Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31122 del 28/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 28/11/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 28/11/2019), n.31122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10290-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COOP LOMBARDIA SCC, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G.

MAZZINI 9-11, presso lo studio dell’avvocato LIVIA SALVINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE DE GIROLAMO;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza 5373/2014 della COMM. TRIB. REG. della Lombardia,

depositata il 16/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI DI PAOLA.

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata è stata confermata la sentenza di primo grado con cui era stata accolta l’impugnativa proposta dalla Cooperativa avverso il silenzio diniego tenuto dall’Amministrazione fiscale in relazione all’istanza di rimborso IRPEG (per l’importo di Euro 51.646,00) per l’annualità di imposta 1992;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a quattro motivi;

la Coop. Lombardia S.C. si è costituita in giudizio, al fine di ricevere comunicazione della data fissata per l’udienza di discussione e di prendere parte alla discussione orale, ed ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate – denunciando violazione e/o falsa applicazione del D.L. 13 dicembre 1995, n. 526, art. 1 bis, conv. in L. 10 febbraio 1996, n. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – si duole che il giudice del gravame abbia ritenuto non provato l’avvenuto rimborso, avendo omesso di considerare che l’adempimento non è avvenuto mediante il pagamento di una somma di danaro, ma mediante l’emissione di titoli di Stato, ai sensi della normativa citata.

Con il secondo motivo – denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, – lamenta che sia stato ritenuto non provato il pagamento, malgrado l’avvenuta produzione nel giudizio di primo grado del decreto ministeriale indicante la società incorporata dalla Cooperativa quale assegnataria dei titoli e la non contestazione, sul punto, da parte della Cooperativa stessa (la quale non avrebbe dichiarato espressamente di non aver ricevuto alcunchè in adempimento dell’obbligo di rimborso).

Con il terzo motivo – denunziando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1283 c.c., e del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 50, conv. in L. n. 248 del 2006, – si duole che la CTR abbia (implicitamente, mediante il richiamo alle motivazioni della sentenza di primo grado) accordato gli interessi anatocistici fino al 4 luglio 2006, ossia fino alla data di entrata in vigore del predetto D.L., senza considerare che quest’ultimo non ha carattere innovativo e, comunque, è entrato in vigore antecedentemente alla domanda giudiziale (in data 8 luglio 2010) contenente la richiesta degli interessi in questione.

Con il quarto motivo – denunziando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., – lamenta che la CTR, ove non avesse implicitamente deciso sul motivo di appello concernente gli interessi anatocistici, sarebbe incorsa nel vizio di omessa pronuncia.

Ritenuto che:

il primo motivo è inammissibile, poichè mediante il riferimento improprio alla violazione di legge è nella sostanza dedotto l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito (il quale ha tenuto conto della normativa in tema di rimborsi mediante assegnazione ai creditori di titoli di Stato, ma ha escluso che il solo deposito del decreto e dell’elenco dei beneficiari potesse costituire prova dell’avvenuto adempimento) nella valutazione della prova, non sindacabile in sede di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. n. 27033/2018; in precedenza, v. Cass. n. 11892/2016);

del pari è inammissibile il secondo motivo, poichè la avvenuta contestazione emerge dallo stesso ricorso, illustrativo delle controdeduzioni in cui è affermato che “se l’Ufficio, da un lato, ha prodotto il decreto del 28 febbraio 2000, con cui si deliberava l’assegnazione dei titoli in pagamento, esso, dall’altro lato, non è stato in grado di provare, mediante esibizione di quietanza rilasciata dalla società, che a tale deliberazione sia poi stata data effettiva e concreta attuazione”; il passaggio in questione costituisce una implicita e chiara espressione della contestazione, attesa la sostanziale equivalenza della dichiarazione a quella “di non aver ricevuto alcunchè in adempimento dell’obbligo di rimborso”;

il terzo motivo è invece fondato (con conseguente assorbimento del quarto), poichè, benchè la normativa speciale intervenuta nell’anno 2006 – che esclude il riconoscimento, in favore dell’avente diritto al rimborso, di interessi anatocistici – abbia valenza innovativa (cfr., sul punto, Cass. n. 15695/2017, ove è affermato che “In tema di rimborsi per i crediti IVA, con decorrenza dal 4 luglio 2006, data di entrata in vigore del D.L. n. 233 del 2006, art. 37, comma 50,…, non si calcolano gli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso d’imposta al contribuente, mentre il principio dettato dall’art. 1283 c.c., continua ad avere pieno effetto per il periodo anteriore”), il discrimine temporale, ai fini dell’applicabilità della normativa in questione, non può che essere fissato alla data di proposizione della domanda giudiziale, ex art. 1283 c.c., nel caso avvenuta nell’anno 2010 (cfr., al riguardo, Cass. n. 2823/2012, che ha ritenuto spettare gli interessi fino alla data di entrata in vigore della nuova normativa, ma dal giorno della domanda giudiziale);

il ricorso va su tale ultimo punto accolto e l’impugnata sentenza, con riguardo all’avvenuto riconoscimento degli interessi anatocistici, cassata con rinvio alla competente CIR, in diversa composizione, cui è demandato di procedere a nuovo esame nonchè alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, assorbito il quarto, cassa nei limiti di cui al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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