Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3112 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 10/02/2020), n.3112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14395/2018 R.G. proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Simone Pillon, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

V.S., rappresentata e difesa dall’Avv. Simone

Marchetti, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di tassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 190/18

depositata il 22 marzo 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Perugia, dopo aver pronunciato, con sentenza non definitiva del 18 gennaio 2017, la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da A.M. con V.S., con sentenza definitiva dell’8 giugno 2017 pose a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere alla donna un importo mensile di Euro 300,00, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice Istat, a titolo di assegno divorzile, con decorrenza dalla data della sentenza;

che l’impugnazione proposta dall’ A. è stata parzialmente accolta dalla Corte d’appello di Perugia, che con sentenza del 22 marzo 2018 ha confermato l’importo dell’assegno, ma ne ha disposto il pagamento fino alla estinzione del mutuo contratto dalla V. per l’acquisto della casa di abitazione;

che avverso la predetta sentenza l’ A. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, al quale la V. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che è inammissibile la memoria depositata dal ricorrente a mezzo posta, in quanto pervenuta in Cancelleria l’8 gennaio 2019, e quindi successivamente alla scadenza del termine previsto dall’art. 380-bis c.p.c., comma 2, ai fini del quale non assume alcun rilievo la data della spedizione, non essendo applicabile in via analogica l’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 5, il quale riguarda esclusivamente il ricorso ed il controricorso (cfr. Cass., Sez. VI, 27/11/2019, n. 21041; Cass., Sez, III, 29/08/2019, n. 21777; 27/11/2018, n. 30592);

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata non ha esaminato il motivo di gravame con cui era stato censurato l’accertamento del reddito della V., in relazione alla mancata valutazione di un credito d’imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi;

che il motivo è inammissibile;

che, in tema di ricorso per cassazione, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, ove venga dedotto un vizio di motivazione, il ricorrente è tenuto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non solo ad indicare il fatto storico del quale lamenta l’omesso esame ed il dato testuale o extratestuale da cui lo stesso risulta, ma anche come e quando tale fatto abbia costituito oggetto di dibattito processuale tra le parti e le ragioni per cui esso deve considerarsi decisivo (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. VI, 10/08/2017, n. 19987);

che nella specie, anche a voler ritenere che il credito d’imposta riportato nella dichiarazione dei redditi costituisca un fatto storico autonomo rispetto al reddito personale del coniuge, da sottoporre a valutazione nell’ambito del giudizio volto ad accertare l’inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione, non risulta indicata la sede in cui tale circostanza è stata specificamente fatta valere, essendosi il ricorrente limitato a trascrivere, a corredo delle proprie censure, un passo del richiamato motivo di appello, in cui si limitava ad affermare genericamente la superiorità del reddito effettivo della V. rispetto a quello accertato dal Giudice di primo grado, senza fare alcun cenno al credito d’imposta;

che in ogni caso, sulla base delle scarne indicazioni fornite dal ricorrente, la predetta circostanza non può considerarsi idonea ad orientare in senso diverso la decisione, non essendo stata individuata neppure la fonte del credito d’imposta e non potendo quindi ipotizzarsi che lo stesso, riportato nella dichiarazione fiscale relativa all’anno 2011, sia destinato ad incidere durevolmente sulle entrate della contribuente, in quanto avente la propria causale in atti o fatti rilevanti anche ai fini della quantificazione del reddito degli anni successivi;

che peraltro, secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha comportato il superamento dei principi enunciati nel precedente richiamato dalla difesa del ricorrente (cfr. Cass., Sez. I, 10/05/ 2017, n. 11504), la funzione equilibratrice-perequativa attribuita all’assegno divorzile impone di procedere, ai fini del riconoscimento del relativo diritto, ad un giudizio complessivo rispetto al quale la comparazione delle posizioni reddituali e patrimoniali delle parti costituisce soltanto un aspetto, complementare ed equiordinato rispetto alla valutazione degli altri indicatori previsti dalla prima parte della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287);

che, nell’ambito del predetto giudizio, l’errore eventualmente commesso nella determinazione del reddito di uno dei coniugi in tanto può assumere una portata decisiva, in quanto si deduca e si dimostri che lo stesso ha comportato una significativa alterazione del rapporto tra le situazioni economiche delle parti, tale da inficiare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, anche attraverso la valutazione del contributo fornito da ciascun coniuge alla realizzazione della vita familiare ed alle aspettative professionali ed economiche a tal fine sacrificate;

che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 10 febbraio 2020

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