Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31098 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 30/11/2018, (ud. 12/09/2018, dep. 30/11/2018), n.31098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3440-2018 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO

PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PALLINI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo

studio TRIFIRO’ & PARNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati

GIACINTO FAVALLI, PAOLO ZUCCHINALI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 17723/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO

FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che:

– il Tribunale di Milano – con sentenza n. 1221/2015, in sede di opposizione proposta ai sensi della L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 51, – annullava il licenziamento intimato in data 29 aprile 2014 a G.M. dalla Unipolsai s.p.a. con condanna di quest’ultima alla reintegrazione del G. nel luogo di lavoro ed al risarcimento del danno liquidato nei termini di cui in sentenza avendo ritenuto violativi della privacy del lavoratore i controlli investigativi effettuati in quanto invasivi ed insussistenti alcuni degli episodi contestati anche alla luce della espletata istruttoria;

– in parziale riforma di tale decisione impugnata dalla società, la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 4 agosto 2015, dichiarava risolto il rapporto di lavoro in data 29 aprile 2014 e condannava la Unipolsai a corrispondere al G. un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto;

– per la cassazione di tale pronuncia proponevano ricorso principale il G. ed incidentale la società, rispettivamente rigettato il primo e dichiarato inammissibile il secondo giusta sentenza n. 17723 del 18 luglio 2017 di questa Corte;

che per la revocazione di tale decisione per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4, ha proposto ricorso il G. affidato a due motivi cui resiste con controricorso la società;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c. in cui: il ricorrente dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l’accoglimento del ricorso; la società ribadisce la richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con entrambi i motivi di ricorso si deduce che l’impugnata sentenza sarebbe affetta da errore di fatto in quanto:

– 1) ha ritenuto l’inapplicabilità della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 3,4 e 8 sull’erronea supposizione di un fatto – ovvero che l’indagine da parte del datore di lavoro si era svolta integralmente in una sfera eccedente i luoghi di lavoro – la cui verità era stata incontestabilmente esclusa dagli atti di causa dai quali era emerso, invece, che l’attività investigativa svolta dall’agenzia privata non aveva affatto riguardato “la sfera eccedente i luoghi di lavoro” ma aveva sconfinato nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria nei luoghi deputati allo svolgimento di detta attività con conseguente inutilizzabilità delle prove raccolte;

– 2) ha considerato che l’invasività dei controlli dal punto di vista quantitativo non avesse ecceduto i principi di adeguatezza e proporzionalità sull’errata circostanza di fatto che la durata dei pedinamenti era durata circa 20 giorni ed era iniziata a metà di dicembre 2013, come ritenuto dalla Corte d’appello, laddove, invece, l’attività investigativa era cominciata il 15 novembre 2013 e continuata, quantomeno, fino al 14 gennaio 2014;

che il ricorso è inammissibile non denunciando entrambi i motivi alcun errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, il quale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza – e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonchè 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006;

13915/2005; 8295/2005); che, pertanto, non è stata ritenuta inficiata da errore di fatto la sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del motivo d’impugnazione, in quanto espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perchè in tal caso è dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso (Cass. n. 10466/2011; 14608/2007), così come è stata esclusa la ricorrenza di errore revocatorio nel preteso errore nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso (Cass. n. 5086/08), nell’interpretazione dei motivi (Cass. n. 9533/06) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076/08), così come si è escluso che possa rappresentare errore revocatorio il mancato rispetto del principio di autosufficienza del motivo di ricorso (Cass.14608 del 2007);

che, nel caso in esame, quello che viene additato come errore revocatorio nel primo motivo finisce con il riproporre una interpretazione estensiva ed analogica della citata L. n. 300 del 1970, artt. 3,4 e 8, che è stata ritenuta non fondata nella decisione di cui si chiede la revocazione la quale ha chiarito che, nel caso in esame, si trattava “…di un’attività investigativa svolta da un’agenzia privata e connessa ad una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, indagine che ricade nella figura del “controllo difensivo” da parte del datore di lavoro in un sfera eccedente i luoghi di lavoro” e, in effetti, finisce con il denunciare un errore di giudizio e non un errore di fatto;

che, del pari, l’errore individuato nel secondo motivo in sui sarebbe incorsa questa Corte in realtà è fondato su un accertamento di fatto operato dalla Corte d’appello, quindi, su una valutazione di merito non sindacabile in questa sede, come evidenziato nella sentenza qui impugnata;

che, pertanto, il ricorso, anzichè prospettare errori della Corte di cassazione, chiede una rivisitazione delle conclusioni cui essa è giunta nella valutazione del percorso argomentativo compiuto dalla Corte di merito, valutazione che esorbita dai limiti entro i quali può essere operato il sindacato in sede di ricorso per revocazione (vedi, da ultimo da Cass. n. 30994 del 27 dicembre 2017 e ulteriori precedenti ivi richiamati);

che, alla luce di quanto esposto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dell’ Unipolsai s.p.a.;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), art. 1, comma 17, trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

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