Cass. 6 aprile 2000, n. 4327): e pertanto non nel momento di svolgimento dell’attività di promozione del contratto, ma solo quando questo sia andato a buon fine;

1.4. in questa prospettiva si pone pure il principio di salvezza della diversa pattuizione tra le parti, tanto secondo il testo dell’art. 1748 c.c., anteriore alla novellazione (per cui, salvo che non sia diversamente stabilito dalle stesse, il diritto alla provvigione sorge allorquando l’affare sia andato a buon fine o la mancata esecuzione del contratto sia imputabile al preponente: Cass. 12 ottobre 2018, n. 25544), tanto successiva alla sua novellazione, per effetto della L. n. 65 del 1999, di attuazione della Direttiva comunitaria 13 dicembre 1986, n. 635 (dovendosi intendere l’inderogabile spettanza della provvigione all’agente, al più tardi, dal momento e nella misura in cui il terzo abbia eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione, qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico, salva una diversa pattuizione tra le parti), che pure legittima una previsione contrattuale per cui il diritto alle provvigioni maturi al “buon fine” dell’affare (Cass. 30 luglio 2014, n. 17302);

1.5. oggetto di censura non è allora l’error in iudicando denunciato, per le ragioni dette insussistente, ma l’accertamento in fatto della Corte di merito, insindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente argomentato (per le ragioni esposte agli ultimi quattro capoversi di pg. 4 della sentenza), in esito ad un percorso interpretativo (ai primi due capoversi di pg. 4 della sentenza) del regolamento negoziale tra le parti in ordine alle ipotesi di certa esclusione di esecuzione del contratto tra il terzo e la preponente per causa a questa non imputabile, comportante la retrocessione delle provvigioni da intendere meramente anticipate (e così ripetibili in caso di mancato buon fine dell’affare per ragioni non imputabili al preponente, secondo il retto intendimento della locuzione negoziale “maturate”: così al secondo capoverso di pg. 4 della sentenza): pertanto insindacabile in sede di legittimità, in quanto interpretazione assolutamente plausibile, neppure essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178) e congruamente argomentata, cui il ricorrente ha contrapposto la propria (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 10 maggio 2018, n. 11254), senza neppure l’indicazione dei canoni ermeneutici violati, nè tanto meno la specificazione delle ragioni nè del modo in cui se ne sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350) ed avendo pertanto la censura ad oggetto il risultato interpretativo in sè (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891);

2. il ricorrente ricorrente deduce poi la falsa ed errata applicazione degli artt. 2119 e 1455 c.c., per erronea esclusione di gravità dell’inadempimento della preponente recedente nell’indebito rifiuto di retrocessione dell’importo di Euro 6.746,40 a titolo di provvigioni stornate per affari non andati a buon fine, così da non ritenere giusta la causa del proprio recesso in corso di periodo di preavviso (secondo motivo);

2.1. esso è inammissibile;

2.2. nel rapporto di agenzia, la regola dettata dall’art. 2119 c.c., deve essere applicata tenendo conto della diversa natura del rapporto rispetto a quello di lavoro subordinato nonchè della diversa capacità di resistenza che le parti possono avere nell’economia complessiva dello stesso; in tale ambito, il giudizio circa la sussistenza, nel caso concreto, di una giusta causa di recesso deve essere compiuto dal giudice di merito, cui è rimessa una valutazione insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata, tenendo conto delle complessive dimensioni economiche del contratto e dell’incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale, assumendo rilievo, in proposito, solo la sussistenza di un inadempimento colpevole e di non scarsa importanza che leda in misura considerevole l’interesse dell’agente, tanto da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto (Cass. 4 giugno 2008, n. 14771; Cass. 26 maggio 2014, n. 11728; Cass. 19 gennaio 2018, n. 1376);

2.3. ciò chiarito, la Corte territoriale ha accertato in fatto l’insussistenza di una giusta causa di recesso dell’agente, in pendenza del periodo di preavviso conseguente al recesso della preponente e ha ciò giustificato con argomentazione congrua (al secondo capoverso di pg. 5 della sentenza); sicchè, un tale accertamento è insindacabile da questa Corte, essendo di competenza esclusiva del giudice di merito stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto o meno per un fatto imputabile al preponente o all’agente, tale da impedire la possibilità di prosecuzione anche temporanea del rapporto, utilizzando per analogia il concetto di giusta causa previsto dall’art. 2119 c.c., per il lavoro subordinato (Cass. 14 febbraio 2011,n. 3595); così come procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni e sugli interessi delle parti, accertando quando l’inadempimento di una sia grave ovvero abbia scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455 c.c. (Cass. 16 maggio 2006, n. 11430; Cass. 6 luglio 2009, n. 15796);

3. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna M.A. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 00,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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