Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31090 del 28/12/2017


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 31090 Anno 2017
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: DI MARZIO MAURO

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ORDINANZA
sul ricorso 21327-2016 proposto da:
HOTEL OLIMPIC SRL, in persona del legale rappresentante,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 8,
presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CRISCI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO
PASQUINELLI;
– ricorrente –

contro
BANCA MONTE PASCHI SIENA SPA, in persona del legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ANTONIO BOSIO 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO
LUCONI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIANO BERTI
ARNOALDI VELI;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1177/2016 della CORTE D’APPELLO di
BOLOGNA, depositata il 05/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. MAURO
DI MARZIO.

RILEVATO CHE

Data pubblicazione: 28/12/2017

1. — Con sentenza del 5 luglio 2016 la Corte d’appello di
Bologna ha accolto l’appello proposto dalla Banca Monte dei
Paschi di Siena S.p.A., nei confronti di Olimpic Hotel S.p.A. e
Pelloni Giampaolo, avverso la sentenza con cui il Tribunale di
Modena aveva condannato la banca ed il Pelloni, in solido, al

30.000,00, oltre accessori e spese, rigettando per l’effetto la
domanda in tal senso proposta da quest’ultima società contro
l’istituto di credito.
A fondamento della decisione la Corte territoriale ha ritenuto
che l’addebito rivolto dall’originaria attrice alla banca,
consistente nell’aver pagato al Pelloni, che non era legittimato,
due assegni emessi in favore di Olimpic Hotel S.p.A., non
avesse fondamento, dal momento che il Pelloni aveva
legittimamente riscosso gli assegni in forza di procure
rilasciatagli dalla società.

2. — Per la cassazione della sentenza Olimpic Hotel S.p.A. ha
proposto ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria.
La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ha resistito con
controricorso,

deducendo

anzitutto

l’inammissibilità

dell’impugnazione.

CONSIDERATO CHE

3. — Con il primo motivo, rubricato:

«Violazione e falsa

applicazione degli articoli 1324, 1362 e 1363 c.c. in relazione
all’articolo 360, n. 3, c.p.c.», la società ricorrente censura la
sentenza impugnata per aver violato i canoni ermeneutici
dettati dagli articoli 1362 e 1363 c.c., applicabili agli atti
unilaterali ai sensi dell’articolo 1324 c.c., dal momento che le

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pagamento, in favore di Olimpic Hotel S.p.A., dell’importo di C

due procure considerate dal giudice di merito escludevano con
tutta evidenza che il Pelloni potesse incassare in proprio
assegni emessi in favore di Olimpic Hotel S.p.A..
Con il secondo motivo, rubricato:

«Violazione e falsa

applicazione dell’articolo 43 regio decreto n. 1736 del 1933», si

principi che disciplinano la circolazione, negoziazione ed
incasso degli assegni, essendo stato effettuato il pagamento al
soggetto non legittimato.

RITENUTO CHE

4.

— Il Collegio ha disposto l’adozione della modalità di

motivazione semplificata.

5. — Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile.
Se è pur vero che la violazione dei canoni ermeneutici dettati
dall’articolo 1362 e seguenti c.c. costituisce violazione di legge,
suscettibile di essere fatta valere, come ha fatto la ricorrente,
ai sensi del n. 3 dell’articolo 360 c.p.c. (Cass. 14 luglio 2016,
n. 14355), è altrettanto vero che in tema di interpretazione del
contratto, il sindacato di legittimità non può investire il
risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei
giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo
alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della
coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente
inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà
negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una
diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi
esaminati (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465). In altri termini,

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censura la sentenza impugnata per aver violato i fondamentali

per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice
al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o
la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili,
interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale
sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è

disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del
fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 2 maggio 2006, n.
10131; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22899; Cass. 16 febbraio
2007, n. 3644; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 25
settembre 2012, n. 16254; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125)
Nel caso in esame la società ricorrente lamenta per un verso la
violazione del criterio letterale di cui all’articolo 1362 c.c. e, per
altro verso la violazione della regola posta dal successivo
articolo 1363 c.c. secondo cui le clausole del contratto si
interpretano le une per mezzo delle altre.
E tuttavia la soluzione interpretativa cui è pervenuta la Corte
d’appello secondo cui il Pelloni era legittimato

«ad agire in

rappresentanza della società ed a provvedere alla vendita di
unità immobiliari, all’incasso del relativo prezzo e dei titoli
ricevuti da terzi … con la possibilità di compiere atti dispositivi
e di operare sui conti correnti della società», sicché egli aveva
il potere di incassare gli assegni, trova un plausibile
fondamento nel testo delle due procure trascritte nel corpo del
ricorso per cassazione, laddove si afferma, nella prima, che il
mandatario poteva «convenire e riscuotere … i singoli prezzi di
vendita», e nella seconda, integrativa della prima, che il
medesimo Pelloni poteva compiere

«anche»

operazioni

ulteriori, quale il «versare sui conti correnti della società gli

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consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi

assegni ricevuti in corrispettivo della cessione delle singole
unità immobiliari».
Sicché la doglianza, in definitiva, si risolve nell’attribuire alla
clausola un significato difforme da quello plausibilmente
prescelto dalla Corte d’appello, con conseguente sottrazione,

sindacato della Corte di legittimità.
Né, d’altro canto, l’interpretazione della procura data dalla
Corte d’appello potrebbe cadere sotto il profilo del vizio
motivazionale: sia perché un motivo in tal senso non è stato
spiegato, sia perché, in ogni caso, la motivazione addotta dal
giudice di merito si colloca al di sopra dell’asticella del «minimo
costituzionale» (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Il secondo motivo, che è in realtà una proiezione del primo, è
conseguentemente

inammissibile,

giacché

una

volta

riconosciuta la legittimazione a riscuotere in forza delle procure
viene a cadere in radice l’assunto secondo cui la banca avrebbe
pagato gli assegni a soggetto non legittimato.

6. — Le spese seguono la soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società
ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle
spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in
complessivi C 4100,00, di cui C 100,00 per esborsi, oltre spese
generali nella misura del 15% e quant’altro dovuto per legge;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1
quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento,
a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di

Ric. 2016 n. 21327 sez. MI – ud. 07-11-2017
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alla luce dei principi poc’anzi ricordati, di detto giudizio al

contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma
dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2017.

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