Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3109 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 10/02/2020), n.3109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8439/2018 R.G. proposto da:

NUOVA CASA DI CURE DEMMA S.R.L., in persona dell’amministratore unico

p.t. C.J., rappresentata e difesa dall’Avv. Domenico

Damiani, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI PALERMO, in persona del Commissario

p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Giorgio Li Vigni e Fulvio

Romeo, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via Monte Santo, n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1423/17

depositata il 27 luglio 2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. Mercolino Guido.

Fatto

RILEVATO

che la Nuova Casa di Cure Demma S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 27 luglio 2017, con cui la Corte d’appello di Palermo ha rigettato il gravame da essa interposto contro la sentenza emessa il 6 febbraio 2012 dal Tribunale di Palermo, che aveva rigettato la domanda di condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo al pagamento degl’interessi dovuti ai sensi del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 5, ed in subordine degl’interessi legali, proposta dalla ricorrente per il ritardo nel pagamento del corrispettivo di prestazioni specialistiche erogate negli anni 2005-2006 in favore degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale, in regime di preaccreditamento;

che l’ASP ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,116 e 167 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non provata l’esistenza di un accordo negoziale e la data di pagamento del corrispettivo, senza considerare che l’ASP non aveva contestato la documentazione indicata nell’atto di citazione in primo grado e contestualmente prodotta in giudizio e l’effettuazione del pagamento, ma si era limitata ad eccepire l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002 e la mancanza di un atto di costituzione in mora;

che il motivo è infondato;

che correttamente, infatti, la sentenza impugnata ha distinto, nell’ambito della disciplina dei rapporti tra il Servizio sanitario regionale e le strutture sanitarie private, il momento autorizzativo dell’accreditamento da quello della stipula di specifiche convenzioni, ritenendo necessaria, ai fini della remunerazione delle prestazioni rese dalle strutture accreditate, la dimostrazione dell’avvenuta stipulazione di una convenzione scritta, ed escludendo il diritto della ricorrente al riconoscimento degl’interessi, in mancanza della predetta prova;

che, in tema di ritardo nel pagamento del corrispettivo di prestazioni sanitarie erogate in favore degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale da strutture private in regime di preaccreditamento, questa Corte ha affermato ripetutamente che il riconoscimento degli interessi di mora nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002 è subordinato alla prova dell’avvenuta stipulazione, in data successiva all’8 agosto 2002, di una convenzione tra la struttura e l’ente pubblico competente, con cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo di retribuire, alle condizioni e nei limiti indicati, determinate prestazioni erogate dalla struttura, non risultando a tal fine sufficiente il provvedimento di accreditamento provvisorio o definitivo, il quale, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-quater, comma 2, non comporta l’obbligo di corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies (cfr. Cass., Sez. III, 2/07/2019, n. 17665; 11/10/2016, n. 20391);

che con i predetti accordi, da stipularsi nella forma scritta richiesta a pena di nullità per i contratti degli enti pubblici, la struttura si vincola infatti a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonchè i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio, mentre l’ente pubblico si obbliga al pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti, impegnandosi ad effettuarlo secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa (cfr. Cass., Sez. III, 29/11/2018, n. 30917; 5/07/2018, n. 17588);

che la prescrizione della forma scritta ad substantiam per la stipulazione dell’accordo esclude l’operatività del principio, sancito dall’art. 115 c.p.c., comma 1, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione senza necessità di prova, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti nè la prova testimoniale o per presunzioni, nè la stessa confessione della controparte (cfr. Cass., Sez. I, 17/10/2018, n. 25999; 10/08/2001, n. 11054);

che il ricorso va pertanto rigettato, restando assorbito il secondo motivo, con cui la ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dello art. 1219 c.c., del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 4, art. 5, comma 1, e art. 11, comma 1, nonchè la contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, sostenendo che gl’interessi previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002 sono automaticamente dovuti alla scadenza del termine previsto per il pagamento, senza necessità di costituzione in mora, mentre per quelli legali, richiesti in via subordinata, era stata fornita la prova scritta della costituzione in mora dell’ASP;

che le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della con-troricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 10 febbraio 2020

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