Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31109 del 03/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2018, (ud. 08/11/2018, dep. 03/12/2018), n.31109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4251-2018 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

49, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANILO BUONGIORNO;

– ricorrente –

contro

FCA ITALY SPA, in persona del suo procuratore speciale avv. Monica

Borgi, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 38, presso lo

STUDIO RUCELLAI & RAFFAELLI, rappresentata e difesa dagli

avvocati ENRICO ADRIANO RAFFAELLI, PAOLO TODARO;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 25486/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 26/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata in data 8/11/2018 dal Consigliere Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.G. ha proposto “ricorso ex art. 391 bis c.p.c., per errore materiale/di fatto” avverso l’ordinanza n. 25486/2017, basato su tre motivi, cui ha resistito FCA Italy S.p.a. (già Fiat Auto S.p.a. e già Fiat Group Automobiles S.p.a.) con controricorso, illustrato da memoria.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Con O.I. n. 17399/18, depositata in data 3 luglio 2018, questa Corte, rilevato che con i tre motivi di ricorso sono stati dedotti non solo asseriti errori materiali ma anche asseriti vizi revocatori, ha rinviato a nuovo ruolo la causa, ritenendo che l’estensore (dott. Scarano Luigi Alessandro) dell’ordinanza n. 25486/2017 non potesse far parte del Collegio chiamato a decidere nel presente giudizio.

Nominato altro relatore della causa, la proposta è stata nuovamente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., dopo che con O.I. n. 24626/18 del 5 ottobre 2018 la causa è stata ulteriormente rinviata, risultando, alla già fissata adunanza camerale del 20 settembre 2018, incompatibile alla trattazione del ricorso il consigliere Rossetti Marco, in quanto componente del Collegio che ha emesso l’ordinanza cui si riferisce il ricorso all’esame.

In prossimità dell’adunanza camerale da ultimo fissata per la data dell’8 novembre 2018 FCA Italy S.p.a. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata.

2. Il primo motivo è così rubricato: “Primo errore materiale/svista

del provvedimento della Suprema Corte, in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 4, Sulla precisa indicazione, contenuta nel ricorso, degli atti e dei documenti sulla cui base si denunziava l’errore di diritto della Corte d’Appello. Sul corretto inquadramento dello stesso nell’ambito dei motivi consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 “.

Il ricorrente lamenta che questa S.C., con l’ordinanza n. 25486/2017, abbia ritenuto inammissibili i motivi del ricorso, “in quanto sarebbero stati formulati senza riprodurre fisicamente e… indicare precisamente in quale parte sarebbero rilevanti i documenti sulla cui base si fonderebbero i medesimi”, senza “nemmeno valutare se tutti i singoli motivi sarebbero inammissibili”, il che sarebbe – ad avviso dell’attuale ricorrente – indicativo di un errore materiale/svista, “in quanto mentre astrattamente, tale contestazione potrebbe valere per il primo motivo, certamente non è nemmeno ipotizzabile in merito al secondo ed al terzo”.

Secondo il C., “la Suprema Corte non ha ben analizzato il ricorso”, la medesima “aveva… tutti gli elementi per la valutazione del (primo) motivo, che conseguentemente era da considerarsi ammissibile” sicchè “era stato perfettamente assolto l’onere a carico del ricorrente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6”.

Inoltre, il ricorrente censura l’ordinanza in parola nella parte in cui questa Corte ha affermato, sempre in relazione al primo motivo di ricorso, che il C. avrebbe di fatto portato all’attenzione della S.C. motivi al di fuori dell’ambito di indagine consentito alla stessa, chiedendole di effettuare una nuova valutazione del merito della causa; tanto sarebbe, secondo il ricorrente, “assolutamente infondato e chiaramente segno di una svista”, in quanto sarebbe stato “essenzialmente denunciato il fatto che la Corte d’Appello non avesse considerato che le dichiarazioni del P. erano sempre state oggetto di contestazione” e tale non sarebbe, per il C., “una questione di fatto, perchè ovviamente non venivano indicate nella sede di legittimità delle valutazioni sul merito delle dichiarazioni stesse, ma unicamente la questione di diritto, non valutata dal Giudice di secondo grado, circa la natura asseritamente contestata delle stesse”.

Sostiene il ricorrente che, quindi, questa Corte avrebbe “malinteso il motivo come una nuova valutazione delle dichiarazioni rese” e che “il motivo era pertanto perfettamente ammissibile, e si è trattato di una svista della Suprema Corte ritenere il contrario”.

3. Il secondo motivo è così rubricato: “Secondo errore materiale/svista del provvedimento della Suprema Corte, in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 4, sulla natura di mero diritto della questione sottesa al secondo e al terzo motivo di impugnazione. Sulla impossibilità di ricondurre tale ragionamento ad un motivo di fatto”.

Lamenta il ricorrente che nel provvedimento di cui si discute in questa sede non sia stata “fatta una diversa valutazione fra il primo motivo e gli altri due. Infatti, mentre ancora il primo è riconnesso, seppur nell’ambito della totale mancata valutazione della questione da parte della Corte d’Appello, a questioni in fatto, sicuramente gli altri sono di mero diritto in relazione all’interpretazione di questioni assolutamente rilevanti per la risoluzione della controversia”.

Ad avviso del C., anche se la S.C. avesse ritenuto le questioni proposte come infondate, in difetto di riferimenti ad atti del procedimento, trattandosi di questioni di mero diritto, l’aver ritenuto i motivi in parola “inammissibili ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per non aver riprodotto atti e documenti a cui si fa riferimento (quando questi non ci sono) e/o in quanto attinent(i a) questione non ammessa in sede di Cassazione, appare un errore materiale e/o svista”.

Lamenta il ricorrente che la S.C. non avrebbe “nemmeno spiega(to) per quale ragione tali motivi (il secondo e il terzo) sarebbero inammissibili”, in realtà non sarebbero “stati esaminati in sede di diritto” e “trattandosi di motivi formalmente e sostanzialmente differenti rispetto al primo, non (avrebbero potuto) essere dichiarati inammissibili(i) per le medesime questioni che nulla hanno a che vedere con gli stessi” e avrebbero dovuto “essere valutat(i) singolarmente circa la loro fondatezza”.

4. Con il terzo motivo, rubricato: “In diritto sul principio di autosufficienza del ricorso. Sulla Giurisprudenza di merito. Sulla ammissibilità del ricorso presentato dal sig. C.. Sulla ontologica differenza fra i motivi di impugnazione che avrebbero richiesto una diversa trattazione degli stessi”, il ricorrente sostiene che la S.C. “evidentemente per una svista, ha ritenuto carente il requisito dell’autosufficienza del ricorso”.

Sostiene il C. che ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, sarebbe richiesta soltanto “l’indicazione, e non anche la pedissequa nuova produzione, dei documenti e degli atti rilevanti” e che sarebbe “ben possibile fare richiami, seppure precisi in ordine al reperimento della parte rilevante del documento, al contenuto dei fascicoli” mentre non sarebbe necessario ritrascrivere ogni documento rilevante integralmente o per estratto.

Secondo il ricorrente, “il non aver rinvenuto nel ricorso richiami precisi invece presenti (primo motivo), e/o il non aver compreso che le questioni erano di sola interpretazione del diritto (secondo e terzo motivo), sono certamente sviste/errori materiali della Suprema Corte che dovranno pertanto essere corretti”.

5. Il ricorso all’esame – che, essendo articolato nei tre motivi che precedono, strettamente connessi tra loro, ben può essere unitariamente esaminato – è inammissibile.

5.1. Lo stesso ricorrente ha qualificato, nella sua intestazione, l’atto introduttivo di questa fase del giudizio come “ricorso ex art. 391 bis c.p.c., per errore materiale/di fatto (dell’ordinanza n. 25486/2017 della Corte di Cassazione) sezione 6 civile)” e, tuttavia, dall’illustrazione dei motivi su cui si fonda tale ricorso, risulta in tutta evidenza che quelli denunciati non possono essere qualificati come errori materiali, sicchè, sotto tale profilo il ricorso proposto è inammissibile

5.1.1. Al riguardo, premesso che l’errore di fatto cd. revocatorio è l’erronea percezione degli atti di causa (come la supposizione di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure la supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita), mentre l’errore determinato da una svista di carattere materiale rende esperibile il rimedio della correzione di errore materiale (Cass., ord., 24/07/2012, n. 12962), va precisato che, secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, la procedura di correzione dell’errore materiale, prevista dall’art. 391-bis c.p.c., anche per le sentenze pronunciate dalla Corte di cassazione, va tenuta distinta dalla revocazione per errore di fatto, in quanto la prima suppone l’esattezza della decisione giudiziale, nonostante l’erroneità dei dati indicati, mentre la seconda presuppone l’erroneità del decisum derivante da una errata percezione delle risultanze di fatto da parte del giudice (Cass., ord., 2/08/2004, n. 14799; Cass. 17/01/2003, n. 657).

5.2. In realtà, la parte ricorrente sembra denunciare vizi revocatori anch’essi richiamati nell’intestazione del ricorso all’esame con il riferimento all’errore di fatto, pure disciplinato – con riferimento a quello di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, – dall’art. 391-bis c.p.c..

5.2.1. E’ stato precisato che l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione (Cass. 11/01/2018, n. 442; v. anche Cass. 8/06/2018, n. 14929).

La configurabilità dell’errore revocatorio presuppone, quindi, un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione; ne consegue l’impossibilità di configurare errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione del principio di autosufficienza in ordine a uno dei motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d’appello (Cass., ord., 31/08/2017, n. 20635; Cass., ord., 3/04/2017, n. 8615; Cass., ord., 15/06/2012, n. 9835).

Neppure può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perchè in tal caso è dedotta un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso (Cass., ord., 15/02/2018, n. 3760). Nè è idonea ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 391 bis c.p.c. e all’art. 395 c.p.c., n. 4), la valutazione, ancorchè errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di vizio costituente errore di giudizio e non di fatto (Cass., ord., 27/04/2018, n. 10184; v. anche Cass., ord., 3/04/2017, n. 8615)

5.2.2. Alla luce dei richiamati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità e delle doglianze sollevate dalla parte ricorrente e sopra riportate, risulta evidente l’inammissibilità del ricorso proposto sotto il profilo dei lamentati vizi revocatori, avendo il C. denunciato chiaramente vizi di valutazione in cui sarebbe incorsa questa Corte con l’ordinanza n. 25486/17.

6. Conclusivamente il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018

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