Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3114 del 12/02/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 3114 Anno 2014
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –

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contro
PRODIS s.r.l. (ora GDA s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso d’Italia n. 19, presso
l’avv. Fabrizio Cuppone, rappresentata e difesa dall’avv. Raffaele Lebotti,
giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata
n. 66/02/07, depositata il 18 settembre 2007.

Data pubblicazione: 12/02/2014

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 ottobre
2013 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
uditi l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per la ricorrente e l’avv.
Raffaele Lebotti per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Tommaso
Basile, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto

due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Basilicata indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello
della PRODIS s.r.1., è stato annullato l’avviso di recupero del credito
d’imposta previsto dall’art. 8 della legge n. 388 del 2000, emesso nei
confronti della contribuente a seguito del rilievo che la società aveva
concesso in locazione, attraverso contratti di affitto di ramo d’azienda,
alcuni punti vendita nelle province di Potenza e Salerno.
Il giudice d’appello, per quanto qui ancora rileva, ha osservato che nel
caso di specie si è in presenza di un tipico contratto di affitto di azienda o di
ramo di azienda, integrato da accordi di franchising, per cui le condizioni
stabilite (l’uso congiunto degli stessi simboli distintivi e della medesima
disposizione, la predisposizione in tutti i punti vendita di un arredamento
pressoché uniforme e conforme a quello della concedente, l’adozione di un
rigido programma comune) pongono in essere un legame molto intenso tra
impresa concedente e impresa conduttrice, che ingenera nei consumatori la
convinzione di acquistare sempre dallo stesso soggetto e consente di
affermare che lo stesso punto di vendita sia contemporaneamente
strumentale all’attività dei due soggetti.
2. La contribuente resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 8
della legge n. 388 del 2000, osservando che la cessione a terzi, a qualunque
titolo, dei beni agevolati costituisce causa di decadenza dall’agevolazione, la
quale spetta soltanto all’impresa che acquisti beni funzionali allo
svolgimento dell’attività imprenditoriale e li utilizzi durevolmente per tale
scopo.
Formula, in conclusione, il quesito di diritto se l’agevolazione in esame
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1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di

”spetti esclusivamente alle imprese che attuino investimenti nuovi, ossia che
acquistino beni strumentali nuovi (…) e che usino tali beni, durevolmente,
per lo svolgimento dell’attività d’impresa”, e se, dunque, “non è consentito
in alcun modo a terzi, anche in virtù di negozi atipici, di utilizzare
direttamente o indirettamente i predetti beni”.
Il motivo è infondato.
Deve, infatti, ritenersi che la concessione a terzi, mediante contratto di

cui acquisto il concedente ha diritto al credito d’imposta ai sensi dell’art. 8
della legge 23 dicembre 2000 n. 388 – al fine dello svolgimento della
medesima attività d’impresa, non determina la decadenza dall’agevolazione,
in quanto non rientra, di per sé, in nessuna delle ipotesi previste dalla norma
antielusiva – la cui ratio è quella di evitare l’immissione temporanea dei
beni nell’impresa al solo fine di fruire dell’agevolazione – contenuta nel
comma 7 del predetto art. 8, che prevede il recupero del credito, per quanto
qui interessa, “se entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello nel
quale sono entrati in funzione i beni sono dismessi, ceduti a terzi, destinati a
finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero destinati a strutture
produttive diverse da quelle che hanno dato diritto all’agevolazione”
(peraltro, va per completezza ricordato che l’art. 7, comma 1 bis, del d.l. n.
203 del 2005, convertito nella legge n. 248 del 2005, ha stabilito che la
norma citata “si interpreta nel senso che gli immobili strumentali per natura,
ai sensi dell’articolo 43, comma 2, secondo periodo, del testo unico delle
imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, i quali costituiscono un complesso immobiliare
unitario polifunzionale destinato allo svolgimento di attività commerciale,
qualora siano locati a terzi, non si intendono destinati a struttura produttiva
diversa, a condizione che gli stessi vengano destinati allo svolgimento di
attività d’impresa ai sensi dell’articolo 55 del citato testo unico”).
La conclusione sopra esposta va a fortiori confermata allorché, come
avvenuto nella fattispecie, secondo l’accertamento di fatto compiuto dal
giudice di merito e non contestato in questa sede, sia stato stipulato tra
l’impresa concedente e l’impresa affittuaria un contratto di franchising, o
affiliazione commerciale, con clausole tali da configurare un collegamento
esplicito e diretto tra l’affiliante e l’affiliata, fra le quali, quindi, pur
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affitto di azienda o di ramo di azienda, del diritto di utilizzare beni – per il

SENTI: DA 7r; ‘STRAZIONE
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LL.
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MArERIA TRIBUTARIA

restando soggetti giuridicamente ed economicamente autonomi, si sia di
fatto configurato un forte rapporto di identificazione.
2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciata l’insufficienza
della motivazione su fatto decisivo, è inammissibile, poiché non si
contestano accertamenti di fatto, ma si ripropone, sotto il profilo del vizio
motivazionale, la censura concernente l’interpretazione e l’applicazione
dell’art. 8 della legge n. 388 del 2000, e ciò è appunto inammissibile,

diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza alcuna motivazione o con una
motivazione insufficiente, illogica o contraddittoria, la Corte di cassazione,
nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384, secondo comma,
cod. proc. civ., deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la
motivazione della sentenza impugnata.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
4. La peculiarità della fattispecie induce a disporre la compensazione
delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma il 29 ottobre 2013.

poiché, ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di

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