Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31147 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 28/11/2019), n.31147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18345/2014 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., già SE.RI.T. Sicilia S.P.A. – Agente

Riscossione Provincia Caltanissetta, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CARDINAL DE LUCA 1, presso lo studio dell’avvocato ANGELA MARIA

LORENA CORDARO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

BALISTRERI;

– ricorrente –

contro

SICILIANA IMPIANTI DI M.A. & C. S.A.S., in persona

del legale rappresentante pro tempore, L.M. in qualità di

difensore distrattario domiciliati ope legis presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentati e difesi dall’Avvocato

MATTEO SCARLATA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 351/2014 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 24/06/2014 R.G.N. 245/2012.

Fatto

RITENUTO

Che:

la Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza n. 351 del 2014, ha accolto l’impugnazione proposta dalla Siciliana Impianti di M.A. e C. S.a.s. che aveva dichiarato inammissibile il motivo di opposizione avverso l’iscrizione a ruolo e respinto quello con cui era stata fatta valere la prescrizione successiva alla notifica della cartella, sul presupposto che nel momento in cui il credito iscritto a ruolo sia divenuto incontestabile per mancata opposizione, l’azione esecutiva restava comunque soggetta al termine di prescrizione quinquennale ex lege n. 335 del 1995, in luogo di quello decennale ex art. 2953 c.c..

avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Riscossione Sicilia S.p.A. affidandolo a due motivi resiste, con controricorso, La Siciliana Impianti di M.A. & C. S.p.A..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso la Riscossione Sicilia S.p.A. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, artt. 3 3 e artt. 2953 e 2946 c.c..

il motivo è infondato, atteso che la definitività dell’accertamento relativo alla sussistenza dei crediti contributivi portati dalla cartella, per effetto della mancata opposizione alle medesime non è preclusiva dell’accertamento della prescrizione o di fatti comunque estintivi del credito, maturati successivamente alla notifica delle cartelle in oggetto, e coperta dall’azione generale prevista dall’art. 615 c.p.c. (tra le tante v., da ultimo, Cass. 29 gennaio 2019, n. 2428);

va, poi, va riaffermato il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione n. 23397 del 2016, seguita ex multis da Cass. 21704 del 2018, cui si intende dare continuità;

la sentenza appena citata ha affermato che soltanto un atto giurisdizionale può acquisire autorità ed efficacia di cosa giudicata e, che il giudicato, dal punto di vista processuale, spiega effetto in ogni altro giudizio tra le stesse parti per lo stesso rapporto e dal punto di vista sostanziale rende inoppugnabile il diritto in esso consacrato tanto in ordine ai soggetti ed alla prestazione dovuta quanto all’inesistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi del rapporto e del credito mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del “petitum” ovvero della “causa petendi” della originaria domanda (vedi, per tutte: Cass., 12 maggio 2003, n. 7272; Cass., 24 marzo 2006, n. 6628)”;

tale principio comporta che se nell’arco dei cinque anni dalla notifica della cartella non si procede alla riscossione coattiva o non viene notificato un atto interruttivo della prescrizione il credito si prescrive ed è strumento idoneo a far valere l’intervenuta prescrizione anche l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c. (in combinato disposto con l’art. 618-bis c.p.c., in materia di previdenza), che tende a contestare l’an dell’esecuzione e, come è noto, uno dei “vizi ” che giustificano il ricorso all’art. 615 c.p.c., è proprio l’intervenuta prescrizione del credito successiva alla formazione del titolo;

in particolare, l’eventuale decorrenza del termine per l’esperimento dell’azione di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, come precisato dalle SS.UU. citate, non rende incontrovertibile, come accade per i provvedimenti giurisdizionali non impugnati, la cartella esattoriale, ma preclude solamente la possibilità di contestare vizi di merito o di forma relativi al titolo e cioè alla cartella esattoriale, lasciando all’interessato la possibilità, ove vi siano i presupposti di esperire l’azione di opposizione all’esecuzione per far valere la prescrizione, che costituisce un vizio successivo alla formazione del titolo;

sempre le Sezioni Unite citate hanno affermato che la scadenza del termine pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato;

dunque, dovendo esaminarsi l’eccezione di prescrizione alla luce di tali principi la sentenza va sul punto confermata dovendo ritenersi operante il termine di prescrizione quinquennale anzichè quello decennale dedotto da parte ricorrente;

con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.:

il motivo non può trovare accoglimento;

va premesso, al riguardo, che il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Sul punto, da ultimo, Cass. n. 9064 del 12 aprile 2018);

d’altro canto, in tema di liquidazione delle spese giudiziali ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, la disciplina secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, “di regola”, quelli di cui alla allegata tabella A, la quale contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare “ulteriormente” il compenso in considerazione delle circostanze concrete, va intesa nel senso che l’esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla “forcella” di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (in questi termini, Cass. n. 12537 del 10 maggio 2019);

nel caso di specie perfettamente conforme ai principi della soccombenza deve ritenersi la liquidazione effettuata in secondo grado;

alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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