Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31104 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. un., 30/11/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 30/11/2018), n.31104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 8619 del 2017 promosso da:

P.S., rappresentato e difeso dagli Avvocati Renato

Spadaro e Massimiliano Scaringella, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, via degli Ottavi, n. 9;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TORRE ANNUNZIATA, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocato Sabino Rascio, con domicilio

eletto presso lo studio dell’Avvocato Bernadette Capizzi in Roma,

corso Vittorio Emanuele II, n. 154;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5088/2016 del Consiglio di Stato, depositata

il 5 dicembre 2016.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 ottobre 2018 dal Consigliere Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che P.S. ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, il provvedimento con cui il sindaco del Comune di Torre Annunziata lo aveva dichiarato decaduto dall’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica;

che l’adito TAR, con sentenza 22 febbraio 2016, ha respinto il ricorso, sul rilievo che la riscontrata esistenza di un usufrutto immobiliare, di cui il ricorrente era contitolare in comunione dei beni, rendeva insussistenti i requisiti che legittimavano l’assegnazione;

che il Consiglio di Stato, con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 5 dicembre 2016, ha rigettato l’appello del P.;

che il giudice amministrativo d’appello ha rilevato che il P. nel 2005 si era reso acquirente insieme alla moglie di un immobile sito in (OMISSIS), in provincia di (OMISSIS), il quale, seppure accatastato in categoria A/4, consiste comunque in un appartamento della superficie di 110 mq., con autorimessa di 19 mq. e pertinenze, tra cui un’area libera circostante di 1,20 ha., in piccola parte edificabile, e ha sottolineato che, sebbene la categoria catastale formalmente attribuita sia quella di alloggio popolare, nondimeno la consistenza di fatto supera i requisiti massimi richiesti dal legislatore regionale (L.R. Campania 2 luglio 1997, n. 18, art. 2, comma 1, lett. d) per la concessione e il mantenimento della titolarità di un alloggio residenziale pubblico;

che per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 3 aprile 2017, sulla base di due motivi;

che l’intimato Comune di Torre Annunziata ha resistito con controricorso;

che il ricorso per cassazione è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

che il Comune ha depositato memoria in prossimità della camera di consiglio.

Considerato che con il primo motivo (eccesso di potere giurisdizionale ex art. 111 Cost., art. 362 cod. proc. civ. e art. 110 cod. proc. amm. per sconfinamento nella sfera di attribuzioni del legislatore) il ricorrente si duole che il Consiglio di Stato abbia finito con l’introdurre nel’ordinamento positivo una nuova norma, che affida il criterio discretivo per l’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica sulla sola base della consistenza materiale dell’alloggio posseduto in altra provincia, laddove la L.R. Campania n. 18 del 1997, art. 2, comma 1, lett. d, avrebbe indicato la necessità, a tal fine, di determinare il valore locativo complessivo dell’immobile in questione;

che il secondo mezzo denuncia eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella sfera di merito riservata alla P.A., per avere il Consiglio di Stato integrato la manifestazione di volontà dell’ente territoriale fornendo una motivazione all’atto impugnato, così sostituendo la propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità amministrativa;

che entrambi i motivi sono inammissibili;

che questa Corte ha ripetutamente affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore, denunciabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 e dell’art. 362 cod. proc. civ., è configurabile solo qualora il Consiglio di Stato abbia applicato, non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete: ipotesi non ricorrente quando il giudice amministrativo si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto, non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dar luogo, tutt’al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice speciale (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2016, n. 1840; Cass., Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7157; Cass., Sez. U., 27 marzo 2017, n. 7758; Cass., Sez. U., 10 aprile 2017, n. 9147; Cass., Sez. U., 20 aprile 2017, n. 9967; Cass., Sez. U., 4 luglio 2017, n. 16417; Cass., Sez. U., 24 luglio 2017, n. 18175; Cass., Sez. U., 5 giugno 2018, n. 14437; Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16957; Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16974; Cass., Sez. U., 30 luglio 2018, n. 20168);

che nella specie il Consiglio di Stato si è limitato a interpretare la L.R. Campania n. 18 del 1997, art. 2, comma 1, lett. d), il quale dispone che tra i requisiti per l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica vi deve essere “la non titolarità di diritti di cui alla precedente lett. c) su uno o più alloggi, ubicati in qualsiasi località, il cui valore locativo complessivo, determinato con gli estimi catastali vigenti alla data di presentazione dell’ultima dichiarazione dei redditi, sia almeno pari al valore locativo di un alloggio adeguato, di categoria A/3 classe 3, calcolato sulla base dei valori medi delle zone censuarie nell’ambito territoriale cui si riferisce il bando”;

che, procedendo ad una lettura sistematica e complessiva di tale disposizione, il giudice amministrativo d’appello ha rilevato che l’immobile acquistato in comunione con la moglie dal P. supera, tenuto conto della sua consistenza di fatto, i requisiti massimi richiesti dalla legge regionale per la concessione e il mantenimento della titolarità di un alloggio di edilizia residenziale pubblica;

che l’interpretazione operata dal Consiglio di Stato è frutto di un’attività ermeneutica tutta interna al raggio di azione assegnato al giudice amministrativo: come tale, essa non concretizza l’assunta violazione dei limiti esterni della giurisdizione per invasione della competenza legislativa;

che non spetta a questa Corte sindacare l’esattezza o meno dell’interpretazione seguita dal Consiglio di Stato nell’impugnata sentenza e quindi prendere posizione sulla preferibilità della diversa lettura propugnata dal ricorrente;

che un controllo di questa portata, sollecitato dal ricorrente sotto la formale deduzione del motivo inerente alla giurisdizione, eccede dall’ambito del sindacato delle Sezioni Unite, che – fatto salvo il caso dell’applicazione di una norma creata ad hoc – non si estende al modo in cui la giurisdizione del giudice amministrativo è stata esercitata e non include, pertanto, una verifica delle scelte ermeneutiche del Consiglio di Stato suscettibili di comportare errores in iudicando (Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16973; Cass. Sez. U., 11 luglio 2018, n. 18239; Cass., Sez. U., 3 agosto 2018, n. 20531);

che, invero, come è stato di recente ribadito (Cass., Sez. U., 27 giugno 2018, n. 16974, cit.), è erroneo l’assunto secondo cui la mancata o inesatta applicazione di norme di legge determinerebbe la creazione di una norma inesistente e, quindi, l’invasione della sfera di attribuzioni del potere legislativo, giacchè il controllo sulla giurisdizione non è in alcun caso estensibile alla prospettazione di pure e semplici violazioni di legge da parte del giudice speciale;

che, quanto al lamentato eccesso di potere giurisdizionale per usurpazione della funzione amministrativa, esso si realizza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice (Cass., Sez. U., 22 dicembre 2003, n. 19664; Cass., Sez. U., 21 dicembre 2005, n. 28263; Cass., Sez. U., 28 aprile 2011, n. 9443; Cass., Sez. U., 6 giugno 2018, n. 14648; Cass., Sez. U., 11 luglio 2018, n. 18240), quando il giudice amministrativo, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito, riservata alla pubblica amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e della convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbe potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità;

che il vizio lamentato dal ricorrente non è riscontrabile già in base al tipo di decisione emessa dal Consiglio di Stato, consistente nel rigetto del ricorso con conferma del provvedimento impugnato;

che, difatti, poichè la pronuncia di rigetto del giudice amministrativo si esaurisce nella conferma del provvedimento impugnato e non si sostituisce all’atto amministrativo – conservando l’autorità che lo ha emesso tutti i poteri che avrebbe avuto se l’atto non fosse stato impugnato eccetto la possibilità di ravvisarvi i vizi di legittimità ritenuti insussistenti dal giudice -, non è ipotizzabile in tale tipo di pronuncia uno sconfinamento nella sfera del merito e quindi della discrezionalità e opportunità dell’azione amministrativa (Cass., Sez. U., 9 novembre 2001, n. 13927; Cass., Sez. U., 6 dicembre 2001, n. 15496);

che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

che poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

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