Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31077 del 30/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 30/11/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 30/11/2018), n.31077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERIO Federico – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29027-2016 proposto da:

A.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA NIZZA, 63/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO CROCE,

rappresentata e difesa dagli avvocati LUIGI CIAMBRONE, ANTONELLA

MASCARO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4830/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/10/2016 R.G.N. 1988/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato LUIGI CIAMBRONE anche per delega dell’Avvocato

ANTONELLA MASCARO;

udito l’Avvocato ENZO MORRICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4830 pubblicata il 14.10.2016, in accoglimento del reclamo proposto da Anas s.p.a. e in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato con lettera del 15.2.2013 alla sig.ra A., responsabile legale dell’Unità Territoriale di Catanzaro.

2. La Corte territoriale, respinte le eccezioni preliminari di inammissibilità e improcedibilità del reclamo sollevate dalla sig.ra A., ha dichiarato inammissibili le domande di reintegra e risarcimento danni proposte da quest’ultima con la memoria di costituzione in sede di reclamo, sul rilievo che la statuizione di inammissibilità di tali domande, contenuta nella sentenza di primo grado e motivata dalla tardiva costituzione della lavoratrice nel giudizio di opposizione, avrebbe dovuto essere impugnata con apposito atto di reclamo (incidentale).

3. Quanto alla facoltà del datore di lavoro di chiedere l’accertamento della legittimità del licenziamento utilizzando il rito introdotto dalla L. n. 92 del 2012, la Corte d’appello ha ritenuto la questione posta dalla lavoratrice priva di rilevanza, in ragione della fase in cui si trovava il giudizio e per essere stato il ricorso in opposizione proposto anche ai sensi dell’art. 414 c.p.c.; comunque, il rito suddetto utilizzabile dal datore di lavoro in assenza di una specifica preclusione normativa.

4. Nel merito, ha considerato legittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice in ragione della sussistenza degli addebiti contestati (rispetto ai quali la dipendente aveva dedotto trattarsi di adempimenti di competenza dei suoi sottoposti e di ritardi dovuti a carenza di organico nell’ufficio) e quindi della accertata inosservanza delle procedure aziendali in ciascuna delle diciassette pratiche, estratte a campione, relative a procedimenti esecutivi introdotti nei confronti dell’Anas s.p.a. e gestiti dalla sig.ra A., della gravità delle plurime e ripetute violazioni delle procedure interne e del danno economico in tal modo cagionato alla società, elementi atti ad integrare la previsione di cui all’art. 57 del c.c.n.l. di settore.

5. Secondo la Corte di merito, doveva escludersi la tardività della contestazione, inviata alla sig.ra A. dopo sedici giorni dalla conclusione della procedura ispettiva svolta presso la società; quanto alla affissione del codice disciplinare, l’allegazione sul punto della società non era stata specificamente contestata dalla lavoratrice e, comunque, l’addebito aveva ad oggetto la violazione di doveri fondamentali della stessa, riconoscibili anche in assenza di specifica previsione; infine, il licenziamento era stato intimato con lettera sottoscritta dal Direttore Centrale Risorse, Organizzazione e Sistemi, munito del necessario potere e, comunque, la decisione di recesso era stata fatta propria dal legale rappresentante della società con il ricorso in giudizio per l’accertamento della sua legittimità.

6. Per la cassazione della sentenza la sig.ra A. ha proposto ricorso, affidato a dieci motivi, cui ha resistito con controricorso la società.

7. Con memoria di risposta a controricorso, la difesa della sig.ra A. ha eccepito l’inesistenza del controricorso avversario, notificato a mezzo PEC, in quanto privo di firma digitale del difensore e della allegazione di relativa procura speciale.

8. La società Anas s.p.a. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’eccezione di inesistenza del controricorso, sollevata da parte ricorrente, non può trovare accoglimento, anzitutto, in base al rilievo che l’allegazione, contenuta nella memoria della difesa A. secondo cui “il file allegato da controparte (controricorso) sia sfornito di firma digitale in quanto si apre come semplice file Pdf”, non vale a smentire quanto risultante dalla e-mail del 19.1.17 ore 19.07 inviata tramite PEC dal legale della società ai difensori della lavoratrice, depositata unitamente al controricorso e munita della attestazione di conformità. Questa e-mail include tra gli allegati: il controricorso, la procura rilasciata dalla A. e la relata di notifica, ciascuno sia in formato “pdf” e sia in formato “p7m”, sigla quest’ultima propria dei documenti firmati digitalmente. Il fatto su cui si basa l’eccezione in esame, cioè che il documento si apra come “pdf”, cliccando sulla relativa icona, non esclude logicamente l’esistenza del documento anche in formato “p7m”, quindi come munito di firma digitale.

2. Peraltro questa Corte ha già statuito, seppure con riferimento al ricorso per cassazione, che “Ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 3 e art. 6, comma 1, come modificata dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-quater introdotto dalla L. n. 228 del 2012, per la regolarità della notifica del ricorso per cassazione costituito dalla copia informatica dell’atto originariamente formato su supporto analogico, non è necessaria la sottoscrizione dell’atto con firma digitale, essendo sufficiente che la copia telematica sia attestata conforme all’originale, secondo le disposizioni vigenti “ratione temporis” (nella specie, D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 22, comma 2). Qualora il deposito del ricorso per cassazione non sia fatto con modalità telematiche, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., dell’avvenuta sua notificazione per via telematica va data prova mediante il deposito – in formato cartaceo, con attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratti – del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, dei suoi allegati e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna previste dal D.P.R. n. 68 del 2005, art. 6, comma 2, (Cass. 26102 del 2016).

3. Con il primo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto violazione L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47 e ss., dell’art. 100 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18 censurando la sentenza per aver ritenuto ammissibile la domanda del datore di lavoro, di accertamento della legittimità del licenziamento, proposta secondo il rito introdotto dalla L. n. 92 del 2012.

4. Ha sostenuto come la Corte d’appello abbia svolto il procedimento secondo il rito cd. Fornero, come si ricava dal verbale d’udienza del 7.10.16 (trascritto nella parte rilevante e indicato come prodotto al n. 9 del fascicolo di parte di cassazione); come la stessa abbia errato nel definire non rilevante la questione in oggetto che, al contrario, se accolta avrebbe dovuto determinare la declaratoria di inammissibilità dell’azione in giudizio di parte datoriale (come dedotto nelle conclusioni del giudizio di opposizione, riportate, con indicazione della collocazione processuale dei relativi atti, a pag. 14 del ricorso in esame); come, dal punto di vista letterale, depongano per la improponibilità della domanda di accertamento datoriale il riferimento nella L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, alle “impugnative di licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art. 18 St. lav.” e la previsione della conclusione della fase sommaria con “ordinanza immediatamente esecutiva”; come la tesi accolta dalla Corte d’appello consenta di sottrarre al lavoratore il giudice del luogo ove presta la sua attività; come il giudice dell’opposizione e quello di reclamo avrebbero, al più, dovuto disporre un mutamento del rito, al fine di sanare l’azione datoriale e previo consenso della lavoratrice, con fissazione di apposita udienza a cui la predetta avrebbe potuto costituirsi proponendo domanda riconvenzionale e richiedendo l’ammissione dei mezzi di prova.

5. Il motivo, oltre che inammissibile, in quanto privo delle necessarie indicazioni su dove e come la questione proposta fosse stata sollevata in sede di reclamo (il ricorso in esame riporta, alle pagine 16 e 17, unicamente stralci del ricorso per regolamento di competenza), è infondato.

6. Secondo l’insegnamento di questa Corte, la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge, ammesso che tale debba considerarsi il rito di cui alla L. n. 92 del 2012 rispetto alle domande di parte datoriale di accertamento della legittimità del licenziamento, non determina inammissibilità della domanda o nullità del procedimento e della sentenza emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito sia derivata una lesione del diritto di difesa, del contraddittorio o un diverso regime probatorio (cfr. Cass. n. 1201 del 2012; Cass., S.U., n. 25034 del 2006).

7. La ricorrente non ha dedotto alcuna specifica violazione dei suddetti diritti.

8. Nè può ravvisarsi alcun vizio nello spostamento del processo dinanzi ad un giudice territorialmente diverso da quello adito dalla lavoratrice, essendo ciò necessario in ragione del superiore interesse alla trattazione congiunta dei procedimenti, in ipotesi di litispendenza o continenza, per evitare contraddittorietà di giudicati; il criterio di determinazione del giudice competente è quello relativo al giudice previamente adito (cfr. Cass., S.U., n. 17443 del 2014).

9. Con il secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza per violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51, per aver ritenuto proponibile l’opposizione della società datoriale avverso l’ordinanza di inammissibilità pronunciata dal Tribunale all’esito della fase sommaria, anzichè unicamente il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., con conseguente inammissibilità del reclamo, come rilevato nel ricorso per regolamento di competenza del 22.10.13, (individuato nella sua collocazione processuale).

10. Ha sottolineato come l’art. 1, comma 51 cit., consenta l’opposizione unicamente avverso l’ordinanza, di accoglimento o di rigetto, emessa all’esito della fase sommaria, da intendersi come ordinanze non di natura meramente processuale ma contenenti una decisione nel merito.

11. Il motivo non può trovare accoglimento. Questa Corte (Cass. n. 17443 del 2014) ha già respinto la tesi, come quella avanzata dall’attuale ricorrente, secondo cui nel rito c.d. Fornero non sia consentita la pronuncia, all’esito della fase sommaria, di una ordinanza di contenuto esclusivamente processuale. In particolare, si è precisato come “Nel rito…di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47 e segg., il giudizio a cognizione piena è soltanto eventuale ed è attivabile con l’opposizione (cfr. citato art. 1, comma 51), per cui se questa non viene proposta l’ordinanza conclusiva della fase sommaria è idonea a passare in giudicato. Con la conseguenza che è necessario che il giudice della fase sommaria del procedimento di cui all’art. 1, comma 48, ammetta ed esamini la questione di rito (nel caso di specie la litispendenza) e decida sulla stessa. Solo così, infatti, è possibile evitare un possibile conflitto di giudicati sulla stessa questione, nel pieno rispetto dei principi (posti alla base della disciplina prevista dall’art. 39 c.p.c.) di unitarietà della giurisdizione e di economia processuale. Nè… può condividersi la soluzione, pure prospettata, secondo cui, ove venga sollevata una questione di litispendenza (o continenza), il giudice della fase sommaria deve provvedere alla immediata conversione del rito sommario (ex comma 48) nel rito ordinario a cognizione piena. Tale soluzione non trova alcun riscontro nella disciplina del rito Fornero e si pone in contrasto col meccanismo processuale previsto dal legislatore, che ha configurato, infatti, la fase sommaria nelle cause aventi ad oggetto l’impugnativa del licenziamento (nelle ipotesi comprese nell’ambito di applicazione della L. n. 300 del 1970) come un passaggio processuale diretto a favorire una rapida definizione della causa”.

12. Se quindi l’ordinanza che definisce la fase sommaria può legittimamente avere contenuto solo processuale, rientrando tale esito nella formula del “rigetto”, deve ammettersi la proponibilità dell’opposizione avverso la stessa.

13. Con il terzo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto falsa applicazione degli artt. 434,342 e 348 bis c.p.c. per non avere la Corte territoriale dichiarato improcedibile il reclamo, contenente la mera riproposizione delle tesi esposte in primo grado e non una critica puntuale ai singoli capi della sentenza di primo grado.

14. Il motivo, oltre che inammissibile, per mancata trascrizione dei necessari atti processuali, è infondato. Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possa sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice, (Cass. n. 2814 del 2016; Cass. n. 25218 del 2011).

15. Con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 295 e 298 c.p.c. in relazione agli artt. 39 e 48 c.p.c.per la mancata sospensione del giudizio di opposizione, in pendenza del procedimento per regolamento di competenza dinanzi alla Corte di cassazione, e benchè la lavoratrice non fosse costituita, nonchè erronea declaratoria di tardività della costituzione della stessa nel giudizio di opposizione.

16. Ha argomentato come fosse da considerare sufficiente, ai fini della sospensione, l’istanza della lavoratrice del 24.10.13 di trasmissione atti alla Corte di Cassazione; ha precisato di aver sollevato la questione nel giudizio di opposizione e in sede di reclamo (riportando le parti rilevanti degli atti processuali e la loro collocazione nel fascicolo), in quest’ultimo caso senza ottenere alcuna pronuncia sul punto.

17. Il motivo, a prescindere da ogni altra valutazione, deve ritenersi assorbito in ragione della infondatezza del sesto motivo di ricorso che sarà nel prosieguo esaminato.

18. Con il quinto motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto violazione degli artt. 39 e 40 c.p.c. in relazione all’art. 273 o 274 c.p.c. per la mancata riunione dei due procedimenti, n. 21328/13 e n. 3974/15, pendenti dinanzi alla Sezione lavoro del Tribunale di Roma. Violazione del principio del contraddittorio. Falsa applicazione di legge nel considerare la fase sommaria e di opposizione come gradi diversi, ostativi alla riunione. Omessa motivazione da parte della Corte d’appello, nonostante la riproposizione della questione, come riportato a pag. 18 del presente ricorso.

19. Ha richiamato l’ordinanza n. 24790 del 2014 emessa nel procedimento per regolamento di competenza ed ha sostenuto come a causa della mancata riunione dei due procedimenti, quello volto all’accertamento di legittimità del licenziamento e quello di impugnativa dello stesso autonomamente instaurato presso il Tribunale di Roma, e della ritenuta tardività della costituzione nel primo procedimento, la lavoratrice fosse stata privata della fase di cognizione piena.

20. Il motivo non può trovare accoglimento in ragione della non impugnabilità dei provvedimenti, quali quelli emessi in tema di riunione (o meno) di processi, aventi natura ordinatoria e non decisoria, (cfr. Cass. n. 16992 del 2007; Cass. n. 11831 del 2003; Cass. n. 2013 del 2003; Cass. n. 9906 del 2001). Peraltro, la dichiarazione di litispendenza nel proc. n. 3974/15, avente ad oggetto la riassunzione del giudizio dopo l’ordinanza di rigetto del ricorso per regolamento di competenza, è avvenuta in conformità all’indirizzo di questa Corte (Cass. n. 17443 del 2014; Cass. n. 282 del 1996).

21. Con il sesto motivo la ricorrente ha dedotto violazione dell’art. 416 c.p.c., falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 343 c.p.c. o alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, falsa applicazione dell’art. 436 c.p.c. anche in relazione all’art. 346 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto necessaria la proposizione del reclamo incidentale sui capi della sentenza di primo grado con cui erano state dichiarate inammissibili le domande di reintegra e risarcimento del danno, nonostante la lavoratrice fosse risultata vittoriosa quanto alla declaratoria di illegittimità del licenziamento ed avesse riproposto nell’atto di costituzione in sede di reclamo tutte le eccezioni, deduzioni e difese già formulate. Ha inoltre dedotto violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e successive modifiche, per il mancato esame della domanda di reintegra e risarcimento del danno e delle istanze istruttorie, motivato in ragione della tardiva costituzione della dipendente nel giudizio di opposizione, nonostante peraltro la tardiva eccezione di parte datoriale sulla tardiva costituzione della lavoratrice.

22. Il motivo è infondato.

23. Questa Corte ha più volte affermato come “soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle; per contro, la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda o eccezione, di cui intende ottenere l’accoglimento, ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa”, (Cass. 6550 del 2013; cfr. Cass., S.U., n. 11799 del 2017; Cass. n. 12067 del 2007).

24. Nel caso in esame, la sentenza emessa in sede di opposizione ha respinto l’opposizione della società ritenendo infondata la domanda da questa proposta di accertamento della legittimità del recesso. Ha inoltre giudicato inammissibili le domande riconvenzionali (di condanna alla reintegra e al risarcimento del danno) proposte dalla lavoratrice sul presupposto della tardiva costituzione della stessa.

25. La lavoratrice, quindi, non era totalmente vittoriosa bensì soccombente sulla propria domanda di reintegra e risarcimento, ritenuta tardiva sul presupposto che non sussistessero i requisiti di cui all’art. 48 c.p.c. per la sospensione del processo. La stessa avrebbe quindi dovuto proporre reclamo incidentale per censurare la statuizione processuale di tardiva costituzione e riproporre la domanda di condanna della società datoriale alla reintegra e al risarcimento del danno, e non limitarsi alla mera riproposizione delle eccezioni.

26. Con il settimo motivo la lavoratrice ha censurato la sentenza per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e successive modifiche, della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, per aver erroneamente escluso la tardività della contestazione disciplinare. Ha dedotto la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 116 c.p.c., violazione dell’art. 54 c.c.n.l. per decadenza dall’esercizio del potere disciplinare da parte del datore nonchè intimazione del licenziamento da parte di soggetto privo del relativo potere.

27. La ricorrente ha sottolineato come, in base alla relazione Audit, la conoscenza datoriale del numero anomalo di pignoramenti presso l’Unità Territoriale di Catanzaro risalisse ad ottobre-novembre 2011 mentre la procedura disciplinare aveva avuto inizio nel novembre 2012, ampiamente oltre il termine di novanta giorni previsto dal contratto collettivo, come eccepito sia nel giudizio di opposizione e sia in quello di reclamo. Che comunque la relazione Audit era stata redatta il 23.7.12 e il giorno dopo trasmessa al Capo Compartimento dell’Anas di Catanzaro, e che anche rispetto ad essa la contestazione disciplinare notificata il 22.11.12 dovesse considerarsi tardiva.

28. Ha rilevato come, ai sensi dell’art. 54 c.c.n.l., la contestazione degli addebiti che possano comportare la sanzione del licenziamento e l’intimazione del licenziamento fossero di competenza dell’Amministratore dell’Anas s.p.a. laddove il licenziamento della sig.ra A. era stato intimato dal Capo del Personale.

29. Il motivo è infondato.

30. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo l’addebito non grave o comunque non meritevole della massima sanzione (Cass. n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005; Cass. n. 11100 del 2006). Si è inoltre sottolineato come il criterio dell’immediatezza, esplicazione del generale precetto di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, vada inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti, specie quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un’unica condotta, ed implichi pertanto una valutazione globale ed unitaria, ovvero quando la complessità dell’organizzazione aziendale e della relativa scala gerarchica comportino la mancanza di un diretto contatto del dipendente con la persona titolare dell’organo abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere, sicchè risultano ritardati i tempi di percezione e di accertamento dei fatti e, quindi, di adozione dei relativi provvedimenti (Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007; Cass. n. 19159 del 2006; Cass. n. 6228 del 2004; Cass. n. 12141 del 2003). Ove sussiste un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, questa Corte ha, altresì, rimarcato che la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova è a carico del datore di lavoro (Cass. n. 7410 del 2010). Va segnalato che, sempre secondo consolidato orientamento di questa Corte, la valutazione relativa alla tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (Cass. n. 19115 del 2013 ed altre sopra citate).

31. In base a tali principi deve riconoscersi la correttezza giuridica della sentenza impugnata che ha dato conto della complessità dell’indagine, con esame approfondito delle pratiche estratte a campione, conclusa con la relazione ispettiva datata 5.11.2012, cui era seguita, a distanza di sedici giorni, la contestazione disciplinare, dovendosi escludere anche la dedotta violazione dell’art. 54 c.c.n.l..

32. La censura sulla carenza del potere di licenziare in capo al dott. B., capo del personale, è inammissibile perchè attinente ad un accertamento di fatto che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità. Comunque, è infondata secondo quanto correttamente statuito dalla Corte di merito, in conformità al principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva.

33. Con l’ottavo motivo di ricorso la lavoratrice ha dedotto violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e illegittimità del licenziamento per omessa preventiva affissione del codice disciplinare, essendo l’addebito contestato relativo alla violazione di obblighi strettamente connessi alla organizzazione aziendale, questioni già proposta nei giudizi di opposizione e di reclamo.

34. Il motivo è infondato.

35. Secondo un indirizzo consolidato, l’affissione del codice disciplinare costituisce requisito essenziale per la validità del licenziamento soltanto ove esso preveda sanzioni correlate alla violazione di disposizioni corrispondenti a peculiari esigenze aziendali, non quando l’infrazione riguardi doveri previsti dalla legge o imposti al dipendente dalle disposizioni di carattere generale proprie del rapporto di lavoro subordinato. Ne discende che da tale forma di pubblicità si può prescindere allorchè il lavoratore si sia reso autore di comportamenti rispetto ai quali la fonte del recesso datoriale è direttamente reperibile nella legge, nei doveri fondamentali del lavoratore o, comunque, si tratti di condotte la cui illiceità, per l’evidente contrasto con la coscienza comune e con le regole fondamentali del vivere civile, possa essere conosciuta ed apprezzata dal lavoratore senza bisogno di previo avviso (cfr. Cass. n. 15218 del 2015; Cass. n. 1926 del 2011; Cass. n. 11250 del 2010; Cass. n. 6974 del 2002; Cass. n. 14615 del 2000; Cass. n. 11430 del 2000; Cass. n. 2762 del 1995).

36. A tali principi si è conformata la Corte territoriale. La sentenza impugnata ha adottato, sul punto, una duplice motivazione: ha anzitutto rilevato come l’affissione del codice disciplinare, nella bacheca posta al piano terra, fosse stata allegata dalla società nel ricorso in opposizione e come nessuna contestazione al riguardo fosse stata mossa dalla lavoratrice; ha inoltre ritenuto non necessaria la preventiva affissione del codice disciplinare per essere i fatti contestati contrari a norme di legge e ai doveri fondamentali della lavoratrice.

37. La seconda ratto decidendi appare sufficiente ai fini della infondatezza del motivo in esame. La sentenza impugnata ha motivato l’integrazione delle ipotesi di cui all’art. 57 c.c.n.l., che legittimano il licenziamento senza preavviso, facendo riferimento alla consapevole, reiterata e ingiustificata violazione da parte della A. non solo delle specifiche procedure interne ma anche delle basilari regole di correttezza e diligenza nella gestione delle pratiche in oggetto, con conseguente danno per la società, esposta a pignoramenti per un totale di Euro 474.771,22. Le censure mosse dalla ricorrente non investono l’interpretazione ed applicazione dell’art. 57 c.c.n.l..

38. Con il nono motivo la ricorrente ha censurato la sentenza per violazione dell’art. 2106 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 3 degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito erroneamente giudicato legittimo il licenziamento irrogato addossando alla lavoratrice l’onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per la corretta gestione degli affari a lei affidati; violazione del principio di proporzionalità; travisamento della prova in ordine alla ritenuta allegazione del criterio utilizzato per prelevare il campione di pratiche da esaminare; violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su punti decisivi della controversia e dell’art. 2119 c.c. per non avere la Corte territoriale tenuto conto della concreta intensità dell’elemento soggettivo.

39. Il motivo è inammissibile in quanto ciò che la ricorrente censura non sono i parametri normativi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo oppure del criterio di proporzionalità, bensì la concreta valutazione delle risultanze di causa che si assumono non idonee e non sufficienti ad integrare il parametro normativo. Questo profilo attiene ad un accertamento di fatto censurabile unicamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel caso di specie, neanche formulato secondo lo schema legale del nuovo testo introdotto dal D.L. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, ratione temporis applicabile.

40. Con il decimo motivo la ricorrente ha dedotto falsa applicazione dell’art. 415 c.p.c. in relazione ai termini di notifica del ricorso e del decreto di fissazione udienza, in luogo della L. n. 92 del 2012, artt. 51, 52, 53 e 60, in relazione all’art. 111 Cost., per avere la Corte d’appello preso in considerazione il termine a difesa di trenta giorni, previsto dal rito del lavoro, anzichè quello di quaranta giorni previsto dalla L. n. 92 del 2012. Erronea valutazione di tempestività dell’impugnazione avendo riguardo alla consegna dell’atto da notificare nell’ultimo giorno utile. Inammissibilità del reclamo. Questioni già proposte nel giudizio di reclamo.

41. Il motivo, che denuncia nella sostanza un error in procedendo, è infondato.

42. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che in questa sede va ribadita, la violazione del termine non minore di venticinque giorni – che deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto d’appello e la data dell’udienza di discussione (ai sensi dell’art. 435 c.p.c., comma 3) configura un vizio della notificazione che produce nullità ed impone l’ordine di rinnovazione della notificazione stessa in applicazione dell’art. 291 c.p.c. solo in difetto di costituzione dell’appellato. Il vizio resta invece sanato da detta costituzione, ancorchè effettuata al solo scopo di far valere la nullità, (stante la certezza del raggiungimento dello scopo dell’atto), salva la facoltà dell’appellato di chiedere, all’atto della costituzione, un rinvio dell’udienza per usufruire dello intero periodo previsto dalla legge ai fini di un’adeguata difesa (cfr. Cass. 9735 del 2018; Cass. n. 25684 del 2015; Cass. n. 488 del 2010; Cass. n. 8777 del 2008; Cass. n. 10119 del 2006).

43. I medesimi principi devono ritenersi applicabili al rito introdotto dalla L. n. 92 del 2012, salva la diversità dei termini stabiliti dall’art. 1, commi 60, 51, 52 e 52, rispetto al codice di procedura civile.

44. Nel caso di specie, il reclamo proposto dalla società ha raggiunto il suo scopo per effetto della costituzione in giudizio della sig.ra A.. Inoltre, con decreto del 24.5.16 era stata fissata come data della prima udienza l’1.7.16, in maniera incompatibile col rispetto del termine a difesa del convenuto pari a 40 giorni (erroneamente indicati in 30 giorni nella sentenza impugnata), ma la prima udienza è stata rinviata al 7.10.16, consentendosi in tal modo alla parte reclamata di usufruire interamente del termine a difesa.

45. Le considerazioni finora svolte conducono al rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente, in base al criterio di soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

46. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali nella misura del 1 5 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2818 a seguito di riconvocazione della camera di consiglio, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2018

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA