Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3115 del 02/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/02/2022, (ud. 12/10/2021, dep. 02/02/2022), n.3115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15112-2020 proposto da:

R.M., elett.te domiciliato presso l’avvocato ANTONINO

FICARRA, dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in

atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA DEI PORTOGHESI, 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 719/2019 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 18/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/10/2021 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

GUAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con ordinanza del 25.9.17, il Tribunale di Caltanissetta rigettò il ricorso di R.M. avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e delle protezioni sussidiaria ed umanitaria, ritenendo il racconto del ricorrente scarsamente credibile in quanto contraddittorio e privo di riscontri.

Con sentenza del 18.11.19, la Corte d’appello respinse l’impugnazione del R.M., osservando che: era da confermare la valutazione di non credibilità del ricorrente ai fini del diniego delle protezione internazionale e sussidiaria, della quale ultima non sussisteva neppure la fattispecie di cui all’art. 14, lett. c), sulla base delle fonti esaminate; non era riconoscibile la protezione umanitaria per insussistenza di condizioni individuali di vulnerabilità, non rappresentando l’attività lavorativa precaria una valida integrazione sociale.

R.M. ricorre in cassazione con sei motivi. Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RITENUTO

che:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., 10, comma 4, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, del D.Lgs. n. 286, art. 13, comma 7, dell’art. 6 CEDU, comma 3, lett. a), del Patto Int. diritti civili e politici, art. 14, comma 3, lett. a), dell’art. 132 c.p.c., per la mancata traduzione del provvedimento della Commissione territoriale nella lingua conosciuta dal ricorrente.

Il secondo deduce motivazione perplessa ed incomprensibile e violazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 e ss. c.c., degli artt. 115,116c.p.c., dell’art. 132c.p.c., n. 4, dell’art. 111 Cost., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, degli artt. 6 e 13 CEDU, della Carta dei diritti fondamentali UE, art. 47, della Dir. Europea n. 32 del 2013, art. 46, per aver la Corte d’appello omesso di motivare. e specificare le ragioni della non credibilità del ricorrente, anche per non aver acquisito le denunce sporte.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli stessi articoli di cui al secondo motivo, in relazione al fatto che la decisione è stata emessa sulla base di fonti non aggiornate.

Il quarto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli stessi motivi, come sopra, in relazione al pericolo in caso di rimpatrio derivate dalla situazione di violenza generalizzata nel paese d’origine.

Il quinto motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1364,1365,1369,2697 e. ss c.c., degli artt. 115,116c.p.c., dell’art. 132 c.p.c., n. 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, dell’art. 3 Cedu, dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, nonché motivazione apparente sulla questione, considerata la situazione generale del Pakistan, specie con riguardo alla schiavitù lavorativa. Il ricorso è inammissibile.

il primo motivo riguarda questione nuova sulla traduzione del provvedimento della Commissione, non avendo il ricorrente allegato quando e come l’abbia dedotta; né essa emerge dagli atti di causa.

Il secondo motivo è inammissibile perché diretto al riesame dei fatto, considerato che la Corte territoriale ha motivato sul giudizio di non credibilità del ricorrente, il quale aveva reso dichiarazioni generiche, lacunose e prive di riscontro.

Il terzo e quarto motivo, afferenti alla protezione sussidiaria, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili. Invero, la sentenza impugnata, adeguatamente motivata, è stata emessa sulla base di fonti aggiornate, puntualmente richiamate in motivazione, mentre la Corte di merito ha desunto dall’esame delle stesse fonti l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato.

Il quinto motivo è parimenti inammissibile. Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno umanitario ritenendo insufficiente, per dimostrare un’effettiva integrazione sociale, l’attività lavorativa da fattorino precaria. Va osservato che, nel ricorso il ricorrente per la prima volta ha dichiarato di svolgere attività lavorativa a tempo indeterminato, senza però indicare la tipologia di lavoro e la data dell’assunzione, esprimendo generiche osservazioni sulle critiche condizioni lavorative, in Pakistan. Nulla per le spese, atteso che il Ministero non ha depositato il controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2022

 

 

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