Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31091 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 30/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 30/11/2018), n.31091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 12433/2013 proposto da:

S.S.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MUGGIA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA

BORDONE, FERDINANDO FELICE PERONE, PAOLO PERUCCO;

– ricorrente –

contro

CITTA’ DI BUSTO ARSIZIO, in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II N. 118, presso lo

studio dell’avvocato MAURO MONTINI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO CARINCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1627/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/11/2012 R.G.N. 251/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2018 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato Stefano Muggia;

udito l’Avvocato Franco Carinci.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da S.S.S. nei confronti della città di Busto Arsizio, domanda volta all’accertamento della illegittimità del recesso intimato dalla Giunta Municipale per mancato superamento del patto di prova e alla pronuncia dei provvedimenti restitutori economici e reali.

2. A fondamento del “decisum” la Corte territoriale, dopo avere precisato che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5,comma 2 e del D.Lgs n. 267 del 2000, art. 107, comma 3, il potere di risoluzione del rapporto di lavoro spetta al Dirigente, ha ritenuto che il recesso adottato dalla Giunta Municipale era legittimo.

3. Tanto sul rilievo che la S., che rivestiva la qualità di Dirigente del “Settore Personale Organizzazione Formazione”, non avrebbe potuto risolvere il proprio rapporto di lavoro, risoluzione da adottarsi entro il termine di scadenza del patto di prova.

4. La Corte territoriale ha ritenuto che l’assenza di disposizioni regolamentari, o di altra fonte, che individuassero a priori il dirigente competente a risolvere il rapporto di lavoro della S. escludeva che il Comune potesse affidare ad altri dirigenti l’adozione dell’atto risolutivo di tale rapporto ostandovi il principio, enunciato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze n. 20981 del 2009 e n. 2168 del 2004, secondo cui l’assenza del soggetto competente all’adozione di un atto non ne legittima l’emanazione da parte di un diverso componente dell’Amministrazione.

5. La Corte territoriale ha anche affermato che: il patto di prova era legittimo perchè nel contratto individuale erano stati indicati il settore di assegnazione, le funzioni e le responsabilità assegnate; nel provvedimento di recesso erano state indicate le ragioni dell’esito sfavorevole dell’esperimento ed erano state evidenziate le criticità emerse nel corso del periodo di prova; la valutazione dell’ esperimento era stata effettuata in modo corretto in quanto era stata riferita allo specifico settore ed alle funzioni assegnate; erano irrilevanti le diverse ed ipotetiche mansioni che il Comune avrebbe potuto assegnare alla S.; non era emerso alcun motivo illecito o estraneo alla prova e, d’altra parte, la lavoratrice non aveva allegato l’irregolare svolgimento dell’esperimento.

6. La Corte territoriale ha escluso che sull’Amministrazione gravasse l’onere di contestare o di censurare previamente le rilevate mancanze.

7. Avverso questa sentenza S.S.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria, al quale ha resistito con controricorso il Comune di Busto Arsizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Sintesi dei motivi.

8. La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto legittimo l’atto di recesso adottato dalla Giunta Municipale.

9. Ciò fa denunciando la violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, comma 3 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5,comma 2 (primo, secondo e terzo motivo) anche in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 2 (primo motivo) e al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 (secondo motivo).

10. La medesima statuizione è oggetto della censura formulata nel quarto motivo, nel quale è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (individuazione da parte del Comune della figura dirigenziale deputata ad adottare gli atti di gestione al momento dell’assunzione) e nel quinto motivo, nel quale è denunciata la violazione dell’art. 2096 c.c. e dell’art. 15 del CCNL del Comparto Regioni e Autonomie Locali del 10.4.1996.

11. La ricorrente (primo, secondo, terzo e quinto motivo) sostiene che, alla luce delle disposizioni di legge e di negoziazione collettiva richiamate nelle rubriche dei motivi, il potere di emanare gli atti di gestione dei rapporti di lavoro deve ritenersi attribuito solo ai dirigenti e assume che l’organo politico (Giunta Municipale) può adottare soltanto atti di indirizzo e di controllo politico amministrativo.

12. Con la censura di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (quarto motivo) la ricorrente imputa alla Corte territoriale di non avere considerato che essa ricorrente aveva dedotto che il Comune non aveva dimostrato l’oggettiva impossibilità di individuare “ex ante” un organo dirigenziale legittimato ad adottare gli atti di gestione del suo rapporto di lavoro e che all’interno dell’Amministrazione esistevano, come dedotto da essa ricorrente, altre figure dirigenziali riconducibili all’area amministrativa, ovvero alla medesima area di attribuzione di essa ricorrente, e altre figure professionali in grado di risolvere il rapporto di lavoro (il dirigente “ad interim” che aveva sottoscritto il contratto di assunzione, il presidente della Commissione di concorso, il vice segretario generale dell’amministrazione).

13. Con il quinto motivo la ricorrente fa discendere dalla incompetenza della Giunta Municipale ad adottare il provvedimento di recesso, il mancato assolvimento da parte dell’Amministrazione dell’onere di motivare il recesso per mancato superamento del periodo di prova.

14. Esame dei motivi.

15. Reputa il Collegio che premessa dell’esame delle censure sia la ricostruzione critica del complesso quadro normativo nel quale si colloca la controversia in esame.

16. Il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, trova fondamento nella Costituzione (art. 95 Cost., comma 2, art. 97,commi 2 e 3, art. 98, comma 1).

17. Con riguardo alla dirigenza amministrativa, la Corte Costituzionale ha affermato più volte che una “netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie (Corte Cost. n. 161 del 2008) costituisce una condizione “necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa” (Corte Cost. n. 304 del 2010, n. 390 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007, n. 81 del 2013).

18. La Corte Costituzionale ha osservato che al principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost., si accompagna, come naturale corollario, la separazione tra politica e amministrazione, tra “l’azione del governo – che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’ amministrazione – che, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento” (Corte Cost. n. 453 del 1990).

19. Essa, inoltre, ha precisato che l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa spetta al legislatore e che tale “potere incontra un limite nello stesso art. 97 Cost.: nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione” (Corte Cost. n. 81 del 2013).

20. I principi affermati dalla Costituzione sono stati recepiti nel D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego), come successivamente modificato dal D.Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546 e dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), a sua volta oggetto di ripetuti interventi riformatori.

21. Entrambi i decreti legislativi hanno delineato gli aspetti caratterizzanti della nuova dirigenza pubblica muovendo proprio dal principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa e affidando ai dirigenti un’autonoma legittimazione e una diretta responsabilità per la gestione.

In particolare, il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (che ha raccolto le disposizioni contenute nel D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) ha separato le funzioni e le competenze degli organi politici e degli organi amministrativi.

22. Esso, nel testo applicabile “ratione temporis” (il licenziamento dedotto in giudizio è stato adottato il 27 luglio 2007), dispone (art. 4, comma 1) che “Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo (definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, adozione di altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, verifica della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti).

23. I compiti ed i poteri dei dirigenti sono individuati nell’art. 4, comma 2, che attribuisce loro “l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonchè la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo” e, correlativamente, la responsabilità esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

24. Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, stabilisce, inoltre, che queste attribuzioni possono “essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative” (comma 3).

25. L’art. 6 (Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche), art. 16 (Funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali) e art. 17 (Funzioni dei dirigenti) integrano le disposizioni innanzi richiamate e, ad un tempo, rafforzano il collegamento tra organi politici e dirigenti, ferma la garanzia prevista dall’art. 22 (Comitato dei garanti) con riguardo alla responsabilità dirigenziale.

26. Infine, l’art. 27 (Criteri di adeguamento per le pubbliche amministrazioni non statali), completa la regola della applicabilità in via generale dei principi contenuti nello stesso decreto a tutte le pubbliche Amministrazioni (art. 1) stabilendo in modo espresso che “Le regioni a statuto ordinario, nell’esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e regolamentare, e le altre pubbliche amministrazioni, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano ai principi dell’art. 4 e del presente capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative peculiarità. Gli enti pubblici non economici nazionali si adeguano, anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano, adottando appositi regolamenti di organizzazione”.

27. Analoghi principi e regole si rinvengono nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

28. Esso, dopo avere individuato nel Consiglio, nella Giunta e nel Sindaco gli “organi di governo del Comune” (art. 36, comma 1) e stabilito che il Consiglio Comunale è “l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo” (art. 42, comma 1), riconosce nella Giunta Comunale l’organo che “collabora con il sindaco o con il presidente della provincia”, nel governo del comune o della provincia (art. 48, comma 1), precisando che essa compie “tutti gli atti rientranti ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento; collabora con il sindaco o con il presidente della provincia nell’attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso” e adotta i “regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio” (art. 48, comma 3).

29. Il riferimento espresso alle disposizioni contenute dell’art. 107, commi 1 e 2, disposizione che attua nell’ambito degli enti locali il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico amministrativo e funzioni di gestione amministrativa e negoziale propria dei dirigenti, consente di individuare agevolmente la linea di riparto delle competenze tra Giunta Comunale e dirigenti, per quanto attiene alle funzioni “latu sensu” esecutive dell’indirizzo politico. Va, infatti, considerato che mentre la Giunta è un organo di governo dell’Ente locale e svolge una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio, ai dirigenti compete l’assunzione di tutti i provvedimenti amministrativi o degli atti di diritto privato, necessari per conseguire gli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo (Cons. Stato n. 81 del 2013).

30. Va al riguardo osservato che l’art. 107, dopo avere disposto (comma 1) che “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti”, impone a questi ultimi di conformarsi al “principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”, precisa (comma 2) che ai dirigenti spettano “tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli artt. 97 e 108”.

31. Lo stesso art. 107, comma 3, lett. e) ricomprende tra i compiti riservati ai dirigenti quelli relativi agli “atti di amministrazione e di gestione del personale”, compiti questi ultimi ai quali fa riferimento anche l’art. 89 comma 6, che prevede, con formula sostanzialmente sovrapponibile a quella contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2, che “Nell’ambito delle leggi, nonchè dei regolamenti di cui al comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.

32. Il quadro normativo di fonte legale innanzi ricostruito attesta in modo inequivoco che gli atti di gestione dei rapporti di lavoro dei dipendenti del Comune sono riservati alla esclusiva competenza del personale che riveste la qualifica dirigenziale, le cui attribuzioni, ai sensi del D.Lgs. n. 297 del 2000, art. 107, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e “ad opera di specifiche disposizioni legislative”. In parte qua la disposizione è sovrapponibile a quella che si legge nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, comma 3 (a sua volta riproduttiva della disposizione contenuta nel D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 3, comma 3, come modificato dal D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387).

33. Nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 48, comma 2, non è rinvenibile alcuna deroga alla sfera di competenza dei dirigenti degli enti locali, diversamente da quanto opina il controricorrente (controricorso pg. 13) in quanto i poteri della Giunta Comunale sono ritagliati dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, nell’ambito della regola fondamentale della separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti (cfr. punti 28 e 29 di questa sentenza).

34. E’ innegabile che la distinzione fra attività di indirizzo politico e gestione tecnico-amministrativa non implica che esse, seppure distinte, non debbano in nessun caso comunicare fra loro, perchè, al contrario, deve sussistere uno stretto coordinamento tra le funzioni di indirizzo e quelle di gestione, giacchè quest’ultime vanno svolte conformemente agli obiettivi fissati dagli organi politici (Cass. 22396/2018). E’, però, altrettanto certo che il principio inderogabile di separazione tra poteri di indirizzo politico e poteri di gestione tecnico-amministrativa esclude incursioni ed invasioni di campo degli organi di governo degli Enti nell’ambito della competenza che la legge attribuisce ai dirigenti.

35. Va anche osservato che il D.Lgs. n. 267 del 2000, contiene numerose disposizioni che garantiscono all’apparato burocratico amministrativo di operare nel rispetto dei principi di imparzialità efficienza e legalità e nell’ambito del principio di separazione delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo rispetto alle funzioni di gestione amministrativa.

36. Se è significativa, al riguardo, l’attribuzione alla Giunta del potere di adottare i regolamenti “sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio” (art. 48, comma 3), non meno importante è la presenza presso i comuni della figura del “segretario titolare” prevista dal D.Lgs. n. 297 del 2000, art. 97, comma 1, il quale, oltre a svolgere compiti “di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti” (art. 97, comma 2), sovrintende anche allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l’attività, salvo i casi in cui, ai sensi e per gli effetti dell’art. 108, comma 1, il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale (art. 97, comma 3).

37. Inoltre, l’art. 108, comma 4, demanda al Segretario comunale, nei casi in cui il direttore generale non sia stato nominato, i compiti che l’art. 108, comma 1, attribuisce al direttore generale (attua gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, sovrintende alla gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza…. A tali fini, al direttore generale rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia).

38. Nel complesso e articolato sistema delineato dal D.Lgs. n. 267 del 2000, nei termini innanzi ricostruiti, l’inerzia degli organi di governo che si compendi nella mancata adozione di norme statutarie e regolamentari (artt. 6, 7, art. 48, comma 3) e nel mancato esercizio di funzioni di indirizzo politico- amministrativo (art. 42, comma 1, art. 48, comma 2, art. 50, commi 1 e 10) in ordine alle linee fondamentali di organizzazione degli uffici volte ad evitare vuoti di potere gestorio-amministrativo, non vale affatto a giustificare e a legittimare interferenze da parte di organi politici nell’ambito delle competenze proprie della dirigenza amministrativa in aperta violazione del più volte richiamato principio inderogabile di separazione di cui al più volte richiamato del D.Lgs. . 267 del 2000, art. 107.

Sulla scorta delle considerazioni svolte deve in conclusione ritenersi che:

39. il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo, spettanti agli organi di governo e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, che trova fondamento nella Costituzione (art. 95 Cost., comma 2, art. 97, commi 2 e 3, art. 98, comma 1), è stato recepito dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107;

40. ai sensi del D.Lgs. n. 267, art. 107, comma 1, i regolamenti dei comuni e delle province devono uniformarsi al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica deve essere attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo;

41. ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 48, la Giunta Comunale, che è organo di governo del Comune ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 36, comma 1, compie gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento e adotta i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio;

42. ai sensi dell’art. 107, commi 1 e 2, ai dirigenti spetta la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti e tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli artt. 97 e 108;

43. ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, comma 3, lett. e) e art. 89, comma 6, tra i compiti riservati in via esclusiva ai dirigenti sono ricompresi quelli relativi agli “atti di amministrazione e di gestione del personale”, questi ultimi adottati con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro;

44. nel complesso e articolato sistema delineato dal D.Lgs. n. 267 del 2000, l’inerzia della Amministrazione, che si compendi nella mancata adozione delle norme statutarie e regolamentari previste dagli artt. 6, 7, art. 48, comma 3 e nel mancato esercizio di funzioni di indirizzo politico- amministrativo in ordine alle linee fondamentali di organizzazione degli uffici (art. 42, comma 1, art. 48, comma 2, art. 50, comma 1) volte ad evitare vuoti di potere gestorio-amministrativo, non giustifica e non legittima interferenze da parte di organi politici nell’ambito delle competenze proprie della dirigenza amministrativa in violazione del principio inderogabile affermato nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107;

45. ai sensi delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 48,107 e 89, gli atti di gestione dei rapporti di lavoro adottati dalla Giunta Comunale sono inefficaci in quanto adottati da organo estraneo all’apparato burocratico amministrativo del Comune e per questo del tutto privo di poteri di gestione dei rapporti di lavoro che fanno capo al Comune.

46. In conclusione, sulla scorta delle considerazioni svolte vanno accolti il primo, il secondo, il terzo ed il quinto motivo di ricorso dovendo ritenersi che l’atto con il quale la Giunta Municipale ha inteso risolvere il rapporto di lavoro della S. è inefficace perchè adottato da un organo di governo del Comune privo, in quanto tale, dei poteri di gestione del rapporto stesso.

47. Dall’accoglimento del primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo di ricorso consegue l’assorbimento del quarto motivo, con il quale la ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non avere tenuto conto dell’esistenza delle specifiche figure professionali da essa indicate che avrebbero potuto adottare gli atti di gestione relativi al suo rapporto di lavoro.

48. La sentenza impugnata va cassata in ordine ai motivi accolti in quanto la Corte territoriale, pur ritenendo correttamente che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2 e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, comma 3, il potere di risoluzione del rapporto di lavoro è radicato in capo alla figura dirigenziale, in difformità rispetto ai principi di cui ai punti dal n. 39 al n. 45 di questa sentenza, ha attribuito rilevanza alla circostanza che nè nel Regolamento nè altrove era rinvenibile alcuna disposizione che individuasse il dirigente competente a risolvere il rapporto di lavoro della S..

49. La Corte territoriale, inoltre, nel richiamare il principio affermato da questa Corte, nelle sentenze n. 20981 del 2009 e n. 2168 del 2004, secondo il quale il procedimento instaurato da soggetto od organo diverso dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari è illegittimo, con conseguente nullità della sanzione irrogata in violazione delle regole inderogabili sulla competenza, non ha tenuto conto del fatto che tale principio non esclude affatto la possibilità che altre figure professionali proprie dell’apparato burocratico amministrativo ed estranee agli organi di governo del Comune possano intervenire nella gestione del rapporto di lavoro instaurato con la S. e adottare il provvedimento risolutivo.

50. Occorre precisare che l’inefficacia del provvedimento risolutorio adottato dalla Giunta Municipale non comporta la conversione del rapporto dedotto in giudizio da rapporto di lavoro in prova in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

51. Al riguardo va osservato che, non essendo in discussione nella fattispecie in esame la validità della clausola appositiva del patto di prova e non potendo omologarsi la disciplina del recesso per mancato superamento della prova alla giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo (Cass. 26679/2018, 23061/2017, 143/2008), deve escludersi che alla inefficacia dell’atto di recesso adottato da organo incompetente consegua la ricostituzione del rapporto, ovvero la sua conversione-trasformazione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

52. Va al riguardo richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui l’art. 2096 c.c., ed i principi elaborati dalla giurisprudenza sulla base di detta norma, non sono, infatti, applicabili allo “speciale” rapporto di pubblico impiego alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, risultando l’istituto della prova regolato da diverse, specifiche norme secondo la salvezza formulata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, rapporto in relazione al quale, per effetto del rinvio contenuto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 13, la disciplina dell’assunzione in prova è dettata dal D.P.R. n. 487 del 1994, art. 28 e dalla contrattazione collettiva (Corte costituzionale sentenze nn. 313/96, 309/97, 89/2003, 199/2003; Cass. nn. 26679/2018, 22396/2018, 21376/2018, 9296/2017, 17970/2010, 17970/2010, che nella specie è intervenuta a disciplinare la materia con l’art. 15 del CCNL 10.4.1996 per la dirigenza degli enti locali.

53. L’obbligo di motivare il recesso, imposto dalle parti collettive alle amministrazioni, non esclude nè attenua la discrezionalità dell’ente nella valutazione dell’esperimento, non incide sulla ripartizione degli oneri probatori, nè porta ad omologare il recesso per mancato superamento della prova al licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, essendo finalizzato solo a consentire la “verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall’altro, all’effettivo andamento della prova stessa”, fermo restando che grava sul lavoratore l’onere di dimostrare il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite o la contraddizione tra recesso e funzione dell’esperimento medesimo (Cass. nn. 26679/2018, 23061/2017, 21586/2008, 19558/2006). Finalità queste escluse dalla sentenza impugnata e non oggetto di censure sul punto.

54. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in ordine ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione che dovrà fare applicazione dei principi di diritto richiamati nei punti dal n. 39 al n. 45 e nei punti dal n. 50 al n. 53 di questa sentenza.

55. La Corte territoriale dovrà anche provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

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