Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31116 del 29/12/2017


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 31116 Anno 2017
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: CAIAZZO ROSARIO

SENTENZA
sul ricorso n. 13813/10, proposto da:
Agenzia delle entrate, elett.te domic. in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
presso l’avvocatura dello Stato che la rappres. e difende;
RICORRENTE
CONTRO
Curatela del fallimento della INTERAUTO IMPORT s.p.a., in persona del legale
rappres. p.t., elett.te domic. in Roma, alla via A. Farnese n.7, presso l’avv.
Claudio Berliri che, unitamente all’avv. Piera Filippi, la rappres. e difende, con
procura a margine del controricorso;
CONTRORICORRENTE
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avverso la sentenza n.1/7/09 della Commissione tributaria regionale della #
E/-4 I04 ItOPI4t.14

titaffEtzl, depositata 1’8/4/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9/10/2017 dal
consigliere dott. Rosario Caiazzo;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. B. Tidore;
udito il difensore della parte controricorrente, avv. C. Berliri;
udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale, dott. Umberto De
Augustinis, che ha concluso per l’inammissibilità e, in via gradata, per
l’accoglimento del ricorso.

Data pubblicazione: 29/12/2017

RILEVATO CHE
L’Interauto Export srl impugnò un avviso d’accertamento che rettificò, ai fini
irpeg, irap e iva, per il 2002, le dichiarazioni presentate, per spese riqualificate
come di pubblicità e non di rappresentanza, per costi non documentati, (spese
ffl regia), e per H recupero deiriva detratta indebitamente per ce3sioriì di veicoli

,

in sospensione d’imposta, su dichiarazioni d’intento del cessionario; si costituì

La Ctp di Modena, in parziale accoglimento del ricorso, annullò l’avviso
relativamente alle riprese effettuate per spese per l’acquisto di servizi di
ristorazione, ritenute di pubblicità, e per i costi fatturati da società dello stesso
gruppo.
La società propose appello per insufficienza e erroneità della motivazione sulla
eccezione di nullità dell’avviso impugnato e per l’infondatezza della pretesa
riguardante l’iva sulle cessioni di veicoli in sospensione d’imposta, chiedendo in
subordine la disapplicazione delle sanzioni.
L’Agenzia delle entrate si costituì proponendo appello incidentale in ordine alla
parte della sentenza che ha riconosciuto la deducibilità delle spese riqualificate
di pubblicità e non di rappresentanza.
La Ctr, in parziale riforma della sentenza appellata, accolse l’appello principaleannullando l’avviso per infondatezza della pretesa iva- e rigettando l’appello
incidentale, confermando nel resto la sentenza.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei
motivi.
Resiste la società con controricorso, eccependo l’inammissibilità e
l’infondatezza del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, è stata denunciata l’insufficiente motivazione in relazione
a un fatto controverso e decisivo, in quanto la Ctr, richiamando un precedente
della Corte non riferibile al caso concreto, non ha esplicitato le ragioni per cui
le circostanze addotte dall’ufficio a fondamento del recupero a tassazione
dell’iva, sarebbero state inidonee a dimostrare la consapevolezza della società
in ordine alla falsità delle dichiarazioni d’intento presentate dal contribuente.
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l’ufficio.

E’ stato formulato il momento di sintesi.
Con il secondo motivo, è stata denunciata la violazione degli artt. 2967 c.c.,
art. 8, 1°c., lett. c, del d.p.r. n.633/72, artt. 1 e 2 della I. n. 746/83, art. 15
della dir. CEE., avendo la Ctr ritenuto sufficiente, ai fini dell’applicazione, da
parte del cedente, del regime di non imponibilità ai fini iva, di cui all’art. 8
suddetto, la circostanza che il cessionario avesse presentato una dichiarazione

E’ stato formulato il quesito di diritto: se il cedente, ai fini della legittima
applicazione del regime di non imponibilità iva, sia tenuto a dimostrare non
solo la regolarità formale della dichiarazione d’intento presentata dal
cessionario, ma anche che, usando la diligenza propria dell’imprenditore
avveduto, operante nel medesimo settore economico, non sarebbe stato
possibile venire a conoscenza dell’insussistenza dei presupposti necessari per
qualificare il cessionario esportatore abituale.
Con il terzo motivo, è stata denunciata insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo, avendo la Ctr respinto l’appello incidentale, in ordine
alla deducibilità di costi ritenuti di pubblicità, omettendo di indicare gli elementi
di fatto posti a base della decisione.
E’ stato formulato il momento di sintesi.
Con il quarto motivo, è stata denunziata violazione degli artt. 112 c.p.c., 53 e
54, 2°c., del d.lgs. n. 546/92, in relazione all’art. 360,1° c., n.4, c.p.c., avendo
la Ctr omesso di pronunciare, in relazione all’appello incidentale, in ordine
all’illegittimità del terzo rilievo dell’avviso d’accertamento; è stato formulato il
quesito di diritto.
Con il quinto motivo, è stata denunciata la violazione degli artt. 36, 2°c., n.4, e
art. 61 del d.lgs. n.546/92, in relazione all’art. 360, n.4, avendo la Ctr omesso
di pronunciare sul capo dell’appello incidentale afferente al recupero d’imposta
per le spese dei servizi di ristorazione e per i costi, attraverso un mero
richiamo della sentenza di primo grado.
Con il sesto motivo, è stata dedotta l’omessa motivazione in relazione ad un
fatto controverso e decisivo, in ordine al medesimo oggetto del quinto motivo;
è stato formulato il momento di sintesi.
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d’intento formalmente corretta.

Il ricorso è fondato.
Preliminarmente, va rilevata l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità dei
primi due motivi del ricorso.
Quanto all’eccezione concernente il primo motivo- in quanto l’Agenzia
ricorrente avrebbe censurato il merito della causa- essa va disattesa poiché la
ricorrente ha censurato la decisione relativa alla distribuzione dell’onere della

Circa l’eccezione afferente al secondo motivo- secondo cui la ricorrente
avrebbe formulato un quesito di diritto multiplo- va osservato che in materia
di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più
profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come
un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità
dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del
ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze
prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente
negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state
articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., SSUU, n. 9100/15).
Nella fattispecie, l’eccezione è priva di pregio in quanto l’Agenzia ha espresso
con chiarezza vari profili di doglianza in ordine alla violazione di plurime
norme, sicché ne è possibile l’esame separato.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente poiché tra loro connessi,
sono fondati; invero, il primo motivo, pur dedotto ai sensi del n. 5 dell’art. 360
c.p.c. pone lo stesso problema di distribuzione dell’onere della prova che viene
poi esposto nel secondo motivo in iure.
Occorre richiamare la consolidata giurisprudenza della Corte secondo cui, n
tema di Iva, la non imponibilità delle cessioni di beni asseritamente destinati
all’esportazione, subordinata dall’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633 alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario in ordine
alla destinazione del bene fuori del territorio della Comunità economica
europea ed al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla
norma, viene meno qualora si accerti che i beni non sono stati effettivamente
esportati e che tale dichiarazione è ideologicamente falsa, nel quale caso
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prova.

l’obbligo del cedente di assolvere successivamente VIVA su tali beni può essere
escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le
misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione
effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode (Cass., n. 12751/11).
Inoltre, in tema d’IVA, la non imponibilità delle cessioni all’esportazione
effettuate nei confronti di esportatori abituali, prevista dall’art. 8, comma 1,

formale specifica dichiarazione d’intento dell’esportatore ove questa sia
ideologicamente falsa, occorrendo in tale ipotesi che il contribuente cedente
dimostri l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia
di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per
l’applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere
conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere (Cass., n.
19896/16; ord. n. 176/15).
Nel caso concreto, la Ctr ha ritenuto di escludere la compartecipazione, anche
colposa, del contribuente-cedente nell’illecito ascritto al cessionario,
esportatore abituale, sull’erroneo rilievo che egli sarebbe obbligato ad un mero
controllo formale dei documenti allegati dal cessionario; in particolare, le
circostanze indicate in motivazione (la modesta composizione patrimoniale del
cessionario; l’inesistente sua organizzazione imprenditoriale; le modalità di
pagamento delle autovetture vendute, etc.) non sono sufficienti per legittimare
la decisione impugnata (basti rilevare che non risulta nessun controllo dei
documenti del veicolo).
Al riguardo- fermo il predetto consolidato orientamento della giurisprudenza di
legittimità- la difesa erariale ha anche ragione nel ritenere che la sentenza
della Corte di Cassazione del 2008, n. 28948, richiamata nella sentenza
impugnata, sia stata male intesa, in quanto la Corte, nel caso sottoposto al suo
esame, ha evidenziato che la controparte erariale non aveva mai dedotto
chiaramente che le società cessionarie avessero esibito delle dichiarazioni di
intento false, limitandosi a rilevare altri elementi che non potevano certo
rientrare nella conoscibilità della società cedente.

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lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972, non può essere subordinata alla sola

Il cedente avrebbe dunque potuto agevolmente accertare la qualità dei
precedenti intestatari dei veicoli, e anteriori cedenti, cioè verificare,
eventualmente mediante l’acquisizione di ulteriori dati di rapido reperimento
rispetto a quelli allegati dal cessionario, se tali intestatari erano, o meno,
soggetti legittimati a detrarre l’iva.
Tuttavia, tale controllo non è stato effettuato, sicché può sostenersi che il

potere al fine di escludere il suo coinvolgimento alla frode accertata.
Il terzo motivo è parimenti fondato.
Tale motivo, pur dedotto ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ha la sostanza di
una violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. (norma applicabile al
processo tributario in forza del generale rinvio materiale alle norme del c.p.c.
compatibili contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992), nel
senso che denuncia, in realtà, la totale mancanza o meglio l’apparenza della
motivazione.
In particolare, è applicabile al rito tributario, così come disciplinato dal citato
decreto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4,
c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. -come novellati entrambi dalla I. n. 69 del 2009-,
secondo il quale la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa, ovvero la
mancanza o l’estrema concisione delle ragioni giuridiche della decisione,
determinano la nullità della sentenza soltanto ove rendano impossibile
l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento
del dispositivo (Cass., ord. n. 9745 del 2017),
Al riguardo, occorre richiamare l’orientamento della Corte per cui il ricorso per
cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente
previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in
specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una
delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur
senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione
numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente
lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad
una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia
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contribuente controricorrente non ha adottato le ragionevoli misure in suo

esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo
comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ.,
purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante
dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame
allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad
argomentare sulla violazione di legge (Cass., SSUU, n. 17931/13).

del motivo in questione, poiché la Ctr si è limitata a rilevare che la
documentazione acquisita comprovava che le spese di ristorazione e quelle di
“regia”, portate in deduzione dal contribuente, fossero spese pubblicitarie e
non di rappresentanza, senza indicare i documenti in esame.
Invero, la ricorrente Agenzia ha lamentato che non erano stati addotti elementi
per associare e fatture utilizzate alla presentazione di nuove autovetture,
ovvero a contesti o occasioni di diretta finalità promozionale delle vendite;
peraltro, la Ctr ha anche erroneamente rilevato che l’Agenzia aveva omesso di
fornire elementi di prova contraria, considerando che l’onere di provare i
presupposti della deducibilità dei costi grava sul contribuente.
L’accoglimento dei primi tre motivi determina l’assorbimento degli altri tre.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Ctr,
anche per le spese.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, quanto al primo, secondo e terzo motivo, assorbiti
il quarto, quinto e sesto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Ctr delle
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in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 ottobre 2017.

Nella fattispecie, in applicazione del citato principio, va affermata la fondatezza

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