Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31143 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 03/12/2018), n.31143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel.Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17063-2017 proposto da:

M.C., M.M.M., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA DELLA MEMORIA 52, presso lo studio dell’avvocato IMPROTA

VINCENZO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

IMPROTA GENNARO;

– ricorrenti –

contro

D.L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SENATORE CIRO, CAPUANO RITA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 03/05/2017.

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/06/2018 dal Consigliere Dott. GRASSO GIUSEPPE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Salerno, per quel che è qui ancora di utilità, rigettò l’appello proposto da M.M.M. e M.C. nei confronti di D.L.L., confermando la sentenza di primo grado, la quale aveva condannato le appellanti, la cui domanda riconvenzionale di declaratoria d’usucapione era stata disattesa, al rilascio di un compendio immobiliare in favore della appellata;

che avverso la statuizione d’appello le M. avanzano ricorso basato su duplice censura, ulteriormente illustrata da memoria;

che la D.L. resiste con controricorso;

considerato che il ricorso deve essere rigettato sulla scorta delle considerazioni di cui appresso:

con l’osmotico complesso censuratorio le ricorrenti denunziano violazione degli artt. 1140,1141,1158,1164 e 2697, c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendosi che la Corte locale aveva errato nell’aver escluso la sussistenza dell’interversione del possesso, la cui prova, invece, “emergeva ex re ipsa”, costituendo circostanza pacifica il fatto che, a fronte della richiesta scritta di rilascio, per essere il comodato scaduto con la morte di M.L., inoltrata dalla precedente proprietaria, con raccomandata del 10/11/1983, le odierne ricorrenti si erano rifiutate di restituire gli immobili, essendosi così avverata la condizione di cui all’art. 1164 c.c.; ne erano rimasti, inoltre, violati gli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 2697 c.c., poichè la sentenza aveva disatteso “il principio secondo cui è onere di colui che contesta il potere di fatto manifestato mediante attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, dare la prova contraria alla presunzione di possesso”;

per contro deve rilevarsi che a) la doglianza si appalesa irriducibilmente aspecifica e indeterminata, non essendo dato sapere da dove le ricorrenti traggano l’assetto secondo il quale non era controverso, perchè pacifico, che le detentrici, rifiutando la riconsegna degli immobili, avevano manifestato alla proprietaria atto di interversione ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2; una tale circostanza non risulta essere stata presa in esame dalla sentenza impugnata e non trova conforto in atti processuali precipuamente allegati al ricorso, senza contare che, in assenza di una puntuale ricognizione del dedotto non può allo stesso assegnarsi l’univoco significato di atto d’interversione, potendo l’opposizione alla pretesa restitutoria non contrastare il titolo del titolare del diritto di proprietà, trovando scaturigine nel rapporto detentivo; b) nel resto vengono mossi rilievi all’apprezzamento probatorio, di esclusivo dominio del giudice del merito e non censurabile in questa sede; difatti, la evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio; di talchè, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile;

considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore della controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte delle ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento, in favore della resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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