Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3115 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 10/02/2020), n.3115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17962/2018 R.G. proposto da:

B.G. e BE.UG., rappresentati e difesi dall’Avv.

Carmela Scarpato, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrenti –

contro

COMUNITA’ MONTANA GENNARGENTU-MANDROLISAI, in persona del Presidente

p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Antonello Rossi, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– controricorrente –

e

FINWORLD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 286/18

depositata il 4 aprile 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che B.G. ed Be.Ug. hanno proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso la sentenza del 4 aprile 2018, con cui la Corte d’appello di Cagliari ha accolto parzialmente il gravame interposto dalla Finworld S.p.a. contro la sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari l’11 luglio 2016, condannando l’appellante al pagamento della somma di Euro 73.394,50, oltre interessi legali, in favore della Comunità Montana Gennargentu-Mandrolisai, rigettando l’appello incidentale proposto dai ricorrenti e condannandoli a tenere indenne l’appellante principale dagli effetti pregiudizievoli della sentenza;

che la Comunità Montana ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria, mentre la Finworld non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico, complesso motivo d’impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto provate le circostanze dedotte dall’appellante, senza tener conto dei documenti prodotti da essi ricorrenti a sostegno della risoluzione del contratto per iniziativa dello appaltatore e dell’imputabilità dell’inadempimento alla stazione appaltante;

che, nel rigettare l’istanza di esibizione da parte della Comunità Montana e del fallimento della (OMISSIS) S.r.l. del registro di contabilità e di tutta la documentazione riguardante le richieste risarcitorie avanzate dall’appaltatrice, per difetto di prova Dell’impossibilità di acquisire aliunde la predetta documentazione, la sentenza impugnata non ha considerato che la relativa verifica spetta al giudice, il quale avrebbe dovuto ritenere in re ipsa la predetta impossibilità, in considerazione dell’intervenuto fallimento della (OMISSIS) e della qualità di fideiussori di essi ricorrenti;

che il motivo è inammissibile, sotto entrambi i profili;

che l’omessa valutazione della documentazione prodotta non è infatti deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 2, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto dei dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto da un lato la possibilità di estendere il vizio in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257), dall’altro la possibilità di far valere, sotto tale profilo, l’omessa o inadeguata valutazione di elementi istruttori (cfr. Cass., Sez. VI, 15/05/2018, n. 11863; 10/02/2015, n. 2498; Cass., Sez. lav., 9/07/2015, n. 14324);

che, nell’invocare il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’errata ricostruzione dei fatti da parte del giudice di merito può tradursi in violazione dell’art. 116 c.p.c., censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la difesa dei ricorrenti ne travisa la portata, trascurando la precisazione compiuta da questa Corte, secondo cui la predetta violazione è configurabile esclusivamente nel caso in cui il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, in assenza di una deroga normativamente prevista, o, all’opposto, abbia valutato secondo il suo prudente apprezzamento una prova o una risultanza probatoria soggetta ad un determinato regime legale (cfr. Cass., Sez. III, 10/06/2016, n. 11892; 20/12/2007, n. 26965; Cass., Sez. lav., 19/06/2014, n. 13960);

che le predette censure risultano d’altronde prive di specificità, avendo la difesa dei ricorrenti omesso di precisare la natura ed il contenuto dei documenti di cui ha lamentato la mancata valutazione, nonchè la fase processuale in cui gli stessi sono stati prodotti, e d’indicare gli elementi cui la Corte di merito avrebbe attribuito un valore probatorio diverso da quello previsto dalle norme che lì disciplinano;

che il rigetto dell’istanza di esibizione, proposta dalla parte al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili, non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, in quanto, trattandosi di uno strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non possa essere acquisita aliunde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione (cfr. Cass., Sez. lav., 1/04/ 2019, n. 9020; 25/10/2013, n. 24188; Cass., Sez. VI, 16/11/2010, n. 23120);

che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, che si liquidano come dal dispositivo;

che la mancata costituzione dell’intimata esclude invece la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali nei rapporti con la stessa.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 10 febbraio 2020

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