Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31068 del 28/12/2017


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 31068 Anno 2017
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA
sul ricorso 6674-2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

MAXON MOTOR ITALIA SRL, elettivamente domiciliato in
2017
2834

ROMA VIALE G. MAZZINI 11, presso lo studio
dell’avvocato GABRIELE ESCALAR, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LIVIA SALVINI;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 158/2011 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 12/11/2011;

Data pubblicazione: 28/12/2017

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 22/11/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO

DE MASI.

RITENUTO

che la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n.
158/02/11, depositata il 12/12/2011, ha disatteso l’assunto dell’appellante Agenzia
delle Entrate secondo cui, ai fini dell’imposta di registro sulla cessione di ramo
d’azienda intercorsa tra ABACO s.r.l. (cedente), e MAXON MOTOR ITALIA s.r.l.
(cessionaria), la base imponibile va determinata considerando anche le obbligazioni

corrispettivo di merce (motori elettrici) fornita alla cedente da MAXON MOTOR A.G., e
non ancora pagata (né alla fornitrice svizzera, né alla cessionaria del ramo d’azienda),
che al momento della conclusione dell’atto presentato per la registrazione solo in
minima parte (Euro 23.000,00) risultava giacente in magazzino;
che, in particolare, il Giudice di appello ha ritenuto che, trattandosi di passività
inerenti l’azienda ceduta, i debiti in questione “dovessero essere conteggiati con segno
passivo ai fini di determinare la base imponibile ai fini dell’imposta di registro”, ed ha
conseguentemente confermato la decisione della Commissione Tributaria Provinciale,
la quale aveva annullato l’avviso di rettifica e liquidazione impugnato dalla
contribuente ritenendo corretta l’individuazione di detta base imponibile nel solo
importo versato dalla cessionaria, corrispondente al valore corrente netto del ramo
d’azienda trasferito;

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, la
ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti
controversi e decisivi per il giudizio, giacché il Giudice di appello non spiega le ragioni
per cui la società ABACO, pur presentandosi come “l’acquirente che non abbia ancora
pagato” la “merce venduta dalla cedente”, possa qualificarsi creditrice di quest’ultima,
considerato che le relative passività si riferiscono all’acquisto di motori che, alla data
dell’atto per cui è causa, in larga parte erano già venduti e, quindi, non trovavano
corrispondenza nella relativa posta attiva di magazzino, donde lo stralcio da parte
dell’Ufficio di dette passività, in quanto debiti oggetto di accollo da parte della società
cessionaria, e con il secondo, riferito all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, la
ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 43, 51 e 52, D.P.R. n.
131 del 1986, giacché il Giudice di appello non ha considerato che l’operazione
economica posta in essere dalle due società, complessivamente intesa, era
i

estinte per effetto dell’atto, segnatamente, l’importo di Euro 806.008,00, costituente il

evidentemente volta ad estinguere l’esposizione debitoria di ABACO verso MAXON
MOTOR ITALIA, e che a non diversa conclusione si perverrebbe nel caso in cui, come
sostenuto da controparte, il soggetto formalmente creditore (la capogruppo MAXON
MOTOR AG “fiscalmente residente in Svizzera e capofila dell’omonimo gruppo
societario”) fosse diverso da quello (MAXON MOTOR ITALIA s.r.I.) resosi cessionario
del ramo d’azienda, comportando l’operazione l’accollo, da parte della società
cessionaria, dei predetti debiti della cedente;

connesse, sono fondate e meritano accoglimento;
che, in materia d’imposta di registro,

questa Corte ha già avuto occasione di

affermare che, “per la determinazione della base imponibile nessuna rilevanza può
attribuirsi alle modalità convenute dagli stessi contraenti per il pagamento del
corrispettivo, quand’anche tali modalità si risolvano nell’accollo di debiti aziendali da
parete del cessionario”, e che, “ai fini della determinazione del valore dell’atto di
acquisto di un complesso aziendale secondo il criterio del valore dichiarato dalle parti che l’art. 51, comma primo, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, pone a base normale
della tassazione – non si debbono detrarre dal prezzo indicato nel contratto le
eventuali passività trasferite unitamente al cespite, poiché tale operazione è prevista
dall’art. 51, comma quarto, del D.P.R. citato per la specifica ipotesi in cui l’Ufficio
finanziario disattenda detto valore e proceda ad autonoma valutazione, nel qual caso
soltanto esso dovrà sottrarre le passività al prezzo di mercato del bene.” (Cass. n.
12215/2008, n. 22223/2011, n. 22099/2016);
che secondo il Giudice di appello, nella specie, la voce contabile “debito di ABACO
verso MAXON”, pari ad Euro 806.008,00, costituente il corrispettivo della merce
venduta alla società cedente dalla cessionaria, rappresenta una delle “passività
inerenti l’azienda” cedute unitamente agli elementi attivi del compendio aziendale
medesimo, e che si tratta di debiti che “devono essere conteggiati con segno
negativo ai fini di determinare la base imponibile”, ma così opinando il decidente non
ha considerato che il prezzo convenuto dalle parti nell’atto, ammontante ad Euro
1.459,00, non comprende il debito accollato dalla acquirente, essendo esso già
portato in diminuzione del valore del ramo d’azienda ceduto, al fine di quantificare la
somma da pagare in contanti, corrispondente appunto “alla differenza tra il valore
complessivo delle attività trasferite, pari ad Euro 923.000, e quello delle connesse
passività, pari ad Euro 921.541” (cfr. pag. 4 controricorso), e che, ai sensi dell’art.

2

che le suesposte censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente

43, comma 2, D.P.R. citato, “I debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte
per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile.”;
che, pertanto, l’Ufficio ha correttamente ripreso a tassazione, unitamente al
corrispettivo dichiarato dalle parti, soddisfatto in contanti, l’importo corrispondente al
debito oggetto d’accollo da parte della cessionaria, che, come sopra detto, è stato
portato dalle parti contraenti in diminuzione, al fine di quantificare la somma da
pagare, accollo che non rappresenta altro che una modalità di determinazione e

valore attribuito dalle parti all’azienda, il quale dovrà pertanto essere individuato, ai
fini dell’imposta di registro, non al “netto”, ma al “lordo” della passività;
che è vero che per la determinazione della base imponibile ex art. 51, comma 4,
D.P.R. citato, i debiti aziendali che l’acquirente si sia accollato vanno dedotti dal valore
delle attività accertate, in sede di controllo, dall’Ufficio allorquando quest’ultimo non
riconosca il valore dichiarato dalle parti ex art. 51, comma 1, D.P.R. citato, e proceda
per converso ad una autonoma stima, secondo i criteri previsti dalla richiamata
disposizione, ma si tratta di ipotesi che qui non ricorre, solo in quel caso potendosi
decurtare dal maggiore valore accertato dall’Ufficio, quale prezzo di mercato del bene
ceduto, l’ammontare di eventuali debiti, non estranei al ramo aziendale ceduto ed
accollati dall’acquirente;
che dall’accoglimento del ricorso discende la cassazione della impugnata sentenza, la
quale palesemente disattende i suindicati principi, e non essendo necessari ulteriori
accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere
decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente;
che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano nel
dispositivo, mentre l’evoluzione della vicenda processuale giustifica la compensazione
delle spese dei gradi di merito;

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta il ricorso originario della contribuente. Condanna l’intimata al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.100,00, oltre rimborso spese
prenotate a debito. Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 novembre 2017.
Il Presidente

corresponsione del prezzo di acquisto, così come concordato in ragione dell’effettivo

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