Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3111 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 09/02/2021), n.3111

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26743-2017 proposto da:

CAPPELLANI DOTT. S. S.r.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio

dell’Avvocato PATERNO’ RADDUSA PIETRO, che la rappresenta e difende

assieme all’Avvocato FINOCCHIARO PIERGIORGIO giusta procura speciale

estesa a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3517/17/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata l’11/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

DELL’ORFANO ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Cappellani Dott. S. S.r.L. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Centrale della Sicilia aveva accolto l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 256/2012 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania, che aveva accolto i ricorsi, riuniti, avverso avvisi di classamento relativi ad attribuzione di rendita catastale (D/8) conseguente a denuncia di variazione di unità immobiliari destinate ad attività d’impresa;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. con il primo mezzo si denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, e si lamenta la mancanza, nella sentenza impugnata, di elementi idonei a specificare le caratteristiche richieste per l’attribuzione della categoria catastale D/8 rispetto a quella proposta dalla contribuente (C/2) ed a provare la sussistenza degli elementi costitutivi della pretesa impositiva;

1.2. con il secondo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (art. 2697 c.c.) avendo la CTR erroneamente fatto applicazione delle norme sull’onere probatorio gravante sull’Ufficio finanziario per giustificare l’attribuzione della categoria catastale;

1.3. con il terzo mezzo si denuncia violazione di norme di diritto (L. n. 212 del 2000, artt. 7, 8 e R.D. n. 652 del 1939, art. 10, D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 7,8 e 30) e si lamenta che la CTR abbia erroneamente affermato che nel caso in esame l’obbligo di motivazione dell’atto di classamento fosse stato idoneamente motivato mediante indicazione dei dati oggettivi acclarati dall’Ufficio e della classe catastale conseguentemente attribuita;

1.4. le censure, che possono congiuntamente esaminarsi, in quanto strettamente connesse, vanno disattese;

1.5. va premesso che, ai fini del classamento di un immobile, rilevano le relative “condizioni estrinseche ed estrinseche”, ai sensi del R.D.L. 13 aprile 1939 n. 652, art. 8, comma 1, nel testo sostituito dalla L. 30 dicembre 1989, n. 427, art. 2, e le condizioni previste dal D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 61-63, che impongono come criteri di classamento la destinazione ordinaria e le caratteristiche, anche costruttive, influenti sul reddito;

1.6. le categorie C/2 e D/8 hanno riguardo, rispettivamente, a “magazzini e locali di deposito” e a “fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un’attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni”;

1.7. va poi menzionato l’indirizzo di legittimità, in punto di motivazione degli atti di classamento ed attribuzione di rendita catastale, andato consolidandosi nel senso che ” in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l’obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni, mentre nel caso in cui vi sia una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso” (cfr. Cass. nn. 31809/2018, 12777/2018, 12497/2016);

1.8. questa Corte ha affermato, altresì, in tema di classamento di immobili, che qualora l’attribuzione della rendita catastale abbia luogo a seguito della procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, conv. in L. n. 75 del 1993, e del D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cd. procedura DOCFA) ed in base ad una stima diretta eseguita dall’Ufficio (come accade per gli immobili classificati nel gruppo catastale D), tale stima, che integra il presupposto ed il fondamento motivazionale dell’avviso di classamento (esprimendo un giudizio sul valore economico dei beni classati di natura eminentemente tecnica, in relazione al quale la presenza e l’adeguatezza della motivazione rilevano ai fini non già della legittimità, ma dell’attendibilità concreta del cennato giudizio, e, in sede contenziosa, della verifica della bontà delle ragioni oggetto della pretesa), costituisce un atto conosciuto e comunque prontamente e facilmente conoscibile per il contribuente, in quanto posto in essere nell’ambito di un procedimento a struttura fortemente partecipativa, con la conseguenza che la sua mancata riproduzione o allegazione all’avviso di classamento non si traduce in un difetto di motivazione (cfr. Cass. nn. 17971/2018, 5404/2012);

1.9. infine, la Corte ha anche precisato che, nelle controversie riguardanti la verifica dell’attendibilità del provvedimento di classamento, emesso dall’Amministrazione in rettifica di quello proposto dal contribuente, a seguito di lavori di ristrutturazione di un immobile e a mezzo della procedura DOCFA di cui al D.M. Finanze 19 aprile 1994, n. 701, l’onere di provare nel contraddittorio con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa, nel quadro del parametro prescelto, spetta alla stessa Amministrazione, salva comunque la facoltà del contribuente di assumere su di sè l’onere di dimostrare l’infondatezza della pretesa di maggiore rendita catastale, avvalendosi dei criteri astratti utilizzabili per l’accertamento del classamento o del concreto raffronto con le unità immobiliari presenti nella stessa zona censuaria in cui è collocato l’immobile; ne consegue che il giudice del merito, dovendo verificare se la categoria e la classe attribuite all’immobile risultino adeguate secondo i dati presenti nella motivazione dell’atto, non può trarre tale prova positiva dall’insuccesso dell’onere probatorio assunto dal contribuente, in difetto dell’assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio (cfr. Cass. n. 15495/2013)

1.10. poste tali premesse, le censure della contribuente si basano sul presupposto che sia stata illegittimamente respinta la sua proposta, a mezzo DOCFA, di variazione della categoria catastale, da D/8 (capannone commerciale) a C/2 (locali di deposito), a seguito dell’intervenuto frazionamento dell’unità immobiliare di sua proprietà in tre distinte unità;

1.11. nella concreta fattispecie pervenuta all’esame di questa Corte, pertanto, va ribadito, in primo luogo, che il procedimento cosiddetto DOCFA, che ha condotto all’attribuzione del nuovo classamento, ha natura partecipativa;

1.12. in particolare, occorre osservare che i fatti sui quali si fonda l’impugnato avviso sono quelli stessi indicati dalla contribuente nella proposta DOCFA di attribuzione di rendita, in quanto la motivazione dell’atto di classamento, per quanto risulta, non è fondata su di una causa petendi sconosciuta alla contribuente;

1.13. nel caso di specie, si deduce dalla sentenza impugnata che nell’avviso di classamento sia stata respinta la richiesta di modifica della categoria sulla base dei dati forniti dal contribuente, con conseguente mancata modifica della rendita catastale, in ragione di una valutazione tecnica effettuata sulla base della tipologia costruttiva, caratteristiche dimensionali, finiture, e impianti fissi, avendo l’Ufficio altresì rilevato che la categoria D/2 pretesa dalla ricorrente competeva ad unità immobiliari di più contenute dimensioni;

1.14. non è stato, quindi, dedotto in ricorso, che l’atto di classamento si sia basato su elementi di fatto differenti da quelli indicati nel modello DOCFA;

1.15. si trattava allora, nello specifico, di trarre esatte conseguenze giuridiche da fatti che la contribuente conosce per averli allegati alla proposta DOCFA D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, ex art. 2 conv. con mod. in L. 24 marzo 1994, n. 75 e D.M. 19 aprile 1994, n. 701;

1.16. il dissenso non è invero sui fatti posti a fondamento dell’atto di classamento, non è cioè controversa la consistenza catastale o l’ubicazione o gli esiti della ristrutturazione, bensì, la lite è sulla valutazione di detti fatti incontroversi e sulle conseguenze giuridiche che da tali valutazioni debbono esser fatte discendere;

1.17. alla contribuente era stato quindi assolutamente garantito il diritto difensivo di confutare, per esempio a mezzo di perizie di parte, sempre nel rispetto delle previste preclusioni, le ragioni contenute nella stima effettuata dall’Ufficio, fondate su elementi di fatto conosciuti in quanto indicati nella richiesta DOCFA, nè peraltro la contribuente ha specificamente dedotto o in altro modo dimostrato di aver impugnato, con il ricorso introduttivo (allegato al ricorso in cassazione), l’atto di classamento per impossibilità di comprendere le ragioni della stima per mancata allegazione della relazione UTE alla rendita notificata;

1.18. ne consegue che anche nel presente caso, l’atto di classamento, in quanto conseguente a procedura cosiddetta DOCFA, con allegata relazione di stima UTE, in quanto fondato sui medesimi fatti indicati dal contribuente nella proposta di attribuzione della rendita, deve ritenersi sufficientemente motivato con la sola precisazione di unità immobiliare, canone censuario, foglio, particella, subalterno, zona censuaria, categoria, classe, consistenza, rendita, questo perchè i fatti su cui si fonda l’atto di classamento dovevano ritenersi inter partes pacifici, essendo appunto quelli stessi indicati dal contribuente in procedura cosiddetta DOCFA, cosicchè nemmeno era onere dell’Ufficio la loro prova, trattandosi invece da parte dell’Ufficio, anche a mezzo di allegazione di stima UTE, di rendere note al contribuente le ragioni della valutazione da cui ha fatto discendere il nuovo classamento, per esempio con riferimento ai prezzi medi, questione di fatto e giuridica, quest’ultima, che il contribuente ben avrebbe potuto contrastare anche col deposito di perizie o relazioni tecniche, nel rispetto delle preclusioni processuali stabilite dalla legge;

1.19. la CTR ha quindi correttamente evidenziato la mancata prova, da parte della contribuente, di elementi idonei a confutare la stima dell’Ufficio, limitandosi, invece, “a far presente la sussistenza di autorizzazione a cambio di destinazione d’uso, senza nulla concretamente e sufficientemente provare anche in ordine alle caratteristiche che avrebbe avuto l’immobile per rientrare nella categoria pretesa”;

1.20. trattasi, dunque, di valutazioni di merito correttamente motivate, quindi non suscettibili di riesame in questa sede di legittimità, non avendo dedotto la ricorrente alcuno specifico fatto decisivo e controverso il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito, ed essendosi piuttosto sostanzialmente limitata a chiedere la rinnovazione del giudizio di fatto operato dal giudice d’appello;

2. sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto;

3. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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