Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31132 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 28/11/2019), n.31132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22420-2014 proposto da:

MINISTERO DEI BENI & ATTIVITA’ CULTURALI & TURISMO, in

persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

G.E., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SALERNI,

rappresentati e difesi dall’avvocato CESARE PUCCI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 396/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 08/07/2014 R.G.N. 1057/2013.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza dell’8 luglio 2014, la Corte d’Appello di Firenze confermava la decisione resa dal Tribunale di Firenze ed accoglieva la domanda proposta da G.E. ed altri 16 ricorrenti nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza speciale per il patrimonio artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di (OMISSIS), accertando la dequalificazione degli originari ricorrenti, assunti quali assistenti tecnici museali e adibiti a mansioni non congrue rispetto al livello di inquadramento cui faceva riferimento il bando di concorso, e quantificando il risarcimento del danno genericamente con riferimento alla misura del 25% della retribuzione percepita da ciascuno dei ricorrenti dall’assunzione sino al deposito dei ricorsi;

che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto essere il livello B3, cui faceva riferimento il bando di concorso, connotato da contenuti professionali eccedenti i compiti di custodia e vigilanza propri del livello B1 e tali da porsi come qualificanti l’attività degli addetti, con specifico riferimento a quelli attinenti all’accoglienza ed informazione, anche in lingua straniera, dell’utenza, essere risultata accertata in sede istruttoria, dovendo ritenersi ammissibili, per difetto di un interesse giuridico concreto ed attuale alla soluzione della controversia in senso favorevole agli originari ricorrenti, le dichiarazioni in tal senso dei colleghi, l’adibizione di questi alle sole mansioni di custodia e vigilanza, inconfigurabile la prescrizione trattandosi di somme rivendicate a titolo risarcitorio, puntualmente allegato e provato il danno e congrua la commisurazione dello stesso al 25% della retribuzione percepita; che per la cassazione di tale decisione ricorre il solo MIBAC, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resistono, con controricorso, tutti gli originari ricorrenti.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il Ministero ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 1998, art. 22, comma 5, dell’art. 7 del bando di concorso del CCNL del comparto Ministeri relativo al quadriennio 1998/2001 ed al biennio economico 1998/1999 e dell’art. 2103 c.c., imputa alla Corte territoriale una errata interpretazione della norma del bando intesa a specificare il contenuto delle mansioni richieste ai candidati e della disciplina di legge e di contratto collettivo relativa ai contenuti professionali propri dei livelli di inquadramento B1 e B3 su cui la norma del bando si basava;

che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., il Ministero ricorrente lamenta la non conformità a diritto della decisione della Corte territoriale di rigetto dell’eccezione sollevata dal Ministero ricorrente circa l’incapacità a testimoniare dei testi indotti dai ricorrenti che svolgevano le loro stesse mansioni, ritenuti portatori di un interesse personale, concreto ed attuale, legittimante la loro posizione di attori o intervenienti in giudizio;

che nel terzo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. è prospettata in relazione all’incongruità dell’iter logico valutativo in base al quale la Corte territoriale ha ritenuto provato il danno da demansionamento;

che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 si deduce l’illegittimità dell’ordine recato dalla sentenza di prime cure e non smentito dal giudice del gravame di assegnare i ricorrenti a mansioni adeguate a quelle del livello di inquadramento posseduto, risolvendosi esso in una indebita ingerenza del potere giudiziario nella competenza organizzativa della potestà pubblica riservata agli organi della P.A.;

che il primo motivo deve ritenersi inammissibile, essendo volto a censurare l’interpretazione della disciplina in materia di inquadramento del personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali quale dettata dalla contrattazione collettiva integrativa, che in questa sede, differentemente dalla contrattazione collettiva nazionale, non è censurabile in via diretta, come viceversa procede il Ministero ricorrente nel dedurre il vizio di violazione e falsa applicazione della disciplina contrattuale in questione, ma solo indirettamente con riferimento alla violazione e falsa applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.;

che parimenti inammissibile si appalesa il secondo motivo atteso che il Ministero non riporta nel proprio ricorso le dichiarazioni testimoniali che assume inammissibili in quanto rese da soggetti privi della relativa capacità ex art. 246 c.p.c. non consentendo a questa Corte di valutarne la decisività;

che inammissibile si rivela anche il terzo motivo atteso che la prova del danno da demansionamento è dedotta in via presuntiva sulla base delle ampie allegazioni recate dal ricorso in ordine al pregiudizio conseguente all’impiego in mansioni non coerenti con il livello di inquadramento spettante sotto il profilo dell’impoverimento della professionalità tenuto conto della consistente durata dell’illegittima adibizione (quasi un decennio) e della perdita di chance;

che ancora inammissibile deve ritenersi il quarto motivo per essere del tutto inconferente il rilievo relativo all’interferenza con la potestà organizzativa della P.A. della statuizione in ordine al diritto degli originari ricorrenti ad essere adibiti a mansioni coerenti con il proprio livello di inquadramento, non limitando quella statuizione in alcun modo le opportunità di impiego legittimo dei lavoratori;

che, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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