Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31144 del 29/12/2017


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 31144 Anno 2017
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

SENTENZA
sul ricorso 1923-2013 proposto da:
HOTEL

ERIKA

SRL

00529740219,

NESTL

JOSEF

NSTJSF48B27L564X, MAIR ERIKA NESTL
MRARKE52C52M067V, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
ARCIONE 71, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO DI
BRINA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ROSSLER GERNOT giusta procura a margine della seconda
pagina del ricorso;
– ricorrenti contro

KOFLER ELISABETH IN ENNEMOSER, elettivamente domiciliata
in MERANO, C.SO DELLA LIBERTA’ 184/A, presso lo studio
dell’avvocato ANDREA APRILE, che la rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 29/12/2017

- con troricorrente avverso la sentenza n. 105/2012 della CORTE D’APPELLO
SEZ.DIST. DI di BOLZANO, depositata il 07/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/09/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Micioni Giulio per delega dell’Avvocato Andrea Aprile per la
contro ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. Elisabeth Ennemoser Kofler, proprietaria della p.11a fondiaria
n. 1075, di cui una piccola area era stata data in locazione il
19 maggio 1983 ad Erika Nestl Mair, con atto notificato il 6
agosto 1991 convenne la Mair ed il marito di questa, Josef
Nestl, davanti al Pretore di Bolzano – sez. distaccata di Merano
e domandò la condanna di entrambi al rilascio della superficie
locata, che avevano continuato ad occupare senza titolo dopo
la disdetta del contratto comunicata alla conduttrice il 22
settembre 1989.
Si costituirono la Maìr ed il Nestl, ciascuno in proprio e nella
qualità di legale rappresentante della s.n.c. Hotel Erika & C., e,
contestata la scadenza del contratto di locazione, dedussero
l’acquisto nell’anno 1964 del diritto della Mair di transitare sulla
parte della p.1075 dì cui era stata domandata la restituzione e
chiesero, in via riconvenzionale, la costituzione sulla medesima
superficie di una servitù di passaggio in favore della p.11a
fondiaria n. 334, intavolata a nome della società e sulla quale
insisteva un albergo.

Ric. 2013 n. 01923 sez. 52 – ud. 22-09-2017 -2-

udito l’Avvocato Leonardo Di Brina per i ricorrenti e l’Avvocato

Il Pretore, senza pronunciarsi sulla domanda di restituzione
proposta dall’attrice, accolse la domanda di costituzione della
servitù di passaggio e determinò in L. 12.200.000 la relativa
indennità ma, a seguito di appello della Kofler, il Tribunale di
Bolzano rigettò la richiesta di costituzione della servitù dì

dell’attrice della parte da loro occupata della pila n. 1075,
rilevando che l’omessa pronuncia del Pretore sulla domanda di
restituzione dell’area locata era stata appellata, anche in
difetto di specifici motivi, mediante la riproposizione della
richiesta di rilascio nelle conclusioni dell’atto d’impugnazione.
Peraltro i convenuti non avevano alcun titolo per occupare la
superficie locata dopo la scadenza del relativo contratto, ed
inoltre la p.11a n. 334, intavolata alla società, non era
interclusa, ed i richiedenti non avevano provato che esigenze
dell’industria avessero imposto di conformare l’albergo su di
essa realizzato in modo tale da rendere necessaria la
costituzione di una servitù di passaggio sul fondo di proprietà
dell’attrice.
A seguito di ricorso degli appellati, questa Corte con la
sentenza n. 726/2005, riteneva fondato il secondo motivo del
ricorso, con il quale si deduceva la violazione degli artt. 342 e
346 c.p.c., ritenendosi che effettivamente fosse inammissibile
la domanda di condanna dei convenuti alla restituzione
dell’area occupata, in quanto, essendosene omessa la
pronuncia da parte del giudice di prime cure, era onere
dell’appellante dedurre con un motivo specifico di appello la
violazione dell’art. 112 c.p.c.
Disponeva pertanto la cassazione senza rinvio della sentenza
impugnata in parte qua.

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passaggio e condannò i convenuti al rilascio in favore

Quanto, invece, al terzo e quarto motivo di ricorso, con i quali
si dolevano del rigetto della domanda di costituzione coattiva
della servitù di passaggio, la Corte riteneva che non fosse
censurabile l’affermazione del giudice di prime cure circa il
fatto che la sola insufficienza od inidoneità dell’accesso non
realizzava le condizioni richieste dall’art. 1052, c.c., per la

costituzione coattiva della servitù di passaggio, potendo questa
essere concessa dall’autorità giudiziaria soltanto in caso di
rispondenza della domanda alle esigenze dell’agricoltura o
dell’industria.
In tal senso l’affermazione secondo cui il sacrificio del terzo
avrebbe potuto essere giustificato soltanto se la necessità di un
altro accesso fosse derivata dalla scelta di modalità costruttive
della struttura rispondente ad obiettive esigenze dell’industria
alberghiera, e non anche se conseguente ad una scelta
puramente discrezionale dei costruttori (laddove la società non
aveva fornito la prova della rispondenza delle modalità della
costruzione a tali esigenze oggettive, emergendo anzi la prova
che nulla ostava, dal punto di vista dello sfruttamento a uso
alberghiero del terreno, alla costruzione dell’edificio in modo
diverso, e cioè con la facciata e l’ingresso principale rivolti
verso la strada interpoderale, che, essendo larga quasi cinque
metri, poteva costituire un comodo accesso), era corretta,
posto che le esigenze dell’industria alberghiera, non possono
risolversi, come invece prospettato dai ricorrenti, in quelle di
un singolo albergo (cfr.: Cass. civ„ sez. II, sent. 22 novembre
2000, n. 15110), apparendo evidente che le medesime devono
derivare da una situazione oggettiva, anche se conseguente
all’esercizio di un diritto, quale quello della libertà di iniziativa
economica, e non frutto di una condotta arbitraria di colui che
richiede la costituzione della servitù.

Ric. 2013 n. 01923 sez. 52 – ud. 22-09-2017 -4-

v

Inoltre l’osservazione, secondo la quale dalla c.t.u. appariva
certo che lo sfruttamento ad uso alberghiero del terreno
sarebbe potuto avvenire anche realizzando l’ingresso principale
della struttura verso la strada interpoderale, costituiva una
valutazione discrezionale rimessa esclusivamente al giudice di

La Kofler con citazione del 4 dicembre 2006 conveniva
nuovamente in giudizio i coniugi Nestl e la società dinanzi al
Tribunale di Bolzano – sezione distaccata di Merano, ed
esponendo le precedenti vicende giudiziarie, ed evidenziava
che, essendo stata cassata senza rinvio la sentenza che aveva
disposto la restituzione del fondo in suo favore, aveva
interesse alla condanna dei convenuti alla restituzione del bene
di sua proprietà.
I convenuti si costituivano in giudizio e chiedevano
nuovamente in via riconvenzionale la costituzione della servitù
coattiva di passaggio, assumendo che non poteva opporsi
alcuna preclusione per effetto del precedente giudicato, atteso
che, in epoca successiva al 1991, data di instaurazione del
precedente giudizio, era radicalmente mutata la situazione sia
in fatto che in diritto, occorrendo altresì puntualizzare che la
domanda era mirata non alla p.11a 334 nella sua interezza, ma
alla sola sua p.m. 3.
Il Tribunale con la sentenza n. 92/2010 dichiarava
inammissibile la domanda di costituzione della servitù, ed
ordinava ai convenuti di astenersi da ogni ulteriore turbativa,
ed in particolare dal transitare sulla particella 1075 o farvi
transitare altre persone, quali ospiti, fornitori o dipendenti
dell’azienda alberghiera.

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merito.

A seguito di appello dei convenuti, la Corte d’Appello di Trento
– Sezione distaccata di Bolzano, con la sentenza n. 105 del 7
luglio 2012 rigettava il gravame.
Quanto alla declaratoria d’inammissibilità della domanda di
costituzione coattiva della servitù di passaggio rilevava che i

diritto azionato in via riconvenzionale, avrebbero potuto essere
dedotti, anche in ragione dell’applicabilità a quel processo delle
norme processuali anteriori alla modifica di cui alla legge n.
353/1990, sino all’udienza di precisazione delle conclusioni in
appello, celebratasi in data 14/03/2001, con la conseguenza
che la valutazione della Suprema Corte circa l’inidoneità dei
fatti addotti a giustificare la creazione di una servitù coattiva
copriva i fatti deducibili sino a tale ultima data.
Era quindi onere degli appellanti indicare specificamente quali
fossero i fatti sopravvenuti a tale data posti a fondamento della
reiterazione della domanda riconvenzionale, individuando
quindi le nuove esigenze dell’industria alberghiera, diverse da
quelle già addotte, ed in particolare dalla mancanza di un
accesso sufficiente (ritenuta inidonea sul rilievo che quello dalla
strada interpoderale sarebbe stato tale, se l’ingresso principale
fosse stato ivi dislocato, anzichè sul lato opposto).
Le circostanze indicate nel nuovo giudizio erano, secondo i
giudici di appello, in larga parte preesistenti al 2001, e per il
resto non tali da determinare una situazione sostanzialmente
diversa da quella già in essere nel 2001.
In particolare non risultava indicato quando l’albergo avesse
ottenuto il reinquadramento da pensione a tre stelle ad albergo
a quattro stelle, posto che l’acquisizione della classificazione
“quattro stelle superior” avvenuta nel 2006, era certo meno

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fatti sopravvenuti idonei a legittimare il riconoscimento del

rilevante di quella che aveva consentito di ottenere le quattro
stelle.
Non emergeva che fossero insorte esigenze radicalmente
nuove, anche per quanto concerneva l’accesso di eventuali
mezzi di soccorso, trattandosi di elementi già deducibili in

Quanto all’aumento del traffico sulla via comunale a nord,
rilevava la sentenza gravata che si trattava di problematica
non direttamente attinente ai bisogni del fondo, sicchè andava
confermata la preclusione derivante dal precedente giudicato, a
nulla valendo la precisazione che la richiesta era ora limitata
alla sola area cortilizia e parcheggio, e cioè alla p.m. 3 della più
ampia p.11a 334, atteso che si trattava di una mera riduzione
del petitum originario.
Quanto al secondo motivo, con il quale si contestava la corretta
applicazione dell’art. 949 c.c., posto che i convenuti non
avevano in alcun modo affermato di essere titolari di un diritto
di servitù, riconoscendo solo la possibilità che il diritto potesse
essere costituito con provvedimento del giudice, la Corte
distrettuale, in primo luogo, evidenziava che gli appellanti,
anche dopo la sentenza della Suprema Corte, avevano tentato
di ottenere l’intavolazione del diritto di servitù, sostenendo
erroneamente che la decisione della Corte di cassazione
avrebbe fatto rivivere la prima decisione del Pretore.
Ancorchè il decreto tavolare sia atto privo di efficacia di
giudicato, trattandosi di atto inserito in un procedimento
amministrativo, tuttavia la condotta dei convenuti si palesava
alla stregua di una turbativa del diritto della Kofler che
legittimava il ricorso alla norma di cui all’art. 949 c.c..
Inoltre, la domanda attorea poteva essere qualificata anche
come mera domanda di rilascio di un bene occupato sine titulo,

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epoca anteriore al 2001.

attesa la non vincolatività del richiamo in citazione alla
previsione di cui all’art. 949 c.c.
La richiesta de qua poi non era preclusa dal precedente
giudicato posto che la sentenza della Corte n. 726/2005 non
aveva adottato alcuna pronuncia di merito sul punto, essendosi

statuizione che aveva omesso di pronunciare in primo grado,
così che la richiesta de qua era rimasta del tutto
impregiudicata, consentendone quindi la piena riproponibilità.
Inoltre, risultava evidente l’interesse dell’attrice a richiedere la
restituzione del bene, atteso che l’area de qua era stata
asfaltata dai convenuti, ed utilizzata esclusivamente come
accesso all’albergo, sicchè la sottrazione del godimento del
bene denotava in maniera evidente l’interesse dell’attrice alla
coltivazione della domanda.
2. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
l’Hotel Erika S.r.l., Mair Erika Nestl e Josef Nestl sulla base di
tre motivi.
Kofler Ennemoser Elisabeth ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
3. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 949 e 1032 c.c., dell’art. 100
c.p.c. e dei principi in materia di interpretazione della
domanda, nonché l’omessa, insufficiente e contradditoria
motivazione della sentenza, nella parte in cui la Corte d’Appello
ha ritenuto che la domanda proposta quale actio negatoria
servitutis fosse suscettibile di accoglimento anche in assenza di
una contestazione di diritto da parte dei convenuti.
Questi, infatti, non si affermavano più titolari di un diritto di
servitù, ma ne chiedevano la costituzione in via coattiva, sicchè
la dedotta turbativa non si sostanziava in una pretesa di diritto

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limitata a rilevare l’inammissibilità dell’appello avverso la

sulla cosa, escludendosi quindi la legittimità del ricorso
all’azione di cui all’art. 949 c.c.
Inoltre la sentenza ha errato nell’identificare l’azione inibitoria
conseguente all’accoglimento dell’actio negatoria, in un’azione
di rilascio del bene fornendo un’erronea interpretazione della

Il motivo è infondato.
Ed, invero, pur condividendosi il principio richiamato da parte
ricorrente secondo cui l’azione di cui all’art. 949 c.c. non è
esercitabile laddove la turbativa non si sostanzi in una pretesa
di diritto sulla cosa (cfr. ex multis Cass. n. 3389/2009), è pur
vero che la norma presuppone che il proprietario abbia motivo
di temere che le iniziative altrui (i diritti affermati o le turbative
e le molestie) possano recargli un pregiudizio (cfr. Cass. n.
16631/2013).
Orbene, e tornando alla vicenda in esame, deve in primo luogo
evidenziarsi l’assoluta genericità del motivo nella parte in cui
censura l’interpretazione della domanda come operata da parte
del giudice di merito, in quanto, pur richiamando la costante
giurisprudenza di legittimità che ribadisce come l’attività
ermeneutica de qua sia discrezionale e riservata al giudice di
merito, sindacabile solo nel caso di motivazione incongrua o
inadeguata, i ricorrenti assumono apoditticamente che la
sentenza di appello abbia male inquadrato la domanda nella
previsione di cui all’art. 949 c.c..
Ed, infatti, sebbene la sentenza impugnata in motivazione
abbia dato conto del richiamo fatto in citazione alla previsione
normativa, i ricorrenti non si avvedono che in realtà i giudici di
appello, dopo avere a pag. 32 evidenziato che il tentativo di
intavolazione della sentenza del Pretore del 1994, sicuramente
travolta dalla decisione del Tribunale, poi confermata in sede di

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domanda.

legittimità, si poneva alla stregua di una turbativa del diritto di
proprietà dell’attrice, tale da giustificare il ricorso all’actio
negatoria, hanno in realtà ritenuto che la domanda poteva
esser agevolmente qualificata anche come domanda di mero
rilascio del bene, rivolta nei confronti degli occupanti sine

difensive, rispetto al mero richiamo alla norma da parte
dell’attrice.
La sentenza appare quindi presentare sul punto una duplice
ratio decidendi, e precisamente con la prima si sostiene che la
condotta dei convenuti manifestatasi nella richiesta di
intavolazione di una sentenza non più efficace, era idonea a
concretare una turbativa fondata sulla pretesa esistenza di un
diritto, anche a fronte di un formale riconoscimento in sede
giudiziale dell’insussistenza di un attuale diritto di servitù.
Trattasi di conclusione che appare del tutto condivisibile e che
si pone in continuità con i precedenti di questa Corte secondo
cui (cfr. Cass. n. 3389/2009) non è precluso a colui che abbia
ottenuto, con sentenza passata in giudicato, declaratoria di
inesistenza sul suo fondo di una servitù di passaggio, di agire
in giudizio per far cessare il comportamento del proprietario
dell’altrui fondo che ne abbia continuato l’esercizio nonostante
il giudicato sfavorevole (conf. Cass. n. 5436/1988), situazione
che appunto si è presentata nel caso in esame.
Peraltro, sempre nell’ottica dell’avvenuta qualificazione della
domanda quale actio negatoria servitutis, non va trascurato
che (cfr. Cass. n. 27564/2014) l’azione de qua può essere
diretta sia all’accertamento dell’inesistenza di diritti vantati da
terzi sia alla cessazione di turbative o molestie e, in tale ultima
ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la
realizzazione di un’opera, può anche determinare la condanna

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titulo, dandosi quindi prevalenza al contenuto delle allegazioni

alla trasformazione o demolizione dell’opera stessa, ben
potendosi quindi ipotizzare, in presenza di una turbativa che si
connoti come persistente esercizio del passaggio sul fondo, una
condanna alla cessazione di tale condotta, cui può apparire
funzionale il ripristino del pieno godimento del bene a favore

avendo il Tribunale, con la sentenza confermata dalla
pronuncia in questa sede gravata, limitato la condanna dei
convenuti ad astenersi dal transitare o dal fare transitare altre
persone.
Ma la seconda ratio, che non risulta però essere stata colta dai
ricorrenti, è quella secondo cui (cfr. pag. 33 della sentenza
gravata) la domanda proposta sarebbe agevolmente
qualificabile come domanda tesa semplicemente al rilascio del
bene in quanto utilizzato sine titulo, e cioè proprio quella
domanda che a detta degli stessi ricorrenti avrebbe legittimato
la possibilità di ottenere la restituzione dell’area.
Ed è proprio verso tale qualificazione che peraltro sembrano
propendere i giudici di appello, laddove evidenziano (questione
che sarà oggetto anche del successivo motivo di ricorso) che si
tratta di domanda non preclusa dal giudicato rappresentato
dalla precedente sentenza di questa Corte.
Risulta quindi erronea l’affermazione contenuta nel motivo in
esame secondo cui i giudici di appello avrebbero
inopinatamente ritenuto che la domanda di cui all’art. 949 c.c.
fosse stata identificata con un’azione di rilascio del bene,
essendo a questi invece ben chiara la differenza, ed essendosi,
infatti, sostenuto che la condanna alla restituzione dell’area era
conseguenza dell’accoglimento di una autonoma domanda di
rilascio, ben suscettibile di essere proposta ex novo in assenza
di un giudicato sostanziale sul punto.

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del proprietario, come appunto accaduto nel caso in esame,

4. Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1168 e ss. e 2909 c.c., nonché
l’omessa, insufficiente e contradditoria motivazione.
Si sostiene che erroneamente è stata accolta la richiesta di
restituzione, quale effetto dell’azione inibitoria di cui al secondo

rilascio del bene era stata rigettata dalla sentenza di questa
Corte n. 726/2005.
Tale sentenza rivestirebbe anche efficacia di giudicato
essendosi accertato che l’area in questione era stata data in
locazione dalla Kofler.
Anche tale motivo è destituito di fondamento.
A tal fine va ribadito quanto esposto in occasione della
disamina del primo motivo, in punto di qualificazione della
domanda proposta, come operata dai giudici di appello.
Inoltre, appare incensurabile, proprio alla luce della
ricostruzione dei precedenti fatti di causa, come compiuta
anche nella presente sentenza, l’affermazione che sulla
domanda di rilascio del bene non si sia formato un giudicato
sostanziale, avendo correttamente i giudici di appello rilevato
che, per effetto dell’accoglimento del secondo motivo del
ricorso principale, la sentenza n. 726/2005 aveva cassato
senza rinvio la sentenza di appello che si era pronunciata in
senso favorevole all’attrice, disponendo il rilascio del bene,
laddove il Pretore aveva omesso di pronunciarsi.
La cassazione della sentenza per motivi di natura
evidentemente processuale ha fatto sì che sia stata caducata la
sentenza di appello che aveva accolto la domanda de qua, e
che per l’effetto all’esito di quel giudizio non sia stata emessa
alcuna statuizione sul fondo della stessa, il che non impediva,

Ric. 2013 n. 01923 sez. 52 – ud. 22-09-2017 -12-

comma dell’art. 949 c.c., trascurando che la domanda di

proprio per l’assenza di un giudicato sostanziale, la sua
riproponibilità in questa sede.
Quanto al preteso accertamento circa la permanente efficacia
dell’originario contratto di locazione, che varrebbe come
giudicato tra le parti, vale rilevare che quanto riportato alle

giudici di legittimità, ma la sola trascrizione della narrazione in
fatto di cui alla precedente sentenza di questa Corte, la quale
proprio per non avere adottato alcuna statuizione sul punto,
non ha in alcun modo esaminato la vicenda in parte qua.
Per l’effetto, e quindi nella prospettiva dell’avvenuta
proposizione di una domanda di rilascio, deve reputarsi che il
suo accoglimento da parte dei giudici di appello abbia
implicato, quanto meno in via implicita, la verifica circa la
carenza di un valido titolo in capo ai ricorrenti per conservare
la detenzione del fondo (avendo l’attrice dato disdetta dal
contratto sin dal lontano 1989), e senza che possa farsi
richiamo ad un inesistente giudicato in ordine alla legittimità
del titolo.
5. Il terzo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1052 e 2909 c.c., nonché l’omessa o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia, e precisamente per quanto concerne la mancata
ammissione della CTU e della prova testimoniale, formulata
nella memoria di cui al secondo comma dell’art. 183 c.p.c. del
27 luglio 2007 e riproposta nell’atto di appello.
Quanto alla denunziata violazione dell’art. 1052 c.c. si deduce
che gli appellanti avevano segnalato come la valutazione dei
bisogni sopravvenuti del fondo dovesse essere complessiva,
dovendosi quindi dare seguito alla richiesta di mezzi istruttori.
Anche tale motivo non merita seguito.

Ric. 2013 n. 01923 sez. 52 – ud. 22-09-2017 -13-

pagg. 24 e 25 del ricorso non è l’accertamento compiuto dai

La pronuncia oggi gravata, come evidenziato nella esposizione
in fatto della presente sentenza, lungi dal procedere ad una
disamina nel merito dei presupposti per l’accoglimento della
domanda ex art. 1052 c.c., ha ritenuto che la stessa fosse
inammissibile in quanto preclusa dal precedente giudicato di

dai ricorrenti ben potevano essere dedotti già nel corso del
precedente giudizio, e quanto meno fino alla data dell’udienza
di precisazione delle conclusioni in appello, aggiungendo che
quelli che la parte adduceva come fatti giustificativi della
domanda erano in realtà fatti preesistenti a quella data, o
comunque sviluppi prevedibili di quelli già manifestatisi in
epoca anteriore.
Orbene, premesso che i ricorrenti non censurano l’affermazione
in punto di diritto circa la preclusione scaturente dal
precedente giudicato in ordine all’allegazione in questa sede di
fatti che già potevano in precedenza essere dedotti, con la
conseguenza che l’affermazione de qua è ormai coperta dal
giudicato, la sentenza impugnata con ampia ed approfondita
motivazione, esente come tale da possibili censure di carattere
motivazionale, ha ritenuto che le circostanze per le quali era
richiesta la prova attenevano a fatti già preesistenti al 2001, e
comunque non erano tali da determinare una significativa
immutazione del quadro fattuale, analizzando in particolare con
logicità e coerenza la circostanza concernente l’acquisto di una
classificazione superiore da parte dell’albergo (ritenendo che il
passaggio da quattro stelle a quattro stelle superior era
decisamente meno rilevante, ed inidoneo ad incidere sul
giudizio de quo, rispetto al passaggio da pensione ad albergo a
quattro stelle, di cui nemmeno era allegata la data), ovvero

Ric. 2013 n. 01923 sez. 52 – ud. 22-09-2017 -14-

cui alla sentenza n. 726/2005, assumendo che i fatti addotti

alla dedotta sopravvenienza di normative in materia di
sicurezza e protezione.
La doglianza dei ricorrenti si traduce pertanto, ed in maniera
evidente, in una censura di merito, la cui infondatezza dà
altresì contezza della insindacabilità in ordine alla decisione di

ricorrente, essendosi infatti ritenuto che il complessivo
articolato probatorio non avrebbe in ogni caso potuto condurre
alla dimostrazione di fatti che non erano già suscettibili di
essere allegati nel corso del precedente giudizio.
Il richiamo alla valutazione discrezionale delle istanze
istruttorie ed al corretto esercizio dello stesso in tema di prove
testimoniali, consente anche di disattendere la doglianza in
punto di mancata ammissione della CTU, la quale, in assenza
di altri elementi di prova circa il sopravvenire di fatti idonei ad
influire sull’accoglimento della domanda al 2001, avrebbe
avuto evidentemente carattere esplorativo.
A tali considerazioni che appaiono già in grado di giustificare il
rigetto del motivo, va altresì aggiunto che, come si evince dalla
stessa formulazione del motivo, la prova testimoniale era stata
richiesta da parte convenuta nella memoria di cui al secondo
comma dell’art. 183 co. 6 c.p.c., e che, nonostante tali prove
non fossero state ammesse dal Tribunale, erano state reiterate
con un motivo di appello.
Ed, invero va ricordato che secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte (cfr. Cass. n. 16866/2016) le istanze istruttorie
non accolte in primo grado e reiterate con l’atto di appello, ove
non siano state riproposte in sede di precisazione delle
conclusioni, sia in primo grado che nel giudizio di gravame,
devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni indagine
sulla volontà della parte interessata, così da esonerare il

Ric. 2013 n. 01923 sez. 52 – ud. 22-09-2017 -15-

non dare corso alle richieste istruttorie avanzate da parte

giudice del gravame dalla valutazione sulla relativa ammissione
o dalla motivazione in ordine alla loro mancata ammissione (
conf. Cass. n. 16290/2016).
Ne consegue che ai fini della stessa ammissibilità delle richieste
istruttorie in grado di appello, i ricorrenti avrebbero dovuto

disattesi in sede di valutazione dei mezzi di prova dal
Tribunale, erano stati richiesti nuovamente in sede di
conclusioni in primo grado, sicchè l’assenza di specificità del
motivo in parte qua, conforta la conclusione in punto di non
meritevolezza di accoglimento del motivo.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano

come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra
loro, al rimborso delle spese che liquida in complessivi C
5.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari
al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^
Sezione ,Civile, in data 22 settembre 2017.

altresì specificare se i mezzi istruttori articolati, una volta

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