Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31144 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 03/12/2018), n.31144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18300-2017 proposto da:

N.F., nella qualità di erede di M.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVALLOTTI 60, presso il

proprio studio, rappresentato e difeso dall’avvocato MUSTO

PELLEGRINO;

– ricorrente –

contro

L.G., L.M., L.S., in proprio e

nella qualità di eredi di D.F.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio

dell’avvocato APRILE GIUSEPPE, rappresentati e difesi dagli avvocati

PIZZOLLA PROSPERO, GIORDANO ANNA MARIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1969/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. GRASSO GIUSEPPE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, rigettato l’appello di M.A., confermò la sentenza di primo grado, che aveva disatteso la domanda dell’appellante avanzata nei confronti di D.F.I., L.G., S., M. e F. (la causa verrà riassunta dopo la dichiarazione di morte di quest’ultimo), con la quale era stata chiesta la condanna della controparte a rimuovere la condotta d’immissione delle acque luride nella fogna di sua proprietà;

che avverso la statuizione d’appello N.F., avente causa dalla madre, M.A., nelle more deceduta, propone ricorso per cassazione corredato da unitaria censura, ulteriormente illustrata da memoria;

che resistono con controricorso G., S. e L.M.; considerato che il ricorso deve rigettarsi sulla scorta delle considerazioni di cui appresso:

il motivo, con il quale si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2733 c.c., artt. 115,228 e 229 c.p.c., lamentando che la sentenza gravata aveva violato le regole sull’onere della prova, sulla confessione e sul principio di non contestazione, contrasta con l’interpretazione consolidata di legittimità in quanto:

a) costituisce oramai ius receptum il condiviso approdo secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299); con l’ulteriore ricaduta che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato da D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Sez. 3, n. 23940, 12/10/2017, Rv. 645828);

b) in disparte, solo per completezza argomentativa, deve escludersi che dalla espressione, tratta dall’atto di costituzione in giudizio dei convenuti, riportata alle pagg. 4 e 5 del ricorso, possa trarsi la dichiarazione confessoria invocata, avendo costoro spiegato di avere realizzato “d’accordo con i coniugi N. e M. (nel 1970) il tratto fognario che dalle rispettive proprietà si immettono (immette) nella via pubblica e poi nella fogna pubblica” e di essersi limitati, nell’anno 2009, procedendo a ripavimentare il piazzale antistante la loro proprietà, a sostituire le vecchie tubature in eternit, attraversanti il predetto piazzale;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per compensi, in Euro 1.500,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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